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Lavoro, in Italia i disabili sono ancora i grandi esclusi. “Solo il 35% occupato. E le donne sono le più svantaggiate”

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Il tasso di occupazione delle persone con disabilità ancora più basso della media europea.

Le aziende non temono le multe perché i controlli sono quasi inesistenti. Al Fattoquotidiano.it le testimoniane di lavoratori che attendono inutilmente da anni un’occasione lavorativa. Un’opportunità a cui avrebbero diritto per legge

Redazione di Renato La Cara

L’inclusione lavorativa è uno dei temi fondamentali per le persone con disabilità. La Repubblica italiana, recita l’articolo 1 della Costituzione, è fondata sul lavoro e il lavoro non dà solo il reddito, ma anche la dignità e il sentirsi parte attiva di una comunità. Avere un’occupazione per un soggetto disabile aiuta ancora di più a migliorarne l’autonomia, favorendo progetti di vita indipendente. Ma la situazione occupazionale dei disabili in Italia è drammatica. “Basti pensare che su 100 persone di 15-64 anni che, pur avendo limitazioni nelle funzioni motorie e/o sensoriali essenziali nella vita quotidiana oppure disturbi intellettivi o del comportamento, sono comunque abili al lavoro, solo 35,8 sono occupati”.

A dirlo a Ilfattoquotidiano.it è Enrico Seta, presidente dell’Agenzia nazionale disabilità e lavoro (Andel). Il tasso medio Ue di occupazione delle persone disabili è invece superiore al 50%, quasi 20 punti in più. In Italia ci sono circa un milione di persone disabili disoccupate o in cerca del primo impiego, con probabilità assai scarse di trovare un posto in tempi ragionevoli, vista anche l’emergenza Coronavirus. “Il sistema pubblico di collocamento non riesce a realizzare più di 20/30mila inserimenti l’anno. La realtà italiana è peggiore di quanto non dica questa differenza – aggiunge Seta – poiché è molto alta l’età media delle persone disabili occupate in Italia (59 anni)”.

Se si guarda al sesso, le donne risultano fortemente svantaggiate rispetto agli uomini (quasi il 40% rispetto al 60%); se si osserva l’area geografica, lo squilibrio è ancora più grande: la Lombardia da sola occupa tante persone con disabilità quanto l’intera macro area Sud- Isole. Infine, se si prende in considerazione il livello di invalidità, la maggior parte di coloro che sono riusciti a trovare un impiego presenta livelli ridotti di invalidità. “Ad esempio se sei una giovane donna del Sud con invalidità elevata non perdi neanche tempo a iscriverti nelle liste della legge 68/99” afferma il numero uno di Andel.

La ministra per le disabilità: “Il collocamento mirato non sta funzionando, lavoriamo per creare una banca dati” – Sul tema è intervenuto anche la ministra per le disabilità Erika Stefani, parlando al Festival del lavoro, organizzato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro e dalla Fondazione studi consulenti del Lavoro. “Per le persone con disabilità il lavoro è ancora più centrale perché ti permette di vivere la società e le relazioni– sottolinea Stefani -. Oggi abbiamo una normativa sul meccanismo di collocamento lavorativo mirato che non sta dando dei buoni frutti. Stiamo affrontando con il ministro del lavoro, Andrea Orlando, la questione e ci stiamo ponendo il problema da più punti di vista. Se si guarda ai numeri sugli inserimenti delle persone con disabilità, vediamo che nella relazione più recente sono ancora in calo. E’ evidente che bisogna correggere e sensibilizzare”.

Ma la questione principale su cui vuole lavorare il ministro è la legge 68/99 sull’inclusione lavorativa: “È importantissima, ma servono dei miglioramenti, dei passaggi ulteriori, a partire dalla creazione della banca dati e abbiamo ancora tanto da fare su questo. In tal senso il nostro rapporto con gli ordini professionali è altrettanto fondamentale e vogliamo dialogare con loro”, conclude.

Iscritto da anni al collocamento mirato ma non è mai stato contattato – Ilfattoquotidiano.it ha raccolto diverse testimonianze che confermano l’annoso problema del mancato inserimento lavorativo di soggetti con disabilità, tra le quali c’è quella di Tommaso Liccardo, napoletano di 42 anni che ora vive a Bologna. “All’età di 18 anni mi hanno diagnosticato la distrofia muscolare. Ho studiato fino alla terza media ed essendo portatore di handicap mi sono iscritto al collocamento mirato a Napoli nel 2000 ma fino al 2009 non mi hanno mai chiamato” racconta. Nel 2010 ha cambiato Regione spostandosi in Emilia-Romagna ma il risultato non è cambiato. “Pure qui, dove ho la residenza da dieci anni, purtroppo non ho mai ricevuto una chiamata dall’ufficio collocamento. Vivo di sostegni pubblici ma vorrei cimentarmi in qualche lavoro anche part-time”.

C’è poi la storia di Pietro Giliberti che abita in provincia di Padova, 46 anni, con una patologia neurologica degenerativa. “Sono ancora senza lavoro dal 2011”, spiega, “dal 2011 a oggi ho lavorato solo grazie al fondo di solidarietà dell’associazione Uildm un anno tra il 2016 e il 2017 e sei mesi nel 2019 per il Comune come custode e in biblioteca. Poi il nulla”. Anche Pietro si è iscritto al collocamento mirato per le categorie protette ma non ha ricevuto nessun tipo di offerta. “In teoria dovrebbero essere obbligati ad assumermi, ma la legge non viene applicata. Vivo solo, ho una ex e un figlio ma come faccio a mantenerli? Ho fatto colloqui con tante grandi aziende – aggiunge – anche in base alle mie precedenti esperienze nel settore metalmeccanico ma senza risultati, nessuno vuole assumere una persona con disabilità come me. Ma io mi sento una risorsa non un peso”.

Nella Missione 5 C1 del Pnrr: “Attenzione specifica sarà dedicata all’inserimento lavorativo delle persone con disabilità” – Parole che sembrano delineare una particolare cura al tema ma non vengono però indicate le risorse da utilizzare con il rischio di non passare alla fase attuativa più concreta. “La comparsa di questo tema nell’ultima versione del Pnrr è un primo risultato a cui Andel ha contribuito con una pressione sulle istituzioni, documentata sul nostro sito www.andelagenzia.it”, afferma Seta. “Il problema rischiava di essere semplicemente archiviato. Purtroppo, questo fatto da solo non basta. Occorre scongiurare il rischio che il decisore politico si liberi del problema rinviando alle “Linee Guida per il collocamento mirato” che pure attendiamo dal 2015 e che non possono bastare. Il Parlamento deve intervenire con norme correttive della legge 68/99”. Come Andel hanno già pronte una serie di proposte. “Occorre un progetto specifico di rilancio dell’iniziativa sulla disabilità-lavoro, con un finanziamento ad hoc, noi ad esempio abbiamo chiesto almeno 500 milioni di euro sugli oltre 6 miliardi assegnati nel Pnrr per le politiche attive sul lavoro, che con modalità flessibili, finanzi percorsi individuali di accompagnamento e coinvolga il Terzo Settore che è un grande serbatoio di motivazione, competenze e solidarietà”. Andel ha già scritto e consegnato al ministro Orlando e alla ministra Stefani un dettagliato progetto in proposito. “Adesso che il Pnrr ha posto il tema è il momento giusto per attuarlo”.

Mercato del lavoro, i principali problemi che colpiscono donne e uomini disabili – Secondo il presidente di Andel “per i diretti interessati la disoccupazione diventa spesso il punto di innesco di una depressione e della perdita definitiva di ogni spinta verso l’autosufficienza e quindi verso il recupero della dignità della persona. Con perdita anche dei progressi fatti in tutta una fase “in ascesa” di una vita comunque complessa”. Dati ufficiali sulle aziende che “evadono” o “eludono” gli obblighi della legge 68/99 non esistono poiché non esiste un efficiente sistema di controlli. “Sarebbe interessante sapere quanti controlli annualmente vengono fatti dagli Ispettorati del Lavoro e quali sono stati i risultati di questi controlli” afferma Seta. “Un suggerimento per i parlamentari è quello di fare qualche puntuale interrogazione al ministro del Lavoro su questo aspetto. Quella delle aziende che preferiscono pagare le multe anziché assumere un dipendente disabile è una leggenda metropolitana”, dice il presidente di Andel, “le aziende sanno benissimo che le multe non arriveranno perché i controlli quasi non esistono”.

La situazione è cambiata a seguito del Jobs Act? “Il Jobs Act non ha cambiato molto perché il trend negativo era già in atto da anni. Non è sufficiente un atto d’imperio di tipo vincolistico per ribaltare questa situazione. Né sono sufficienti incentivi fiscali. Le aziende assumerebbero i disabili se invece fossero supportate nel percorso di inserimento e di accompagnamento. Questo è ciò che manca completamente nel sistema italiano”. Infine Marino Bottà, direttore generale di Andel, e Enrico Seta dicono al Fatto.it che “è assolutamente necessario cambiare passo, un dato cosi deludente non può che portare alla conclusione che l’intero sistema di collocamento mirato deve essere riformato”. Secondo Andel “la crisi post-pandemica e il programma Next Generation Eu sono una preziosa occasione per intervenire con incisività. E’ un’opportunità che non possiamo perdere”.

 

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