Nata ai Borghi di Periferia – recensione del romanzo ‘Mai stati innocenti’ di Valeria Gargiullo

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Una notissima canzone recita: “Nato ai bordi di periferia, dove l’aria è popolare…quanta gente giovane va via…forse perché i pugni presi…dentro fanno male ancor di più.” Versi che a modo loro descrivono alla grande, in estrema sintesi, il romanzo d’esordio di Valeria Gargiullo, un racconto forte, tagliente, incisivo, che è allo stesso tempo un narrato ed una denuncia.

di Bruno Izzo

Un libro sorprendente, inaspettato da una esordiente, con una scrittura agile, magari abbondante, ma sempre fluida, scorrevole, discorsiva, mai pesante, a tratti elegante, quasi un taccuino di viaggio, un diario di emozioni, appunti e riflessioni, incanti e insidie. Un elaborato redatto con cura, pieno ed esigente, si sente forte e chiaro l’encomiabile impegno, la fatica, lo zelo della giovane autrice, davvero un bell’esordio il suo, con uno stile carico e deciso riporta una storia che suona esplicitamente vera e reale, più che verosimile, per quanto dal sapore intensamente aspro, rude, scosceso. Un racconto che urta e sconcerta, però colpisce, coinvolge, fa partecipe con abilità il lettore delle emozioni più intime vissute dalla protagonista principale, certamente, e però con pari intensità rivela con disegno netto l’interiorità emozionale anche di tutti gli altri personaggi, malgrado ognuno risulti diverso dall’altro per indole e tratti salienti. Nello stesso tempo rende evidente come la durezza di un certo vissuto è la diretta conseguenza di una asserzione sociale incompiuta, tutto il narrato è un nitido, disincantato affresco di una certa realtà urbana, carente nelle linee di sostegno sociale. È storia comune di tanti bordi di periferia, appunto dove “…l’aria è popolare”, senza che il termine risulti riduttivo o peggio ancora dispregiativo, fa piuttosto riferimento ad una normale quotidianità del vivere dei ceti meno abbienti. La location del libro è quella usuale sorta ai margini delle città, quartieri di abitazioni nate nelle intenzioni istituzionali come lodevole grande edilizia, svolta però in succinta economia, tesa a sopperire alle deficienze abitative, senza che in seguito, alle architetture meramente fisiche e tangibili, si accompagnino analoghe strutture di sostenibilità sociale nei confronti di quanti destinati all’insediamento. Una volta celebrata, a fini propagandistici e clientelari, la fine dei lavori delle case popolari, e assegnatele agli aventi diritto e più spesso anche ai tanti abusivi sprovvisti di regolari requisiti, poi le autorità colpevolmente se ne disinteressano, latitano cure, controlli, servizi, dignitoso e funzionale arredo urbano. Più non importa se, a fianco di piccoli ma onesti lavoratori, per colpa di pochi iniziano con il tempo ad instaurarsi assenza, abbandono, inerzia, decadimento dei luoghi e delle persone. Il vuoto di quanti preposti ad assicurare l’ordinario svolgimento del vivere civile, assicurando un minimo di controllo e di offerta lavorativa e sociale, determina inesorabilmente la sua letterale sostituzione con altra autorità che con arbitrio comanda, offre, protegge, punisce, accoglie. Un potere crudele e vessatorio, che ovunque si annidi prende il nome di mafia, di camorra, di gang locale, comunque si voglia definire altro non è che avvento e predominio di delinquenti locali che, come sorci, si insinuano impunemente in tutti i luoghi, avvelenandoli, causando danni alle strutture e alle persone, rovina, decadenza e degrado. A soffrirne più di tutti i giovani, quelli almeno che, con la freschezza della propria innocente intelligenza, arrivano a capire che altra dovrebbe essere la vita, a misura d’uomo. Per non soccombere ai tanti colpi bassi, ai pugni presi che dentro fanno male ancora di più, o peggio seguire rassegnati gli esempi deleteri dei coetanei, si organizzano per andare via, con gli strumenti dello studio, del lavoro, e pure con tanta amarezza nel cuore. Non è facile lasciare i propri campi di papaveri al sole, per quanto aridi o solo chiazze di colore. Anna sta per andarsene, proseguirà gli studi in una grande città sede dei corsi universitari: per quanto sia una scelta che anela da sempre, certo la giovane non si nasconde, non mente a sé stessa, sa che dovrà spendersi alacremente per mantenersi da sola, soffre per dover lasciare l’adorato unico fratello, il quattordicenne Simone, e Lorenzo, il suo unico grande amico del posto, nonché la madre, che seppure con il cuore straziato la spinge con fermezza a partire, a lasciare il quartiere miserabile e disgraziato in cui vivono, dove ha dovuto arrabattarsi a tirare su da sola onestamente i suoi figlioli, data la sventura del marito tossicodipendente. Un quartiere governato dai delinquenti della banda dei Sorci, una sorta di baby gang di giovanissimi guidati da Giancarlo, facente malvagiamente funzioni di capo in assenza del padre, crudele boss locale ospite delle patrie galere. Anna è acuta e accorta quanto basta a tenersi lontano da quei coetanei che indovina essere semplicemente, più che cattivi, sbandati per l’assenza di regole, valori, scuola, famiglie, educatori, alternative di vita, in un certo senso Anna è innocente, indenne dalle attrattive di potere e facile arricchimento, conserva i suoi valori di onestà e rettitudine, certa di una forma di immunità all’illegalità dilagante nel luogo di origine, che andrà progressivamente estendendosi allontanandosi dal quartiere. Tuttavia, è una ragazza del luogo, è intelligente, sa come funzionano le cose, comprende l’attrattiva che la banda dei Sorci esercita sui più deboli e fragili, dopo tutto sono tutti insieme cresciuti sotto lo stesso cielo, non sono mai stati innocenti. Quando Simone, per immaturità, per ribellione adolescenziale o semplicemente per imitazione entrerà nella banda dei Sorci, ben deciso ad intraprendere quello che non comprende ancora, e neanche ne possiede gli strumenti, altro non è che un tunnel unidirezionale verso la rovina, allora Anna per salvarlo abbandona i suoi progetti, rinuncia a partire ed in prima persona entra nella gang dei Sorci in servizio permanente effettivo. Pagandone il prezzo, che in un simile contesto è una cifra di bugie, menzogne, falsità, un crescendo di furti, rapine, aggressioni, tariffe sempre più alte di furia, aggressività, cattiverie, una escalation di violenze per la violenza, l’innocenza e l’integrità in questi contesti sono un miraggio, una fantasia, la brutalità è un valore al merito, fino all’esito inevitabile. Se ne esce da questa spirale? Si potrebbe, cambiando aria, partendo come detto; quello che magari un sorcio non ha potuto fare, e per converso non vuole che altri lo facciano. Un sorcio capisce solo di formaggio, solo in quello sa stare, vivendo sempre nel terrore di incappare in una trappola, non sa uscire dalle sue convinzioni e meno ancora dalle convenzioni che lo vogliono sorcio, perciò si detesta, sa di detestarsi, e reagisce con rabbia e violenza con chi invece anela altro che una forma di grana. Così Anna: né lei, né Simone, neppure Giancarlo e nemmeno i singoli Sorci, Yuri, Mirella, e gli altri non sono mai stati innocenti, ma l’innocenza è un valore, come la rettitudine, l’onestà, la consapevolezza, si possono recuperare, e ci si riesce solo per il tramite di una catarsi, una liberazione dalle angosce, dai conflitti, specie da quelli rimossi, recuperando la coscienza dei traumi che li hanno determinati, dalle violenze subite, non si può semplicemente fuggire da ciò che si è stati. Questa purificazione passa, nel notevole romanzo “Mai stati innocenti” di Valeria Gargiullo, attraverso la scrittura, Anna scrive, racconta, si racconta, e tutto il libro altro non è che una lunga lettera che termina con assioma dalla valenza antichissima: “…Siamo le scelte che facciamo, non quello che ci è successo”.

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