Il sindacato Nursind smaschera il fallimento del piano straordinario di assunzioni: solo 279 infermieri in più su 674 promessi. Otto ASL perdono personale e chiedono straordinari non pagati. Il 2025 si annuncia peggiore
Liborio La Mattina
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Nel silenzio generale, tra un’inaugurazione e l’altra, la sanità pubblica piemontese sta morendo per carenza di personale. Le parole rassicuranti dei vertici regionali si scontrano con la realtà dei numeri, spietati, documentati, resi pubblici da chi ogni giorno lotta nei reparti. Lo sostiene il sindacato Nursind, voce degli infermieri. Ha pubblicato il bilancio aggiornato del cosiddetto piano straordinario di assunzioni, concordato con la Regione il 30 giugno 2023.
I dati sono a dir poco allarmanti. A fronte di 674 nuove unità di personale infermieristico da assumere oltre il turn over, previste dal piano regionale per rimettere in sesto un sistema allo stremo, al 31 dicembre 2024 ne sono state assunte soltanto 279. Meno della metà. E concentrate in tre aziende: Città della Salute di Torino, ASL TO3 e Mauriziano. Le altre? In gran parte assenti all’appello.
Otto aziende sanitarie regionali su diciotto – quasi la metà – non solo non hanno assunto nuove risorse, ma non hanno nemmeno garantito il ricambio generazionale. Un fallimento doppio: non si rafforza l’organico e, anzi, lo si lascia morire lentamente. Le cifre peggiori sono da brividi: –73 unità all’ASL di Alessandria, –53 a Cuneo 1. Ma la lista delle defezioni si allunga ogni trimestre.
“È un’emorragia senza fine, ogni giorno perdiamo colleghi e nessuno li rimpiazza. Stiamo andando incontro a un tracollo, e la Regione resta immobile”, denuncia Francesco Coppolella, segretario regionale di Nursind.
E non è solo una questione di numeri. È il significato politico di quei numeri a lasciare sgomenti: una Regione che firma piani, annuncia svolte, ma poi non controlla, non coordina, non agisce. Ogni azienda va per conto suo. C’è chi tenta qualche assunzione, chi non fa nulla, chi perde infermieri ogni mese. Nessuna strategia comune, nessuna visione d’insieme, nessuna risposta concreta alla più grande crisi della sanità moderna.
“Ci avevano promesso un cambio di passo. Abbiamo ottenuto solo statistiche che peggiorano trimestre dopo trimestre. Le aziende non riescono a mantenere nemmeno il minimo sindacale del turn over. Altro che rilancio”, incalza.
La tabella diffusa da Nursind non è un documento sindacale qualunque. È una radiografia impietosa di ciò che sta accadendo dentro le corsie degli ospedali piemontesi. Una per una, le ASL vengono passate al setaccio.
Il risultato? Quattro aziende sono ben al di sotto delle assunzioni previste, anche in questo caso con un trend negativo nei mesi finali del 2024 (ASL TO5 e San Luigi in testa).
Due aziende, ASL TO4 e Asti, si fermano al minimo del minimo, “dentro la dotazione organica ma non extra tetto”, come si legge nella nota del sindacato. Solo tre aziende superano le soglie, e guarda caso sono quelle in cui si è concentrato il grosso delle nuove assunzioni.
Il quadro è già tragico, ma peggiora se si guarda alle cause. Non si tratta solo di mancanza di risorse, come vorrebbero far credere gli amministratori. Nursind punta il dito contro le scelte sbagliate, le politiche disomogenee, la totale assenza di coordinamento e incentivazione. Si bandiscono concorsi a cui partecipano migliaia di candidati, ma poi le graduatorie non vengono esaurite, le assunzioni procedono a rilento, e molti giovani infermieri – una volta entrati – si licenziano dopo pochi mesi.
“Cresce il fenomeno delle dimissioni precoci. Nessuno si chiede perché. Le condizioni di lavoro sono inaccettabili, i carichi insostenibili, gli stipendi bassi, nessun incentivo, nessuna prospettiva. È così che la sanità pubblica muore”, scrive ancora Nursind.
Ma la denuncia va oltre. Il sindacato segnala un problema organizzativo gravissimo: “Le aziende si muovono ognuna per conto proprio. Non c’è una regia, non c’è un modello. Ogni struttura adotta strategie diverse, spesso contraddittorie, e così aumentano le criticità. Non si affrontano i temi dell’utilizzo improprio delle risorse, né quello dei modelli organizzativi. Semplicemente, si ignora il problema”.
Il risultato? La sanità territoriale, quella promessa da piani e riforme, non esiste. Le Case della Comunità restano gusci vuoti, gli Ospedali di Comunità sono scatole senza personale.
“Non abbiamo ancora discusso concretamente con la Regione di come riempire quelle strutture. Sono slogan, non progetti reali. E intanto le aziende chiedono ore aggiuntive agli infermieri senza pagarle, sfruttando fino all’osso chi è rimasto”.
C’è anche un riferimento amaro alla riforma della sanità territoriale, che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello del PNRR in Piemonte. Ma le risorse – già largamente inutilizzate – restano ferme. E chi dovrebbe renderle operative, cioè le aziende sanitarie, non ha il personale per farlo.
In questa situazione, chi può va via. Chi resta, si ammala. Chi comanda, ignora.
“Abbiamo chiesto un confronto, vero, aperto, con la Regione e le aziende. Ma ci rispondono con il silenzio. La crisi si aggrava. Il 2025 sarà anche peggiore, se nessuno interverrà. E a quel punto non basteranno le parole”, conclude Coppolella.
Un allarme che non può restare inascoltato. Perché questa non è una vertenza di categoria. È una questione di sopravvivenza del sistema sanitario pubblico piemontese. Quando mancano gli infermieri, si chiudono reparti. Quando si chiudono i reparti, si allungano le liste d’attesa. Quando le liste d’attesa diventano mesi, chi può va nel privato. Chi non può, aspetta. E muore.
Il tempo è finito. La politica si svegli.