Gli invalidi penalizzati da Isee e Assegno d’inclusione

Le persone con disabilità che abitano da sole ma sono fiscalmente a carico dei genitori finiscono per essere escluse dal sussidio

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L’incrocio tra le regole dell’Isee e le nuove norme sull’Assegno di inclusione rischia di escludere dai sussidi molte persone in condizioni comunque di bisogno. Oltre alla suddivisione – già di per sé piuttosto arbitraria – tra i cosiddetti “occupabili” e quelli no, un caso particolare riguarda infatti i disabili. Paradossalmente proprio una delle categorie alle quali la maggioranza intendeva porre grande attenzione.

La questione riguarda in particolare gli invalidi civili maggiorenni. Secondo quanto prevede l’Indicatore di Situazione Economica Equivalente, «Il figlio maggiorenne che non convive con alcuno dei genitori fa parte di un nucleo diverso, a meno che non sia a loro carico ai fini Irpef. L’unica eccezione a tale ultima regola si verifica se il figlio è coniugato o ha (a sua volta) figli: in tal caso il figlio fa parte di un nucleo diverso da quello dei genitori». Se l’invalido civile (ma anche qualsiasi altro maggiorenne) pur abitando da solo è celibe/nubile e senza prole, viene quindi attratto nell’Isee di madre e padre. Sommando così i propri redditi con quelli dei genitori e oltrepassando facilmente i limiti fissati per alcune provvidenze e servizi. È il caso di un nostro lettore con invalidità al 75% che convive con la sua compagna, anch’ella con invalidità. Ricevono l’assegno di invalidità (oggi a 333 euro mensili) e potevano contare sull’integrazione del Reddito di cittadinanza, perché lo strumento anti-povertà in vigore fino all’anno scorso prevedeva una specifica deroga alle regole dell’Isee in questi casi. Per l’Assegno di inclusione, invece, è stato deciso di non prevedere deroghe e dunque i maggiorenni – anche disabili – che non abitano con i genitori ma sono fiscalmente a loro carico vengono conteggiati in un Isee comune.

«A una persona con disabilità, che come reddito ha solo la pensione di invalidità civile, è preclusa la possibilità di avere una vita autonoma oppure è obbligato a sposarsi o a mettere al mondo dei figli oppure ad attendere di diventare orfano per poter avere diritto al nuovo sostegno anti-povertà che sostituisce il Reddito di cittadinanza», nota il nostro lettore che preferisce restare anonimo. «Di più: si opera una discriminazione tra persone con disabilità coniugate e i singoli oppure le coppie che non intendono unirsi in matrimonio o non possono, non vogliono, avere figli».

«La regola prevista nell’Isee è stata inserita a suo tempo per scongiurare comportamenti opportunistici – spiega da parte sua la senatrice Pd Cecilia Guerra, economista che ha lavorato all’elaborazione dell’indicatore –. In particolare si voleva evitare che i figli di famiglie abbienti, senza reali redditi propri, formassero nuclei a sé stanti in abitazioni diverse, godendo così impropriamente di sussidi e benefici. Ma, come dimostra proprio il caso del Reddito di cittadinanza, è sempre possibile immaginare deroghe intelligenti». Quel che invece la senatrice teme sono le modifiche strutturali all’Isee che la maggioranza sembra voler promuovere «e che potrebbero stravolgerne la natura e il fine di equità. Ad esempio, se si toglie il possesso di Titoli di Stato dal conteggio del patrimonio, lasciando inalterato il finanziamento di determinati servizi, non si allarga la possibilità per le persone di accedervi, più semplicemente si favorisce una categoria – in questo caso i possessori di Btp – a danno di altre. In questo senso occorre fare grande attenzione alle scelte sulla prospettata eliminazione della casa dal calcolo del patrimonio, perché si rischiano grandi iniquità». Anche se, in diversi casi, il peso della proprietà dell’abitazione, finisce per penalizzare anziani e famiglie numerose a basso reddito.

La revisione dell’Isee è comunque una (grande) operazione di là da venire. Ciò che invece è più cogente è la forte limitazione dell’accesso al nuovo strumento di contrasto alla povertà, l’Adi, che ha sostituito il Rdc. Quest’ultimo ha coperto al suo picco massimo 1,4 milioni di famiglie e al minimo 722mila nuclei a dicembre 2023 dopo la prima stretta. A gennaio, invece, l’Adi ha riguardato solo 287mila famiglie, molto meno anche delle stime del Governo. In attesa di dati più completi, stabilizzati dopo l’avvio, allo stesso ministero del Lavoro stanno valutando la situazione e studiando eventuali correttivi. Uno, spiega una fonte interna al dicastero, riguarderebbe proprio la situazione delle persone con disabilità di cui abbiamo parlato all’inizio. Un altro correttivo, numericamente e sostanzialmente più consistente, concernerebbe la mancata indicizzazione delle soglie Isee (9.360 e 6.000 di reddito per un singolo) per l’accesso alla misura.

L’alta inflazione degli scorsi due anni, infatti, ha fatto aumentare in maniera nominale i redditi e molte, troppe famiglie hanno oltrepassato le soglie d’accesso senza che in realtà il loro potere d’acquisto fosse aumentato e la loro condizione di povertà fosse migliorata. Discorso simile per la scala di equivalenza che attribuisce un valore di 0,15 per i primi due figli minori e di 0,10 per gli altri dal terzo in poi. Sugli importi dell’Adi la quota ridotta viene compensata dall’Assegno unico, ma sul calcolo della soglia reddituale, le quote ridotte incrementano poco i 6.000 euro ed escludono molti nuclei dall’accesso al sussidio. Peggio i maggiorenni senza compiti di cura che pesano zero nella scala. Vedremo se la riflessione nel Governo porterà a qualche modifica dello strumento

Redazione Avvenire
di Francesco Riccardi

 

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