Pallavolo. L’Ucraina a San Patrignano per il sogno olimpico: “Ora la medaglia”

Le due Nazionali (uomini e donne) scappando dalla guerra sono arrivati in Romagna: “Stare qui ci ha permesso di non pensare solo alle bombe. Adesso vogliamo il podio”

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Alberto Francescut

“Essendo sordo i primi giorni non capivo bene. Non sentivo le bombe cadere su Kiev.

Ma dal terzo giorno quando gli allarmi cominciavano a suonare molto più spesso ci siamo tutti resi conto di quello che stava accadendo. Ho due figli, un maschio e una femmina, uno ha 5 anni, l’altro 3. Per loro ho deciso di lasciare il mio Paese. Quando siamo arrivati in Italia, in auto, ci hanno informato della possibilità di preparare i Giochi per i sordi, a San Patrignano e ci siamo ritrovati tutti qui. E’ stato bellissimo”. Anton Koshakarov è un Nazionale ucraino della pallavolo per sordi che è appena partito con compagni e compagne della squadra femminile verso il Brasile. La strada insegna. Perché quando vivi qualcosa sulla tua pelle lo interiorizzi di più. Così è stato, e lo è ancora, per i ragazzi di San Patrignano. Accolti in comunità, a loro volta hanno spalancato le braccia agli atleti delle nazionali sorde ucraine di volley maschile e femminile e di beach volley che da domenica 1 al 15 maggio, a Caxias do Sul, prenderanno parte ai Deaflympics, le Olimpiadi silenziose”.

IN FUGA

In fuga dalla guerra, gli atleti ucraini hanno trovato pace da chi scappa da casa. “La spontaneità con la quale i nostri ragazzi si sono proposti, l’esigenza di rendersi utili a supportare chi ha bisogno di aiuto in un momento drammatico della vita, la disponibilità con la quale sono di supporto ai profughi ospitati a San Patrignano danno un significato concreto alla parola solidarietà”, racconta l’amministratore Marcello Chianese. L’Odissea degli oltre 60 ucraini che sono stati ospitati, i primi sono arrivati il 17 marzo. Arrivati con due sogni nel cassetto: partecipare all’Olimpiade e poi tonare in Ucraina con una medaglia al collo. “Andiamo in Brasile con una idea ben precisa, vincere una medaglia – dice con il sorriso sulle labbra, Irina Mosiijchuk -. La nostra vista qui è stata perfetta. Siamo stati accolti benissimo. Trattati come meglio non soi poteva. Anche in un momento così difficile, con il pensiero a chi è rimasto in patria e con il nostro Paese in guerra”.

IN AUTO

Sono arrivati qui alla spicciolata dopo due giorni e mezzo di viaggio in auto, partenza da Kiev. Quando in comunità si è saputo che tra loro c’erano gli atleti della Nazionale, è scattata la ricerca degli altri loro atleti disseminati qua e là, in Europa, così da riunirli tutti assieme e consentire loro di potersi allenare in vista delle Deaflympics. Ricerca andata a buon fine attraverso il presidente della Federazione Sportiva sordi Ucraina che – tutto ha un senso – era profugo a Bologna. Recandosi in comunità a visitare le strutture si è reso conto della loro funzionalità. Il resto l’hanno fatto la loro professionalità degli atleti, con gli allenamenti al mattino e al pomeriggio, e la disponibilità dei ragazzi della comunità che li hanno supportati per tutta una serie di incombenze. Comunicare non è stato un problema, e non solo perché in comunità ci sono una ragazza ucraina e una russa che stanno facendo il percorso. Quando si vuole, si può: il modo lo si trova. Contano la volontà e il cuore, quelli non hanno barriere. La comunità sarà sintonizzata sulle frequenze verdeoro con le dita incrociate e il sorriso stampato per avere regalato sorrisi a chi, in fuga dalla propria terra, parenti compresi, là vuole tornarci. Magari da neo campioni.

 

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