Il doppio gioco della Cina in Myanmar

Nella guerra civile tra giunta militare e ribelli appoggia un po' gli uni e un po' gli altri, ma alla fine soprattutto se stessa

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Un combattente di uno dei molti gruppi armati del Myanmar (AP Photo/Esther Htusan)

Nella guerra civile in Myanmar la posizione ufficiale della Cina è di non interferenza.

In realtà negli ultimi anni ha appoggiato in vari modi e circostanze sia la giunta militare che i gruppi ribelli che vorrebbero destituirla, con l’obiettivo di difendere i propri investimenti miliardari e interessi politici nel paese. Secondo vari osservatori questo doppio gioco sta contribuendo a prolungare la guerra, cominciata nel 2021, e sta creando diversi problemi alla resistenza, che dopo anni di combattimenti controlla ampie parti di territorio ma che non riesce ad arrivare nei luoghi centrali del potere, dove la giunta è ancora forte.

La Cina ha fornito aiuto politico e militare alla giunta sin dal colpo di stato con cui prese il potere nel 2021. Ha inviato armi pesanti e jet con cui sono stati condotti gli attacchi contro i ribelli che hanno ucciso anche migliaia di civili. L’ha sostenuta nei contesti internazionali usando lo strumento del veto per bloccare risoluzioni ONU che criticavano la repressione militare della giunta e il disastro umanitario che aveva generato. Ha espresso contrarietà anche nei confronti della Corte penale internazionale per aver emesso un mandato di cattura contro il generale Min Aung Hlaing, accusato di crimini contro l’umanità. Il mese scorso il presidente cinese Xi Jinping lo ha incontrato pubblicamente a Mosca.

Inoltre, durante il disastroso terremoto di fine marzo, la Cina è stata tra i primi e più solerti paesi a inviare aiuti in un contesto in cui era evidente che la giunta non avesse né gli strumenti né la volontà di intervenire a sostegno della popolazione. È stato modo tra le altre cose anche per migliorare la propria percezione tra la popolazione e ridurre il sentimento anticinese.

Dall’altro lato la Cina ha rapporti costanti con diversi dei gruppi ribelli che combattono contro la giunta. Mantenerli è fondamentale per garantire il fluire del commercio tra i due paesi, visto che la resistenza controlla ormai da tempo più di metà del territorio birmano mentre la giunta resta arroccata nelle principali città, Naypyidaw e Yangon. La Cina non è solo il loro principale fornitore di armi per molti di questi gruppi ribelli, ma anche di risorse fondamentali come elettricità, connessione internet o acqua.

Molto spesso la Cina ha usato la sua influenza sui gruppi ribelli per indirizzare la guerra nella direzione che le era più congeniale. Si è visto per esempio con la città di Lashio, a un centinaio di chilometri dal confine cinese. I ribelli l’avevano conquistata ad agosto dell’anno scorso dopo una lunga offensiva, ma la Cina aveva iniziato a fare pressione affinché la riconsegnassero alla giunta: la città è vicino a grosse infrastrutture cinesi a cui gli scontri e i bombardamenti dell’esercito rischiavano di arrecare grossi danni. La Cina ha quindi tagliato l’elettricità, la connessione internet e ha interrotto qualsiasi forma di commercio con i ribelli, costringendoli ad abbandonare Lashio.

Per i ribelli l’appoggio della Cina è un’arma a doppio taglio anche per un altro motivo: se ne parla al plurale perché i gruppi armati che combattono contro la giunta in Myanmar sono moltissimi e agiscono in modo frammentato, spesso senza un coordinamento efficace. È una delle principali ragioni che indeboliscono la resistenza birmana, e la politica di interferenza cinese tende ad alimentare questo aspetto perché favorisce alcuni gruppi su altri sulla base dei propri interessi.

Ye Myo Hein, esperto di relazioni internazionali e di Myanmar, ha scritto sulla rivista Foreign Affairs che ad esempio la Cina guarda con grande sospetto tutti quelli che sono allineati con il governo di unità nazionale, che rappresenta la vecchia amministrazione civile e che guida la lotta armata dall’esilio. Questo perché lo ritiene eccessivamente vicino all’Occidente, e teme che – se dovesse prendere il potere al posto della giunta – stringerebbe accordi con i paesi occidentali nella regione. Per questo in alcuni casi ha cercato di dissuadere vari gruppi armati dal collaborarci.

Quello che accade al di là degli oltre 2.200 chilometri di confine che separano Cina e Myanmar è di così grande interesse per il regime cinese per ragioni soprattutto economiche e commerciali. La Cina importa dal Myanmar più della metà delle materie prime critiche di cui ha bisogno per il settore tecnologico e per la transizione energetica. In Myanmar sono presenti anche grossi giacimenti di gas naturale, petrolio, metalli e perle preziose.

Il presidente cinese Xi Jinping (destra) e il generale Aung Hlaing on the sidelines of the durante l’incontro a Mosca, 9 marzo 2025 (Ding Haitao/Xinhua via ZUMA Press)

La Cina ha investito decine di miliardi di dollari per includere il paese all’interno della Belt and Road Initiative, cioè il gigantesco programma di investimenti nelle infrastrutture di vari paesi del mondo che usa da anni anche come strumento per allargare la sua influenza politica all’estero

In Myanmar ha costruito gasdotti che lo collegano alla regione meridionale cinese dello Yunnan, e porti che le permettono di accedere all’oceano Indiano senza dover passare dallo stretto di Malacca (quello che separa l’isola di Sumatra dalla Malesia e che forma una specie di imbuto tra il mar Cinese meridionale e il golfo del Bengala).

Dal colpo di stato il commercio di terre rare tra Myanmar e Cina è aumentato, soprattutto grazie alle nuove estrazioni illegali, ma è anche diventato più rischioso e complicato a causa degli scontri e del proliferare delle organizzazioni criminali. La Cina si interfaccia coi gruppi ribelli perché controllano il territorio e vuole assicurarsi che il commercio continui a fluire, ma quando questo mette a repentaglio le sue infrastrutture li costringe alla ritirata per garantire sicurezza e stabilità dei suoi interessi.

Mantiene infine un dialogo aperto con la giunta per garantire la sicurezza dei suoi investimenti e del personale che lavora in quelle infrastrutture: per il porto di Kyaukphyu, per esempio, ha firmato un accordo coi militari che le permette di mandare direttamente i propri uomini, ufficializzando così la prima presenza militare cinese in Myanmar.

Redazione Il Post

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