I televisori costano sempre meno anche perché ci osservano

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Il prezzo dei modelli più economici è diminuito moltissimo negli ultimi vent’anni, ma c’è un costo nascosto

Nonostante la diffusione di smartphone, tablet e computer, i televisori continuano ad avere un ruolo importante nelle nostre vite e nel modo in cui impegniamo parte del tempo libero. In Europa si stima che ci siano oltre 250 milioni di abitazioni con almeno un televisore e la domanda per questi dispositivi elettronici continua a essere sostenuta, soprattutto per merito dei prezzi bassi. Acquistare un televisore nuovo non è mai stato così conveniente, con il risultato che tendiamo a sostituire quello che abbiamo in casa con maggiore frequenza rispetto a un tempo, con varie implicazioni non solo legate all’ambiente.

Fino all’ampia diffusione degli schermi “piatti” – cioè quelli con i pannelli LCD – i televisori erano oggetti ingombranti, pesanti e costosi. L’immagine sullo schermo era ottenuta tramite un tubo a raggi catodici (CRT), la cui dimensione era proporzionale a quella dello schermo: più grande lo si voleva, più aumentava la profondità del televisore e di conseguenza il suo ingombro, senza contare che c’erano limiti fisici che ostacolavano la produzione di CRT di grandi dimensioni. I componenti erano costosi e all’inizio degli anni Ottanta un televisore con schermo da 26 pollici era venduto a 1,2 milioni di lire, pari a circa 2.000 euro dei giorni nostri (con gli aggiustamenti per l’inflazione).

La progressiva diffusione delle tecnologie LCD e poi LED su larga scala a partire dai primi anni Duemila avrebbe in pochi anni cambiato tutto. Senza il tubo catodico e i componenti per farlo funzionare, la costruzione dei televisori divenne via via più semplice, veloce e soprattutto meno costosa. Non fu naturalmente un passaggio immediato e nei primi periodi i televisori a schermo “piatto” costavano molto di più dei CRT, semplicemente perché se ne producevano relativamente pochi. Nel 2003 un televisore a 32 pollici a tubo catodico – tra i più grandi che si potessero ottenere – costava 650 euro (circa 950 euro dei giorni nostri), mentre un LCD con lo schermo delle stesse dimensioni costava quasi sette volte tanto: 4.300 euro (circa 6.300 euro dei giorni nostri).

Oggi un televisore da 32 pollici con una definizione maggiore rispetto al modello del 2003, e la capacità di collegarsi a Internet per ricevere i servizi in streaming, costa tra i 150 e i 250 euro, cioè trenta volte meno di quanto sarebbe costato all’epoca, sempre fatti i dovuti aggiustamenti. Negli ultimi 20 anni il prezzo dei televisori più economici ha continuato a ridursi, inizialmente in modo significativo e in seguito più gradualmente con prezzi che possiamo definire stabili da qualche anno.

Su questa riduzione hanno inciso soprattutto l’enorme scala su cui sono prodotti i televisori, la semplificazione dei processi produttivi stessi e nuove possibilità di guadagno per i produttori, che non passano dalla vendita in sé dei televisori, ma dai dati che possono raccogliere sul loro utilizzo da parte di chi li acquista.

Come ha spiegato all’Atlantic Kyle Wiens, il CEO della società iFixit che promuove la riparazione fai-da-te dei prodotti elettronici, non c’è molto dentro un televisore dei giorni nostri rispetto al passato: «Un televisore è costituito da una scheda di controllo, un sistema di alimentazione, un pannello e un involucro», niente di così segreto. Il componente più costoso è il pannello LED, che illumina e contribuisce alla produzione dell’immagine, ma i produttori possono acquistarne a basso costo grazie ai progressi nella loro produzione.

Da un pannello di grandi dimensioni, circa 3 x 3,5 metri, vengono ricavati pannelli più piccoli a seconda del televisore che si vuole produrre. L’assemblaggio è poi relativamente semplice e negli ultimi anni l’affinamento di alcune tecniche ha ridotto la quantità di schermi fallati, dove alcuni LED non funzionano come dovrebbero e causano malfunzionamenti soprattutto nella resa dell’immagine. I ricevitori, per esempio per il segnale del digitale terrestre, e per Internet via cavo o WiFi sono altrettanto economici e di conseguenza la produzione ha costi bassi, così come è poco costoso l’impiego di sistemi operativi liberi o con bassi costi di licenza per il loro impiego, spesso basati su Android. Il risultato è che un alto numero di produttori al di fuori dei marchi storici e più conosciuti come Sony, LG o Samsung riesce a entrare nel settore e a guadagnare un proprio spazio.

In pochi anni le aziende cinesi Hisense e TCL sono diventate tra i principali produttori di televisori al mondo, sfruttando la disponibilità di pannelli a prezzi accessibili prodotti direttamente in Cina e politiche commerciali molto aggressive. La rapida ascesa di questi marchi ha spinto le aziende storiche ad abbassare i propri prezzi, per lo meno per i prodotti base con minori funzionalità e definizione, creando una corsa al ribasso che ha contribuito ai prezzi bassi che troviamo oggi nei negozi. La concorrenza nel settore è molto agguerrita e ogni marchio cerca di recuperare i minori ricavi derivanti dalla vendita dei televisori con la raccolta di quanti più dati possibili sull’utilizzo dei prodotti da parte dei loro clienti.

Il controllo sulle attività svolte davanti al televisore è probabilmente il vero costo nascosto dei televisori dei giorni nostri. Essendo quasi tutte smart-TV costantemente collegati a Internet, possono fornire di continuo statistiche sul loro utilizzo ai produttori, che vendono poi quei dati a numerosi soggetti: dalle società che offrono servizi di streaming alle aziende interessate a farsi pubblicità. Un televisore raccoglie dati su quanto tempo viene tenuto acceso, ogni quanto avviene un’interazione per cambiare canale, mettere in pausa la riproduzione di un film o selezionare l’episodio successivo di una serie televisiva. Altri dati raccolti riguardano il tempo dedicato a utilizzare un’applicazione, la frequenza con cui viene avviata e in che periodo del giorno.

Oltre a mostrare l’elenco dei contenuti e delle applicazioni disponibili, i sistemi operativi di alcuni televisori mostrano anche annunci pubblicitari simili a quelli che osserviamo quando navighiamo online. Anche in questo caso la raccolta dei dati può aiutare gli inserzionisti a capire quante volte sia stata visualizzata la loro pubblicità, quante persone abbiano scelto di aprirla per scoprire ulteriori dettagli su ciò che offre e le azioni effettuate prima e dopo la sua visualizzazione.

I ricavi derivanti da queste attività possono essere enormi e per un singolo produttore, magari con centinaia di milioni di televisori attivi in tutto il mondo, si traducono in svariati miliardi di euro in più ogni anno. Questa fonte di ricavo aggiuntiva dà qualche margine in più alle aziende per ridurre i prezzi dei loro prodotti, ma secondo i più critici si basa su sistemi di analisi delle attività degli utenti che passano per meccanismi più opachi, meno evidenti di quelli cui sono abituati quando consultano un sito o utilizzano i social network. Le informazioni sulla raccolta dei dati sono spesso contenute nella documentazione con cui viene fornito il televisore, mentre non sempre gli avvisi mostrati al momento della sua attivazione sono chiari ed esaustivi.

D’altra parte le stesse applicazioni disponibili sulle smart-TV effettuano a loro volta una raccolta dei dati di utilizzo e spesso lo fanno su più dispostivi, come nel caso delle grandi piattaforme di streaming che offrono i propri servizi su smartphone, tablet e computer oltre che sui televisori. Sulla base dell’utilizzo consigliano i nuovi contenuti da vedere e su scale ancora più grandi l’enorme mole di dati raccolti da tutti gli utenti viene utilizzata per decidere quali film e serie tv produrre. I produttori di televisori così come le grandi piattaforme segnalano sempre che i dati raccolti dagli utenti vengono gestiti e analizzati in forma aggregata, quindi senza la possibilità di risalire a un singolo utente e ai suoi gusti, ma ci sono comunque risvolti per la privacy che non dovrebbero essere sottovalutati, specialmente se di fatto non ci sono alternative.

Infine, i prezzi bassi dei televisori e le frequenti innovazioni annunciate dai produttori, per lo più nell’aumento della definizione dell’immagine, hanno fatto sì che la vita media di un televisore si riducesse sensibilmente rispetto a un tempo. Se nella seconda metà del Novecento la frequenza di sostituzione era ben superiore ai dieci anni, oggi un televisore viene sostituito in media ogni sette-otto anni. A parità di dimensione dello schermo un nuovo televisore occupa molto meno volume e pesa assai meno rispetto a un vecchio televisore a tubo catodico, e ha inoltre più materiali riciclabili, ma costituisce comunque una quantità non indifferente di rifiuti che si uniscono alla crescente mole di rifiuti elettronici che producono le nostre società.

Redazione Il Post

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