Jawad, britannico di origine libanese, dopo la beffa di Londra (perse il bronzo) ci riprova in Brasile. A The Guardian ha raccontato la sua storia: “Ho chiesto a mio padre perché avevamo abbandonato il Libano. Mi confessò che quando sono nato il dottore chiese ai miei se volevano sopprimermi”
Sebastian Donzella
Salite su una bilancia, pesatevi e poi andate in palestra per provare a sollevare più di tre volte il vostro peso. Tra i pochi eletti al mondo che ci riescono vi è Alì Jawad, 27enne britannico di origini libanesi, che alle Paralimpiadi sarà tra i protagonisti nel sollevamento pesi nella categoria 56 kilogrammi. Un uomo che ama le missioni impossibili, al punto da sfidare tutte le convenzioni sociali posando nudo per Sport Magazine, la più importante rivista sportiva britannica, nonostante l’assenza delle gambe. Sfide da niente per chi, la vita, se l’è dovuta conquistare passo dopo passo. A partire dalla nascita, quando i medici volevano praticare un’eutanasia molto sbrigativa, come racconta lo stesso Ali in una lunga e interessante intervista al giornale britannico The Guardian: “Ho chiesto a mio padre perché avevamo abbandonato il Libano per trasferirci in Gran Bretagna. Mi ha confessato che quando sono nato il dottore chiese esplicitamente ai miei se volevano sopprimermi”.
serie B — Era un momento molto difficile per il Paese dei cedri, squassato dalla guerra contro Israele: “Le persone disabili allora erano considerate cittadini di serie B. I miei genitori la pensavano diversamente: non gli importava della mia disabilità, volevano solo che io potessi vivere al meglio. E sono partiti per la Gran Bretagna anche se non sapevano parlare inglese, non avevano molto denaro e nemmeno una qualche qualifica professionale. Si sono presi un rischio enorme e spero di aver ripagato, in questi anni, i sacrifici che hanno fatto per me”. Raccontata così sarebbe già una bella storia, con un bambino disabile che riesce a scappare dalla guerra e da medici che con Ippocrate hanno ben poco da spartire. E invece c’è dell’altro, come in un telefilm che solletica lo share con nuovi colpi di scena. Solo che qui il palco è la vita di tutti i giorni: “Ero alle Paralimpiadi di Pechino, avevo 19 anni. Non puntavo a una medaglia, ma a fare esperienza. Due giorni prima delle gare, in allenamento, sollevo un bilanciere che mi avrebbe dato un posto sul podio. Purtroppo, però, mi sento male 24 ore prima del debutto: arrivo nono e torno a casa dispiaciuto, ma senza avere idea di quanto fosse grave la cosa. Ho perso 25 chili in due mesi: ho pensato di avere il cancro. Invece ho scoperto di avere il morbo di Crohn, una malattia incurabile che può aggravarsi in qualsiasi momento. E’ stato devastante: mi sono sentito disabile per la prima volta in vita mia, essere senza gambe per me non è mai stato un problema. Nel 2010 mi è stato tolto un pezzo d’intestino nel corso di un intervento pericoloso, ho rischiato di morire. E invece, quando mi sono svegliato, ho capito di avere una seconda chance. Per questo, due settimane dopo, ho fatto una cosa folle: me ne sono andato in palestra ad allenarmi. In pochi mesi sono riuscito, nonostante la malattia, a qualificarmi per i Giochi di Londra. Io sono inglese e quindi pensare di rappresentare il mio Paese di fronte alla mia famiglia dopo quello che mi era successo è stato un sogno”.
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