È vero che il cinema se ne sta andando dagli Stati Uniti

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(AP Photo/Damian Dovarganes)

Trump ha ipotizzato di introdurre dei dazi anche in questo settore, che però da tempo chiede interventi ben diversi

La nuova stagione della serie tv statunitense Suits, intitolata Suits: LA perché ambientata a Los Angeles, inizialmente sarebbe dovuta essere girata a Vancouver. Se non fosse arrivato a sorpresa un incentivo da 12 milioni di dollari dal governo della California comunque non sarebbe stato strano girare in Canada. La serie originale per esempio era stata girata tutta a Toronto, pur essendo ambientata a New York. Almeno dagli anni ’90 le grandi città del Canada fanno da controfigura per quelle statunitensi, perché girare lì costa meno e perché lo stato incentiva le produzioni.

Riportare negli Stati Uniti la produzione di film e serie, e quindi le possibilità di lavoro che offrono, è da diversi anni una richiesta di lavoratori e produttori di Hollywood. Per risolvere il problema lunedì il presidente Donald Trump ha manifestato sul suo social network Truth l’intenzione di introdurre dazi del 100% sui film girati fuori dagli Stati Uniti. Non è chiaro come potrebbero funzionare e non si sa se Trump li imporrà davvero, ma la sua proposta sta comunque facendo discutere perché renderebbe le cose molto difficili alle aziende del settore, che da tempo chiedono interventi diversi per risolvere il problema.

La sproporzione tra i costi da sostenere per girare negli Stati Uniti, particolarmente in California, e quelli per girare all’estero è aumentata costantemente negli ultimi 30 anni, portando almeno un terzo di tutte le ore girate di film e serie tv statunitensi fuori dalla nazione. Significa che trasportare una parte del cast e della troupe in aereo, sistemarli in hotel e sostenere in generale i costi di una trasferta anche intercontinentale per mesi è comunque più conveniente rispetto a girare negli Stati Uniti. Si teme che a Los Angeles stia accadendo con il cinema ciò che negli anni Settanta è accaduto a Detroit con l’industria automobilistica, cioè la delocalizzazione di un settore di produzione che ha sempre sostenuto l’economia locale.

Il cinema e la serialità televisiva statunitensi storicamente si facevano in California e nello specifico a Los Angeles, con qualche produzione girata a New York e una piccola percentuale in altri stati se la sceneggiatura lo richiedeva. La maggior parte delle persone che lavorano nell’audiovisivo vive a Los Angeles, e lì ancora ci sono le sedi di tutte le società di produzione e di tutte le piattaforme di streaming. I teatri di posa sono stati a lungo il posto in cui veniva fatta la maggior parte delle riprese, poi per costi e mutamenti di stile si è passati a girare in strada, nelle vere location, ma sempre più che altro in California. Tra gli anni ’90 e Duemila l’uso metodico e intensivo in vari paesi dello strumento del tax credit (uno sgravio fiscale che funziona come un incentivo garantito a chi gira nel paese o nella regione che lo promuove) ha iniziato a portare le produzioni fuori dalla California.

Almeno 38 stati degli Stati Uniti oggi offrono incentivi a girare sul loro territorio tramite tax credit. Complessivamente in questi anni sono stati spesi 25 miliardi di dollari per attirare le produzioni. Il Michigan a fasi alterne ha investito molto, prima credendo nello strumento e poi dubitando molto della sua effettiva efficacia nel funzionare come un propulsore per l’economia locale (chi vuole usufruire degli incentivi non deve solo girare nello stato ma spendere soldi e usare maestranze locali), e così anche Arizona, Indiana, Wisconsin, Kentucky, Missouri e West Virginia. Nessuno tuttavia lo ha fatto quanto la Georgia, che ha creato un hub produttivo finendo per spendere lungo gli anni 5 miliardi di dollari in incentivi. Quasi tutti i film dei Marvel Studios dal 2008 a oggi sono stati girati in Georgia, ad esempio. E qualcosa di simile lo hanno fatto anche la Louisiana o lo stato di New York.

Ma meglio ancora in termini di incentivi hanno fatto negli ultimi quindici anni molti paesi fuori dagli Stati Uniti. Per esempio il nuovo Avengers: Doomsday ha abbandonato la Georgia e come molte produzioni hollywoodiane è stato girato nel Regno Unito, da sempre molto attrezzato per produzioni grandi e con troupe che parlano inglese. E così accadrà anche per il prossimo grande film tratto da fumetti DC o il prossimo Guerre stellari. La lingua però non è un grande vincolo: i film americani si girano ovunque convenga. A lungo uno dei posti più frequentati è stata l’Italia, che dal 2017 all’anno scorso ha avuto uno dei tax credit più convenienti (40% delle spese sostenute in Italia) e una storica attrattiva per preparazione delle maestranze e varietà delle ambientazioni. Ma l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Germania non sono state da meno.

Nonostante anche la California abbia un suo tax credit, questo non è paragonabile per percentuale di sgravio a quello degli altri paesi, in aggiunta al fatto che già i costi in quello stato sono più alti che altrove. Il costo della vita a Los Angeles è molto cresciuto e in particolar modo il costo dei lavoratori è salito. Il New York Times ha fatto un calcolo scoprendo che a Budapest il costo di una squadra di sette attrezzisti per 30 giorni di riprese costa 60.000 dollari mentre a Los Angeles, per il medesimo lasso di tempo, con 53.000 dollari si paga un solo tecnico che fa quel medesimo lavoro. Tra le ragioni di questo divario ci sono i maggiori costi aggiuntivi come la previdenza sociale o l’assicurazione sanitaria

Questo senza contare che il denaro allocato per il tax credit in tutta la California è 750 milioni di dollari (recentemente è stato chiesto un raddoppio). È più o meno quanto quello allocato dallo stato italiano nel 2023 per il suo tax credit, con la differenza che i film in America hanno budget più o meno dieci volte superiori a quelli italiani. Significa che meno produzioni possono accedere a incentivi meno sostanziosi e che certe categorie sono proprio escluse. Inoltre a differenza di quanto avviene all’estero le serie che non sono di finzione non possono chiedere lo sgravio fiscale (documentari ma anche show televisivi), e le serie tv di finzione lo ricevono solo alla prima stagione. Questo fa sì, per esempio, che la versione statunitense del quiz televisivo The Floor, del network televisivo Fox, sia tutta girata a Dublino.

Negli ultimi anni l’industria cinematografica ha in più occasioni sollevato il problema, chiedendo soluzioni che permettessero di tornare a girare in California o a Los Angeles, dove negli ultimi venti anni la produzione è calata di un terzo, causando la chiusura di molte attività legate al cinema e alla serialità. È anche partita una campagna di pressione chiamata #StayInLA che chiede incentivi fiscali più forti in California e vuole ottenere che le grandi case di produzione (che sono quelle che più tendono a girare fuori dagli Stati Uniti) si impegnino ad aumentare del 10% le produzioni in città nei prossimi tre anni. Secondo un sondaggio fatto dall’ente ProdPro ai principali produttori, un aumento degli incentivi sarebbe l’unica maniera per trattenerli.

FilmLA, l’ente che regola e monitora le produzioni che avvengono a Los Angeles, sostiene che solo nel 2024 c’è stato un calo del 5,6% delle richieste di permessi per girare a Los Angeles, rispetto all’anno precedente che già era sembrato disastroso. L’associazione di categoria degli attrezzisti sostiene che solo dal 2022 al 2024 15mila opportunità di lavoro sono sfumate e, in generale, anche le ore lavorate dagli attrezzisti sono calate nello stesso periodo da 123 milioni a 88 milioni. La tendenza è sempre più forte. Nei tre mesi da gennaio a marzo del 2025, i giorni di riprese a Los Angeles sono calati ancora del 22% rispetto all’anno precedente e in totale del 58% in meno rispetto al 2021. E anche guardando ai piani delle grandi società di produzione non sembra ci sia l’intenzione di invertire la tendenza. Netflix, che è uno dei produttori che più girano negli Stati Uniti e che ha costruito un intero studio nel New Mexico e uno nel New Jersey per girare lì, ha anche annunciato di avere in piano di investire 1 miliardo di dollari per produrre in Messico.

La proposta di Trump è arrivata lunedì, dopo che nel weekend il presidente aveva incontrato nella sua residenza di Mar-a-Lago Jon Voight. L’ex attore era stato nominato insieme a Sylvester Stallone e Mel Gibson “ambasciatore speciale” presso Hollywood dalla presidenza qualche giorno dopo l’insediamento. Secondo quanto riportato dalle testate che si occupano dell’industria, Voight nell’ultimo mese ha incontrato sia i grandi studios come Universal, Warner e Disney, sia le piattaforme di streaming che i sindacati, per mettere a punto un piano per riportare la produzione negli Stati Uniti. Proprio questo piano sarebbe stato quello di cui si è discusso a Mar-a-Lago nel weekend. La proposta portata da Voight e dal suo manager e produttore Steven Paul è stata poi resa pubblica a seguito delle dichiarazioni del presidente e tra le altre cose comprendeva effettivamente l’idea di imporre dei dazi, ma solo limitandosi a un numero ristretto di casi, oltre a ipotesi di incentivi fiscali a livello federale, sussidi per esercenti e produttori, e accordi di coproduzione con paesi stranieri (misura che i paesi europei utilizzando da decenni).

Redazione il Post

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