
Tim Friede ha sviluppato anticorpi specifici, e il suo sangue è stato usato per elaborare un metodo che potrebbe aiutare a produrre nuovi antidoti
Venerdì l’autorevole rivista scientifica Cell ha pubblicato un articolo che descrive un metodo per ottenere un antidoto al veleno di diverse specie di serpenti isolando e utilizzando gli anticorpi presenti nel sangue di un uomo di 57 anni del Wisconsin, Tim Friede. Friede è un appassionato che alleva serpenti velenosi da quasi 18 anni: si è lasciato mordere da loro circa 200 volte e si è iniettato oltre 650 dosi di veleno, calibrate nel tempo. Su un suo vecchio canale YouTube si trovano video in cui estrae dalle loro teche serpenti di varie specie molto velenose – taipan, mamba neri, cobra, bungari – e si lascia mordere.
Diversi giornali internazionali hanno raccontato la storia di Friede, per la sua eccezionalità e per il rischio di morire che ha corso più volte negli anni, ma anche per dare conto delle difficoltà nella ricerca di antidoti sicuri ed efficaci per i veleni. Ogni anno muoiono per avvelenamenti da morso di serpente tra 81mila e 138mila persone in tutto mondo, perlopiù nelle aree rurali dell’America, dell’Asia e dell’Africa, e circa 400mila subiscono amputazioni o disabilità permanenti per la stessa ragione.
Friede, un ex impiegato nel campo dell’edilizia, lavora da tempo come erpetologo (un esperto nello studio di rettili e anfibi) autodidatta per Centivax, un’azienda impegnata nella produzione di vaccini ad ampio spettro, per cui lavora anche il gruppo di ricerca autore dell’articolo uscito su Cell. «Sono davvero fiero di poter fare qualcosa nella vita per l’umanità» e «per persone che probabilmente non incontrerò mai», ha detto Friede in un’intervista al New York Times.
Friede fu morso per la prima volta da un serpente, non velenoso, quando aveva cinque anni. Solo da adulto cominciò a collezionare e allevare nel seminterrato di casa prima scorpioni e poi serpenti, arrivando a un certo punto ad averne 60 velenosi. Il giorno dopo l’11 settembre 2001, turbato per l’attacco alle Torri Gemelle e per la recente morte di un amico, si lasciò mordere da due cobra. Perse conoscenza in breve tempo e si risvegliò in ospedale, dopo quattro giorni di coma.
Dopo quell’esperienza decise di diventare metodico e, lavorando soltanto di notte, da solo, cominciò a iniettarsi dosi calibrate nel tempo di veleno estratto dai suoi serpenti. Questo non gli evitò comunque altri incidenti, tra morsi accidentali, shock anafilattici, svenimenti e altro. Nel 2017 Friede conobbe l’immunologo Jacob Glanville, fondatore e amministratore delegato di Centivax, e cominciò a collaborare con lui, che all’epoca stava studiando un particolare tipo di anticorpi detti “neutralizzanti ad ampio spettro”, utilizzati come base nella ricerca di vaccini universali contro i virus.
Glanville prelevò campioni del sangue di Friede per isolare gli anticorpi che il suo sistema immunitario aveva sviluppato nel tempo per contrastare i veleni. Guidato dallo stesso Glanville, il gruppo di ricerca autore dell’articolo ha scoperto che alcuni topi da laboratorio a cui venivano iniettate dosi di veleno di 19 diverse specie di serpenti, tra cui mamba e cobra, erano in parte o del tutto immuni se prima avevano ricevuto una combinazione di due potenti anticorpi presenti nel sangue di Friede, unita a una molecola sintetica in grado di bloccare le neurotossine (tossine che agiscono sulle cellule del sistema nervoso).
L’antidoto sperimentale funzionava solo contro il veleno di 19 specie della famiglia degli elapidi, che è a sua volta solo una delle famiglie a cui appartengono le circa 650 specie note di serpenti velenosi: non è quindi da intendersi come una sorta di rimedio universale. È comunque una scoperta significativa, perché la maggior parte degli antidoti conosciuti funziona solo contro una o poche specie di serpenti di una determinata regione geografica.
La ricerca presenta anche altri limiti, segnalati dagli stessi autori. Il primo è che il sistema immunitario dei topi è diverso da quello degli esseri umani: future ricerche dovrebbero quindi utilizzare organismi più grandi. Un altro limite è che i morsi di serpente possono iniettare dosi maggiori di veleno rispetto a quelle sperimentate sui topi. Anche all’interno di una stessa specie, peraltro, la combinazione di tossine di cui è composto il veleno può cambiare a seconda della regione e della stagione in cui si viene morsi, e dell’età e dell’alimentazione dell’animale.
Il metodo utilizzato ancora oggi nella produzione degli antidoti per i veleni è più o meno lo stesso di 130 anni fa. Prevede di iniettare una piccola dose di veleno in un cavallo, un cammello o una pecora, per poi raccogliere e utilizzare gli anticorpi prodotti dall’animale in risposta al veleno. Gli antidoti sono specifici per i vari tipi di veleno, e a volte gli effetti collaterali sono ancora più gravi degli effetti del veleno, perché le proteine animali possono provocare reazioni anafilattiche mortali negli esseri umani. Per questo gli scienziati stanno cercando modi migliori per produrli.