Pedro Sánchez è di nuovo primo ministro della Spagna

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(AP Photo/Manu Fernandez)

È il suo terzo governo di fila, ottenuto dopo negoziati estenuanti e notevoli concessioni soprattutto agli indipendentisti catalani

Il parlamento della Spagna ha dato la fiducia a Pedro Sánchez, primo ministro uscente e leader del Partito Socialista spagnolo (PSOE), come nuovo primo ministro del paese. Sánchez è stato eletto alla prima votazione, con una maggioranza assoluta – benché ristretta – di 179 voti su 350 seggi parlamentari.

Sánchez ha guidato tutti i governi spagnoli dal 2018 e quello per cui è appena stato nominato è il suo terzo governo di fila. Sarà comunque un governo di minoranza, formato dal PSOE e da Sumar, una coalizione di sinistra radicale che mette assieme Podemos e altri partiti. La cerimonia di insediamento, in cui il nuovo governo sarà ufficialmente nominato dal re Felipe VI, che è anche il capo dello stato spagnolo, dovrebbe tenersi già nei prossimi giorni.

La fiducia al nuovo governo arriva a più di quattro mesi dalle elezioni di luglio, ed è stata piuttosto complicata: dopo le elezioni, benché il PSOE non fosse stato il partito più votato (era stato il Partito Popolare, la principale formazione di centrodestra), Sánchez era emerso rapidamente come l’unico leader capace di formare una coalizione sufficientemente ampia per ottenere la maggioranza parlamentare. I negoziati, tuttavia, sono stati estenuanti ed estremamente complessi, perché Sánchez ha dovuto ottenere l’appoggio di numerosi partiti autonomisti e indipendentisti che rappresentano gli interessi di varie regioni spagnole.

L’accordo più controverso è stato quello con Junts per Catalunya, partito indipendentista catalano guidato da Carles Puigdemont, che prevede fra le altre cose un disegno di legge per concedere l’amnistia a tutti gli attivisti indipendentisti catalani che avevano partecipato all’organizzazione del referendum per l’indipendenza della Catalogna nel 2017, considerato illegale dallo stato spagnolo, e ad altre azioni legate alla causa indipendentista per cui c’erano state violazioni della legge.

Junts per Catalunya (detto comunemente Junts) aveva posto l’amnistia come condizione fondamentale per offrire il sostegno dei suoi deputati al governo di Sánchez: nonostante siano solo sette, erano essenziali per il raggiungimento della maggioranza e il conferimento della fiducia al nuovo governo. Secondo i termini dell’accordo in cambio del supporto di Junts il PSOE ha promosso una legge di amnistia, che dovrà essere approvata dal parlamento. La legge prevede la cancellazione della «responsabilità penale, amministrativa e contabile» per più di 300 leader e attivisti indipendentisti incriminati di vari reati, fra cui lo stesso Carles Puigdemont, e anche per 73 poliziotti sotto processo per le eccessive violenze commesse contro i manifestanti indipendentisti nei giorni del referendum del 2017.

La concessione dell’amnistia era ed è considerata controversa da molti, compresi alcuni politici del PSOE. Secondo un sondaggio più del 50 per cento degli elettori ha detto di essere contrario all’amnistia e di preferire nuove elezioni. Nelle ultime settimane, inoltre, la questione era diventata l’oggetto di proteste sempre più estreme portate avanti dai partiti di destra, che speravano di fare pressione per impedire la formazione di un nuovo governo Sánchez dopo non essere riusciti a crearne uno di centrodestra. Ci sono state proteste abbastanza partecipate anche in questi giorni, ed è probabile che le manifestazioni proseguiranno.

L’accusa mossa dalla destra è che Sánchez stia usando l’amnistia solo per garantire la propria sopravvivenza politica, che l’iniziativa violi la Costituzione e che non scongiuri il rischio di nuove azioni unilaterali da parte degli indipendentisti catalani, che potrebbero minacciare l’unità territoriale della Spagna. Secondo i critici, anzi, l’amnistia e la centralità che Junts avrà nel nuovo governo contribuiranno a legittimare le istanze indipendentiste e a riportarle al centro del dibattito dopo anni in cui erano state meno importanti

Sánchez si era dimesso a maggio a causa del cattivo risultato del suo partito alle elezioni locali e aveva convocato elezioni anticipate per luglio. Giudicato in netto svantaggio, alle elezioni aveva invece ottenuto un risultato sorprendentemente buono: nessun partito aveva una maggioranza chiara e, benché quello più votato fosse stato il Partito Popolare (PP, centrodestra), storico rivale del PSOE, Sánchez aveva maggiori possibilità di ottenere il sostegno di altri partiti minori per raggiungere la maggioranza. Al PP al contrario anche con il supporto del partito di estrema destra Vox mancavano pochi seggi per ottenerla: a settembre il leader del PP, Alberto Núñez Feijóo, aveva provato senza successo ad ottenere la fiducia per due volte dal parlamento.

Dopo il fallimento di Feijóo, il re Felipe VI aveva conferito a Sánchez l’incarico di formare un nuovo governo.

La fiducia votata mercoledì è stata garantita dall’appoggio esterno di 27 deputati di diversi partiti regionali autonomisti o indipendentisti: i movimenti baschi Bildu (centrosinistra, indipendentista) e Partido Nacionalista Vasco (EAJ-PNV, centro e autonomista) hanno 11 deputati, quelli indipendentisti catalani Esquerra Republicana de Catalunya (ERC, di sinistra) e Junts per Catalunya (Junts, nato come coalizione di vari movimenti di centrosinistra e centrodestra) hanno 7 seggi ciascuno, i partiti nazionalisti Coalición Canaria per le Isole Canarie (CC, centro) e Bloque Nacionalista Galego per la Galizia (BNG, sinistra) hanno un seggio ciascuno.

Redazione Il Post

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