Picchiata perché senza velo: Armita, 16 anni, è in coma. In Iran la storia si ripete

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È successo ancora. È successo in Iran. Ancora una donna picchiata perché non indossava il velo islamico. Si chiama Armita Garawand, ha solo 16 anni e in questo momento è in coma in gravissime condizioni nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Fajr di Teheran. Secondo Hengaw, un’organizzazione per i diritti umani in esilio, Armita Garawand ha subito una “grave aggressione fisica” da parte della “polizia morale” per non aver rispettato le norme nazionali sull’hijab. Secondo alcuni attivisti per i diritti umani Armita sarebbe stata picchiata violentemente fino a farla entrare in coma dalla temuta “polizia della moralità” iraniana, rimettendo il paese in difficoltà un anno dopo lo scoppio delle proteste di massa contro il trattamento delle donne.

Nessuno può dimenticare la storia di Mahsa Amini la giovane donna curda iraniana che lo scorso 16 settembre del 2022 mentre era in visita ad alcuni parenti a Teheran venne prelevata dalla polizia morale. Portata in un centro per la “rieducazione sull’uso del velo” Amini venne picchiata e successivamente entrò in coma a causa delle percosse che dopo tre giorni la portarono al decesso. La morte di Mahsa ha dato vita al movimento Donna Vita Libertà che ha visto per mesi nelle strade di Teheran e delle maggiori città iraniane moltitudini di ragazze e ragazzi iraniani e non solo, manifestare per le strade chiedendo maggiori diritti. Le manifestazioni pacifiche hanno visto una brutale repressione da parte del regime islamico che ha arrestato migliaia di manifestanti. Alcuni di loro condannati a morte. Sette di loro impiccati dopo processi farsa e senza prove.

VIDEO

Solo poche settimane fa in tutto il mondo si è celebrato il Mahsa Day ovvero una giornata per ricordare l’omicidio di Stato della giovane donna curdo iraniana ma anche per chiedere il regime change ovvero il crollo dell’attuale regime islamico. Nonostante le sanzioni internazionali e i moniti da varie rappresentanze politiche per la repubblica islamica, la questione del velo continua ad essere principale.

Un filmato girato in una stazione della metropolitana di Teheran mostra che la ragazza è stata buttata giù da un treno da altre ragazze e posizionata sul binario, dove rimane immobile, apparentemente priva di sensi. I media statali, che hanno pubblicato il filmato ovviamente modificato, hanno affermato che la ragazza era invece svenuta dopo un calo di pressione sanguigna, portandola a sbattere contro il lato del vagone del treno. Il filmato pubblicato non mostra quello che è successo all’interno del treno, ma solo la ragazza che camminava e poi veniva portata via, apparentemente da amici. Il video di bassa qualità non mostra chiaramente che tipo di copricapo indossasse, se presente. Il giornalista che ha documentato la vicenda è stato già arrestato.

L’agenzia di stampa ufficiale del governo, Fars, ha pubblicato un’intervista con i genitori della ragazza, in cui affermano che non è stata aggredita. Il padre di Armita ha detto: “Abbiamo controllato tutti i video e ci è stato dimostrato che questo incidente è stato un incidente. Chiediamo alle persone di pregare per la guarigione di nostra figlia”. Ma chi conosce le autorità iraniane sa bene a quali pressioni vengono soggetti i famigliari delle vittime per cui è abbastanza plausibile che i genitori stessi siano stati obbligati a fare dichiarazioni false, così come avvenne per il caso di Mahsa Amini e di tante altre famiglie che hanno provato a denunciare i soprusi e le vessazioni da parte del regime nei confronti di chi cerca di fare chiarezza su episodi di violenza come questo.

Dopo la morte di Amini il livello di censura statale è aumentato e le due giornaliste che avevano raccontato la sorte di Mahsa come la diffusione della foto del padre e della nonna in ospedale appena saputa la sua morte e chi ha mostrato le immagini della folla al suo funerale restano ancora in carcere, accusate di collusione con poteri esterni. Come capitato in passato alcuni giornali riformisti sono stati chiusi. Anche l’avvocato di Mahsa Amini, Saleh Nikbakht, è in tribunale accusato di propaganda contro il regime, anche per aver contestato i resoconti forensi ufficiali della morte di Amini, e per aver parlato dell’Iran ai media locali e stranieri.

Da quando è avvenuto l’episodio di Armita nella metropolitana in molti hanno visto la storia di Mahsa ripetersi. Armita come Mahsa: una giovane donna picchiata a causa di un velo. Se la morte di Mahsa Amini un anno fa aveva scatenato l’inizio di una “rivoluzione”, incendiando le coscienze del popolo iraniano verso il desiderio di libertà, oggi da quella cenere che qualcuno pensava essersi spenta, con la storia di Armita potrebbe rinascere ancora più forte lo scontro tra un popolo sottomesso e un regime dittatoriale. Ma questa volta le conseguenze potrebbero essere molto più drammatiche.

Redazione Il Fatto Quotidiano
di Tiziana Ciavardini

 

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