A Kherson un monastero tra le acque della diga di Kakhovka: “Siamo rimasti a fianco di anziani e disabili”

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Monastero basiliano a Kherson (Foto p. Moskalyuk) M. Chiara Biagioni

di Simone Incicco

L’acqua a Kherson e nei piccoli villaggi della zona per fortuna si sta lentamente ritirando, la situazione si sta normalizzando ma c’è forte preoccupazione per la minaccia di epidemie e per la presenza di mine e munizioni che possono diventare letali se prese incautamente tra le mani. Contattato dal Sir, a parlare dalla città di Kherson è p. Ignatius Moskalyuk, osbm, rettore del monastero basiliano di San Volodymyr il Grande. Contattato dal Sir, a parlare della situazione nella città di Kherson è p. Ignatius Moskalyuk, osbm, rettore del locale monastero basiliano di San Volodymyr il Grande. Lui e uno dei suoi compagni monaci erano rimasti nel loro monastero dall’inizio dell’invasione su vasta scala, anche quando Kherson era sotto l’occupazione russa. Era la notte del 6 giugno quando, a pochi chilometri da qui, è stata fatta esplodere la centrale idroelettrica di Kakhovka, uno dei numerosi sbarramenti costruiti lungo il corso del Dnipro (o Dnepr), il quarto fiume più lungo d’Europa e il terzo per ampiezza, che attraversa Russia, Bielorussia e Ucraina. l bacino conteneva circa 18 milioni di metri cubi d’acqua.Dopo che la diga è esplosa, tonnellate d’acqua sono precipitate a valle. Per fortuna, il monastero si trova su una collina e quindi non ha subito danni e allagamenti. Questo ha permesso ai sacerdoti di aiutare, fin dalle primissime ore successive alla esplosione della diga, le persone che chiedevano aiuto.

“La situazione all’inizio era allarmante perché non si conoscevano le conseguenze dell’allagamento della zona”, racconta padre Moskalyuk. “Attualmente tutto sta iniziando a stabilizzarsi, le persone sono state evacuate e coloro che sono rimasti in città ricevono alloggi temporanei e assistenza fornita dal nostro monastero”. In queste zone prima dell’invasione russa, vivevano almeno 100mila persone. Con la guerra, sono rimaste almeno decine di migliaia. L’acqua della diga ha sommerso almeno 80 centri abitati, secondo quando ha subito riferito la presidenza ucraina, e migliaia di persone sono rimaste senza un normale accesso all’acqua potabile. Ad una settimana dal disastro, padre Moskalyuk assicura che “l’acqua ha iniziato a ritirarsi e anche gli animali vengono salvati”. Ma aggiunge subito: “C’è una minaccia di un’epidemia a causa dell’inquinamento delle acque. A soffrire maggiormente in città sono gli anziani e i disabili che hanno difficoltà a muoversi”.

Ad aggravare la situazione è certamente la guerra in corso. La città di Kherson è tagliata in due dal fiume Dnipro. E’ la linea del fronte: da una parte la zona liberata dagli ucraini, dall’altra la città presa ancora dalle forze militari russe. La forza dell’acqua distrugge un territorio già messo duramente alla prova dalla guerra. E’ una devastazione che si aggiunge a devastazione. L’acqua allaga case distrutte e ridotte in macerie. Le azioni militari ancora in corso. “Quando l’acqua si ritira – conferma il sacerdote -, c’è il pericolo di mine e munizioni, quindi le autorità locali avvertono di non prendere in mano tali oggetti”.

La lista delle cose di cui la piccola comunità basiliana ha bisogno è lunghissima: pannolini per adulti, prodotti per l’igiene personale, prodotti chimici per la casa, prodotti per il bucato, materassi e sacchi a pelo. C’è la richiesta anche dei mezzi necessari per purificare l’acqua e renderla potabile, dice il sacerdote. “Inoltre, l’allagamento del territorio ha portato alla distruzione dei raccolti nei campi, danni alla flora e alla fauna. Molti animali sono morti. Ma il dolore più grande è la morte delle persone a causa dei continui bombardamenti dalla Federazione Russa”.

“Come monaci, cerchiamo di sostenere le persone con la nostra presenza, la preghiera e la fornitura degli aiuti umanitari necessari. Quello di cui veramente abbiamo bisogno è della vostra preghiera per noi. Aiutateci”.

 

 

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