Perché la direttiva Ue sul reato di stupro divide i 27 Paesi

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Lo scoglio principale è legato all’articolo 5 e al concetto di consenso. I sindacati insorgono anche contro l’eliminazione della definizione di “molestie sessuali nel mondo del lavoro” dall’articolo 4

Il varo della prima legge europea contro la violenza sulle donne è una priorità assoluta, hanno dichiarato le presidenti della Commissione e del Parlamento europeo, Ursula von der Leyen e Roberta Metsola.

Ma il negoziato in corso sulla Direttiva europea pensata per unificare le normative sullo stupro in tutta l’Ue e facilitare la protezione delle donne, si è incagliato in Consiglio Ue, mancando su alcuni punti l’unanimità di vedute tra i 27 Paesi.

Lo scoglio principale da superare a Bruxelles è legato in particolare all’articolo 5 del testo, ovvero quello che definendo lo stupro come “sesso senza consenso” ne favorisce la penalizzazione negli ordinamenti di tutti gli Stati.

La Direttiva sarà esaminata domani martedì 6 febbraio in Consiglio Ue.

L’Eurocamera vuole che la nuova normativa contenga una definizione di questo reato penale applicabile ad ‘ogni rapporto sessuale non consensuale’ e in tutti gli Stati membri. Alcuni Paesi però ancora non sono convinti e stanno tenendo in ostaggio il testo.

I 27 sarebbero spaccati quasi a metà. Francia, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, tra gli altri, chiedono che siano le vittime a dover dimostrare l’uso della forza o della minaccia; mentre la posizione di altri 13, tra cui Spagna, Belgio, Lussemburgo, Svezia e Italia, è in linea con lo slogan: ‘No significa no’.

Insorgono le associazioni a tutela delle donne vittime di violenza ma anche i sindacati. In particolare, questi ultimi, sono preoccupati dall’eliminazione della definizione di “molestie sessuali nel mondo del lavoro” (articolo 4 della Direttiva).

Picierno (vicepresidente Parlamento Ue): “Serve una mobilitazione corale”

“La direttiva sulla violenza di genere va approvata senza tagli e omissioni che la renderebbero gravemente insufficiente”. Lo dichiara, in una nota, la vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno chiedendo una “mobilitazione corale”. “Giorgia Meloni – chiede Picierno – risponda chiaramente a queste domande: ritiene che un rapporto sessuale senza consenso sia da considerarsi stupro? Ritiene che le molestie sul luogo di lavoro siano una piaga da estirpare senza esitazioni? Ritiene che la cyber violenza sia sempre un danno incalcolabile sulle donne? Se e’ a favore lo dica e lavori attivamente per convincere gli altri governi nazionali: l’accordo sullo sblocco dei fondi all’Ucraina e’ stato trovato, nonostante il terribile ricatto di Orban, in 24 ore. Se c’e’ la volonta’ politica gli accordi si trovano. Abbiamo bisogno di una mobilitazione corale che spinga a considerare la violenza sulle donne questione prioritaria. È finito il tempo delle mediazioni al ribasso sul corpo delle donne”.

I sindacati contro l’eliminazione della definizione di “molestie sessuali nel mondo del lavoro”

I sindacati dicono no all’eliminazione delle norme su stupro e molestie sessuali nel mondo del lavoro dalla Direttiva europea.

Cgil Cisl Uil manifestano “grande preoccupazione per il tentativo di indebolimento della direttiva europea contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, in particolare dell’art.5 che, definendo lo stupro come “sesso senza consenso”, ne favorisce la penalizzazione negli ordinamenti di tutti gli Stati.

Si sta allargando il fronte dei Paesi, come la Polonia e l’Ungheria, che stanno in tutti modi tentando di far cassare dalla direttiva l’articolo 5, sottolineano Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil, Daniela Fumarola, segretaria generale aggiunta della Cisl e Ivana Veronese segretaria confederale Uil.

La presidenza belga nel tentativo di trovare una mediazione ha modificato il testo in diversi punti: ha eliminato la definizione di “molestie sessuali nel mondo del lavoro” (articolo 4), ha eliminato l’articolo 5 (Stupro)”.

“Le donne di Cgil Cisl Uil – si legge in una nota – invitano il Governo italiano e la Presidente del consiglio Giorgia Meloni a difendere le norme a tutela delle donne e a promuovere presso tutte le delegazioni e tutti i Paesi un pieno sostegno all’articolo 5. La formulazione originaria garantisce e protegge di più dalla violenza di genere: non vogliamo cedere a modifiche peggiorative che pagherebbero le donne dentro e fuori i posti di lavoro. Abbiamo bisogno di più tutele, non di minori diritti”.

Redazione Ansa

 

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