Cosa ci emoziona repentinamente, ci tocca il cuore di colpo, ci desta all’improvviso amore, incanto, delizia, sorpresa? Tante cose, o tante persone, e di ciascuna diciamo: che meraviglia! “Grande meraviglia” è, di nome e di fatto, l’ultimo romanzo di Viola Ardone, una lettura bellissima che ci prende, ci turba, finanche ci sconvolge, inevitabilmente commuove e sa suscitarci un sorriso, scioglie ogni nostro preconcetto, illumina la pagina e insieme il cuore di chi legge, lo rende partecipe delle vicende narrate, stimola l’empatia e l’umanità insita in ciascuno nei confronti dei propri simili più sventurati. Magari un solo ed unico briciolo di umanità, di affezione, solo un lampo, certo non una potente scarica elettrica, d’altra parte l’elettrochoc è molto sopravvalutato, è deleterio e non serve a nulla, nemmeno è una proiezione di impulsi interiori.

Questo è per davvero un racconto delizioso, per gran tratti aspro e spigoloso, triste ed ingiusto, eppure è una storia attraente, importante, eletta, l’autrice conduce su e giù il lettore per quasi mezzo secolo di storia, gli sciorina davanti agli occhi una realtà paradossale, spesso sconosciuta perché volutamente celata.

Un vissuto letteralmente alienato e dissennante, riversato sulla carta con garbo, con un suo stile amabile, con tatto e premura, con una scrittura fluida ma sempre rispettosa, in punta di piedi. Con dolcezza, con delicatezza estrema, Viola Ardone delinea e presenta i suoi personaggi, qualcuno anche mentecatto e fuori di testa, la maggior parte comunque folli, brutti, sporchi, impertinenti, con un vergato netto e preciso, testuale e veritiero, rigoroso, ma mai, nemmeno per un momento, il narrato deborda, va fuori rigo, la sua è una prosa sensibile, sempre quanto scritto è ammodo, discreto, impeccabile e diligente, visto e riportato tale e quale, delicato e solidale. La scrittrice napoletana con questo suo lavoro sembra voler concludere, e alla grande per davvero, il fortunato trittico dei suoi lavori precedenti, iniziato con “Il treno dei bambini” e “Oliva Denaro”. Questo suo ultimo è un fortunato compendio, racconta di una bambina, parla di infanzia disastrata come nel “Treno dei bambini”, e la declina al femminile, come in “Oliva Denaro”, in “Grande Meraviglia” la protagonista è una bambina, poi giovane ragazza e infine donna adulta.

Il suo nome, Elba, richiama espressamente l’omonimo grande fiume del nord, freddo, grigio, decorrente in territori difficili per paesaggi aspri e geopolitica dominante, tutt’altra cosa della ridente isola dell’arcipelago toscano. Tutti i fiumi originano da una sorgente, si versano in mare, profilano un territorio: per la giovane Elba, invece, origine, destinazione e trascorso della prima parte della sua esistenza, quella quindi quanto più essenziale, rilevante e fondamentale per una sana e normale crescita soprattutto psicoaffettiva, si svolge tutto in un mezzomondo. Non un gran mare dell’esistenza, neanche un lago o uno stagno, semmai una breve palude con acque putride e ristagnanti, in realtà una struttura fisica ben delineata, neanche tanto grande dove l’Elba persona è come un Elba fiume gravemente inquinato all’origine, si dipana in maniera sballata e assurda, termina letteralmente fuori dal mondo. La giovane protagonista è infatti nata e cresciuta in un manicomio, un luogo di reclusione per malati di mente, ma sarebbe più esatto definirlo un immondezzaio dove gli sbagliati, gli indesiderati, i malaccetti dalla società, veri o presunti o solo in sospetto, vengono a discarica della loro anormalità. Siamo infatti negli ultimi anni Settanta, i primi Ottanta, quanto sono ancora di lì a venire le teorie della moderna psichiatria a misura d’uomo, e la rivoluzione posta in atto da menti illuminate della medicina come Franco Basaglia, che riconsiderano le malattie nervose come quelle che in effetti sono, patologie, ed esistono perciò i malanni della mente e non i malati di mente. Tali semplici idee, non ideologie, porteranno poi alla chiusura dei manicomi in quanto tali, per essere sostituita dai più logici, e umani, centri di igiene mentale.

Ma qui non esistono ancora gli ospedali che curano la psiche, ma solo le prigioni che rinchiudono tra le sbarre gli alienati, costringendoli a forza a terapie allucinanti, grottesche, crudeli, campate in aria, senza alcun fondamento scientifico, come le docce gelate, i letti di contenzione, le sedazioni forzate, e la peggiore di tutte, l’elettrochoc encefalico, una sorta di morte civile causata dall’equivalente di una sedia elettrica applicata all’encefalo, in grado di trasformare un essere senziente in un vegetale catatonico, sbavante e demente per davvero. Non sono luoghi di cura, sono galere, o peggio, sono campi di concentramento, sono piccole Auschwitz dove sono certamente internati i pazzi, questo sì, coloro che hanno dato ripetutamente prova di essere pericolosi per sé e per gli altri, e però si sono ben presto trasformati in una comoda via d’uscita, di eliminazione non fisica dalla società dominante, ma ugualmente efficace, di tutta un progenie di “disturbatori” dell’ordine costituito, della morale dominante retriva e bigotta, dello status quo perbenista ed ipocrita dei tempi. Con i pazzi veri vengono chiusi anche quelli solo presunti, per esempio gli alcolisti, i sobillatori politici, le persone complicate che vivono ai margini, le adultere, le persone scomode e sgradite ai potenti, tutti immersi nello stesso calderone e resi docili dai farmaci sedativi, dalle scosse elettriche, dalle punizioni anche corporali, tutti scientemente spogliati gradualmente della loro dignità ed intelligenza, perché siano buoni, passivi, annullati.

Non curati dalla pazzia, ma fatti impazzire: a forza, pur che sia. In questo deserto dell’anima e della mente, Elba è nata, sana di mente come lo è la madre, rinchiusa a forza nel manicomio perché è una “diversa”, niente di più che una profuga politica, una donna tedesca in fuga dai territori dell’est ai tempi della guerra fredda. Una persona scomoda, non gradita, imbarazzante, per di più di dubbia moralità, è incinta senza avere un legittimo consorte, tutto questo basta per rinchiuderla in manicomio, così come va rinchiusa la prole, secondo legge. Elba però ha vicino la sua Mutti, la sua mamma, l’amore di una madre immunizza, fa in modo che la figliola cresca preservando la sua sanità di testa, d’anima e di cuore, riceva un minimo di istruzione al di fuori delle mura del manicomio. Solo che, quando la bambina ormai ragazza ritorna dopo gli anni della scuola dell’obbligo nel lager, non trova più la sua Mutti. Non per niente il suo è nome di fiume, come un fiume si comporta: travolge le scuse accampate dal personale, si ostina a cercarla nell’istituto, ed intanto si prodiga come l’amore della madre le ha insegnato, lei non è un fiume, ma fa di più, è acqua pura che prova a dissetare le nuove, perché non inaridiscano l’ultimo semino di intelligenza, si interessa e si immedesima nei malanni dei suoi compagni, provvede a modo suo ad irrorare di vitalità gli altri ospiti perché tengano viva la loro essenza di persone, senza le quali davvero sarebbero degli alienati.

Cambiano i tempi, cambiano le stagioni, i manicomi vengono chiusi, le strutture aperte, grazie al professor Basaglia ed ai suoi discepoli, si apre una nuova era per i malati di mente, al perfido, malvagio e retrivo primario Colavolpe, al suo disgraziato assistente come Lampadina, addetto all’elettrochoc, si sostituiscono teorie nuove, nuovi modi di gestire i malanni della mente così come Elba già da piccola elencava in un suo diario personale. Tutto questo è rappresentato in concreto dall’arrivo per la nuova gestione del reparto di Fausto Meraviglia, basagliano convinto della prima ora, che per i suoi pazienti va ben oltre quello che può fare un medico. Perché Meraviglia non sa, non vuole, e nemmeno è giusto che lo faccia, limitare il suo agire alla sfera professionale, sa che in psichiatria non si può dividere la mente dalla persona, sono un tutt’uno, non è in difficoltà la testa, è in crisi la persona, ha un blocco, una difficoltà, un impiccio l’uomo nella sua interezza, ed è una conseguenza se è problematico il suo pensiero. Così Elba ritrova la sua Mutti, ed anche una parvenza di famiglia come il dottor Fausto, che la accoglie nella sua di famiglia, la incita a studiare, la conduce alle soglie della laurea. Ma la vita non è tutta una meraviglia.

Fausto Meraviglia è una brava persona, dopotutto: certo, ha i suoi difetti, un pochino istrionico, egoista, egocentrico, plateale. Un dongiovanni, anche mentitore, ma è perché è una persona vera, reale, non è una meraviglia, è un uomo normale, con i suoi pregi, i suoi difetti, i suoi limiti. Elba è per Fausto la grande Meraviglia, quella che ha avuto salva la sua esistenza con la meraviglia dell’amore di Mutti e che quindi è la conferma vivente della nuova psichiatria, che la sola parola d’amore salva più delle benzodiazepine.

Fausto Meraviglia vorrebbe che Elba, proprio come un fiume, segue un percorso più o meno lineare, magari con qualche rapida, forse una cascata, qualche curva tortuosa, per poi giungere al mare della salvezza. Ma Elba non è un fiume, è una persona: ed una persona si salva da sola, ha tutto il diritto di uscire fuori dal suo letto, allontanarsi dal suo mentore, cambiare foce, punto di sbocco, mare d’ingresso. Gestire in proprio la propria esistenza, se lo desidera, con libertà e amore. E farne solo allora, allora sì, una meraviglia.

di Bruno Izzo

 

 

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