Cioè saltando i giorni di acclimatazione: per farlo stanno usando un trucco che è stato molto criticato
Venerdì quattro veterani dell’esercito britannico sono partiti da Londra in aereo e sono arrivati a Kathmandu in Nepal, dove hanno raggiunto in elicottero il campo base dell’Everest, a oltre 5mila metri. Da lì hanno iniziato a salire verso la cima, a 8.848 metri, che intendono raggiungere in circa tre giorni, per poi scendere in due giorni e tornare a Londra prima di venerdì prossimo: se ci riusciranno avranno battuto il record per la più breve spedizione che ha raggiunto la cima dell’Everest, la montagna più alta del mondo, includendo il viaggio per raggiungerlo e il periodo di acclimatazione ad alta quota, che normalmente allunga il viaggio a diverse settimane.
Il tentativo di Alistair Carns (parlamentare laburista), Garth Miller (pilota di aerei), Kevin Godlington (imprenditore) e Anthony “Staz” Stazicker (fondatore di una marca di abbigliamento tecnico) potrebbe essere reso possibile dall’utilizzo dello xeno, un gas che secondo alcuni scienziati dovrebbe favorire la produzione di globuli rossi e accelerare il processo di acclimatazione. L’operazione è stata criticata da una parte dalla comunità alpinistica e messa in dubbio dalla Federazione internazionale di arrampicata e alpinismo. Con la spedizione (che è costata circa 150mila euro) i quattro stanno anche raccogliendo fondi per le famiglie dei veterani britannici.
Al momento l’utilizzo dello xeno nella preparazione sportiva è vietato da tutte le organizzazioni sportive professionistiche. La Federazione internazionale di arrampicata e alpinismo non è un organo regolatore e quindi tecnicamente non può vietarlo, ma pratiche di questo tipo sono generalmente mal viste dagli alpinisti, che normalmente cercano di seguire i regolamenti antidoping previsti per gli altri sport. L’alpinista Adrian Ballinger, che dal 2004 guida spedizioni sull’Everest ed è stato fra i primi a proporre dei programmi di ascensione rapida, ha detto al Washington Post che quest’impresa «non è alpinismo, è turismo di montagna».
L’Everest è la montagna più alta del mondo ma non è la più difficile o pericolosa da scalare, e negli ultimi anni la quantità di persone che raggiungono la cima è aumentata moltissimo. Ci sono comunque delle difficoltà tecniche, e soprattutto ci sono quelle legate alle condizioni meteorologiche e all’altissima quota, che può causare nelle persone gravi forme di ipossia (mancanza di ossigeno nei tessuti) che possono compromettere le funzioni cerebrali.
Il primo a salire l’Everest senza bombole di ossigeno supplementare furono nel 1978 Reinhold Messner e Peter Habeler, e da allora gli alpinisti più tradizionalisti lo scalano senza. Ma l’utilizzo delle bombole è molto comune, specialmente nelle spedizioni più commerciali, quelle responsabili della cosiddetta “turistificazione” della montagna.
Arrivare in cima all’Everest dal campo base in poco tempo non è impossibile: nel 2003 lo sherpa nepalese Lakpa Gelu lo fece in poco più di 10 ore, battendo il record per la più veloce scalata di sempre. Ciò che prende più tempo è permettere al corpo di acclimatarsi, cosa che si fa raggiungendo lentamente il campo base e rimanendo lì per diversi giorni, prima di cominciare la scalata verso la vetta.
I quattro uomini partiti venerdì hanno provato ad aggirare questo problema affidandosi all’alpinista austriaco Lukas Furtenbach (che ha ideato la spedizione anche se non sta partecipando per un recente intervento al ginocchio) e a Michael Fries, il medico che ha sviluppato il protocollo e che è a capo del dipartimento di anestesiologia e terapia intensiva dell’ospedale St. Vincenz Krankenhaus a Limburg, in Germania.
A partire dall’inizio del 2025, Carns, Miller, Godlington e Stazicker hanno dormito nelle loro case dentro tende ipossiche che simulano l’alta quota, riducendo gradualmente l’ossigeno e abituando i loro corpi a produrre naturalmente più globuli rossi. Questa tecnica viene utilizzata dalla società di spedizioni di Furtenbach, la Furtenbach Adventures, per dare la possibilità alle persone che lo desiderano (e che possono permetterselo) di accorciare i tempi di scalata. Fino a poco tempo fa l’utilizzo di queste tende per la preparazione di atleti in altri sport, come il ciclismo, era considerata una forma di doping.
Il 5 maggio i quattro hanno inalato per poco meno di un’ora una dose di gas xeno miscelato con dell’ossigeno, sotto la supervisione di Fries, secondo cui l’effetto massimo si sarebbe manifestato fra i 10 e i 14 giorni dopo la somministrazione, quindi proprio durante la scalata. Lo xeno è un gas che è stato scoperto nel 1880 e che aumenta la produzione dell’eritropoietina (EPO), una proteina prodotta dai reni che combatte l’ipossia aumentando i globuli rossi e l’emoglobina quando il corpo non riesce a immagazzinare sufficienti quantità di ossigeno.
Secondo Fries l’inalazione di xeno prima di compiere un viaggio ad altitudini molto elevate favorirebbe l’acclimatazione e proteggerebbe i tessuti umani dall’ipossia. Per questo aveva contattato Furtenbach dopo aver sentito una sua intervista alla radio in cui descriveva i suoi tentativi di accorciare i tempi delle spedizioni.
Prima di farlo usare ad altri, negli ultimi anni Furtenbach ha compiuto diverse scalate dopo aver inalato lo xeno e nel 2022 lui e due guide l’hanno utilizzato per raggiungere la vetta dell’Everest. I tre si erano precedentemente acclimatati nelle loro case, dormendo in tende ipossiche. Oggi sono 15 le persone che hanno compiuto delle scalate utilizzando precedentemente lo xeno, tutte monitorate da Fries: il medico ha detto al Washington Post che nessuna ha avuto problemi di ossigenazione e che i risultati sono stati molto soddisfacenti, ma non vuole ancora divulgare l’intero processo.
Furtenbach ha ammesso che l’idea di poter scalare l’Everest in sette giorni è una «provocazione», ma sostiene che possa avere degli effetti positivi sul lungo termine, in particolare rispetto all’impatto ecologico delle centinaia di persone che ogni anno sostano per giorni ai campi base, prima di cercare di arrivare in vetta (senza contare le decine di migliaia che ogni anno arrivano fino al campo base e poi scendono). Da anni infatti il governo nepalese sta cercando di gestire il problema dell’eccessiva quantità di persone che provano a scalare la montagna, che sono sia una fonte di entrate importantissima per il paese, sia un problema per la sicurezza delle persone e la conservazione dell’ambiente hymalaiano.