La lunga notte – Recensione del romanzo “La strada della follia” di Nicola Ronchi

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Nicola Ronchi, giovane scrittore fiorentino, cala il poker dando alle stampe la sua ultima fatica, il romanzo “La strada della follia”. Ronchi ha infatti al suo attivo già tre libri di buon successo, il primo si intitola “L’amica”, il secondo “Il segreto di Elena”, il terzo è “Il giuramento di Ippocrate”.

Anche in questa mano l’autore dimostra di avere in mano buone carte, di averle pescate bene, assortite ancora meglio, e soprattutto di sapersele ben giocare sedendo con pieno merito al tavolo degli autori di thriller psicologici alla Wulf Dorn. Tutti i suoi romanzi, compreso l’ultimissimo “La strada della follia”, pur narrando storie diversissime tra loro e pur presentando personaggi differenti e svariati, sono in realtà legati da un medesimo filo conduttore, e questo elemento comune, lo sfondo in cui si snodano le sue storie, l’humus fertile su cui Ronchi coltiva il suo talento creativo, è l’uomo stesso, l’animo umano nella sua complessità e intrinseca fragilità. I romanzi di Ronchi semplicemente parlano di noi tutti quindi e di ciascuno di noi, descrivono la nostra individualità, di come il nostro vissuto e le nostre esperienze trascorse ci guidino e ci influenzino, affinino la nostra sensibilità, accentuino le fragilità insite o al contrario rendano più forti e maturi. Per Ronchi l’uomo è conseguenza del suo vissuto.

In particolare l’autore indugia sull’incomparabile e perenne necessità di amare e di cercare amore, senza il quale la nostra esistenza è soltanto un misero trascinarsi lungo una strada buia che al termine di una lunga notte ci porta diritto alla solitudine, al dolore e inevitabilmente alla follia, intesa questa semplicemente come uno stato esistenziale anaffettivo, arido e perciò pericoloso. Nell’“Amica” Ronchi tratta di genitori e figli, nel “Segreto di Elena” riflette sull’amore di coppia, nel “Giuramento di Ippocrate” il suo interesse è centrato sulla fiducia tra le persone, nel “La strada della follia” infine parla di adolescenza, e della necessaria cura essenziale in una fase della vita delicatissima per il proprio equilibrio interiore, mancando la quale la propria esistenza ne risentirà inevitabilmente, nessuno cresce e matura linearmente senza il necessario supporto empatico e affettivo. Semplicemente di questo parlano i libri di Nicola Ronchi, non sono thriller in sé e per sé, che spaventano fini a se stessi. Sono libri che non ti lasciano tranquillo, li leggi un po’ teso, spaventato, nervoso: sono thriller-psicologici, le storie nascono dalla mente, dall’anima dei protagonisti, Ronchi ti spaventa, ma non con il sangue, con i morti, con i mostri, cattura la tua attenzione facendoti vedere nell’animo dell’uomo, nell’intimo della mente delle persone, e ciò che talora e purtroppo si vede, la cattiveria, l’egoismo, la crudeltà dell’uomo, questi sono i veri mostri. I veri mostri si nascondono in noi, non fuori di noi, e solo noi li possiamo sconfiggere, crescendo bene, amati, seguiti, comportandoci bene, con rispetto, con educazione, con amore. Il protagonista della “Strada della follia” è l’ultraquarantenne Roberto Ventura, un giovane uomo normalissimo, dall’esistenza diremmo anche banale.

Il nocciolo della storia è tutto qui, logico e assai veritiero: l’adolescenza è un’età critica, delicata e molto vulnerabile, gli sconvolgimenti tipici dell’età si riflettono non solo sul fisico ma, anche se da tutti non immediatamente avvertibile, soprattutto sulla psiche del giovane. La mente a quell’età è sensibilissima, le emozioni incidono, ti plasmano, t’influenzano profondamente da lì per gli anni a venire. Se tali emozioni hanno una valenza negativa, provocano veri e propri sfaceli, ti lasciano dentro non cicatrici, e sarebbe meglio, ma piaghe, ferite non chiuse ma aperte e sanguinanti perennemente, subdole, sono emorragie non immediatamente evidenti.

Occorre che ci prendiamo cura con attenzione degli adolescenti, specie oggi che sono fragilissimi, come troppo spesso la cronaca ci ricorda. Il protagonista, Roberto, per l’appunto, uno dietro l’altro subisce, infatti, in successione non semplici traumi ma veri e propri sfaceli dell’anima. E più di uno, in successione! Perché purtroppo per lui la sua adolescenza è stata segnata da un evento accidentale assai triste e luttuoso, per quanto senza alcuna responsabilità diretta da parte sua. Per un disgraziato e accidentale incidente nelle acque di un lago, egli ha assistito alla perdita del fratello minore. I complessi di colpa che ne derivano, per non essere stato in grado di salvarlo, assurdi e incongrui di per sé, ne devastano l’animo, a questo segue poi anche il distacco dagli amici del cuore, Sebastiano e Lars. A quest’età gli amici sono per la crescita figure assai più importanti dei genitori o della famiglia, solo con loro si è in completa simbiosi e confidenza, magari neanche sono figure del tutto positive e esemplari, possono essere pure dei totali sfigati, ma comunque indispensabili per la crescita emozionale, essenziali per il sano sviluppo del raziocinio, irrinunciabili figure per l’animo umano a quell’età, nessuno cresce sano di mente senza il conforto ed il confronto sociale con gli altri, con gli amici.

Tutti questi eventi incidono profondamente nella psiche del povero Roberto. In simili circostanze in particolare i giovani, gli adolescenti, vanno aiutati a elaborare il lutto, vanno supportati, seguiti, occorre crescerli, educarli bene, insegnargli buoni valori. Spesso però questo non accade, questo specialmente oggi è difficile, i nostri figli non sono mai con noi, anche se con noi vivono: preferiscono trascorrere il tempo su internet, su facebook, al cellulare, parlano e condividono gioie e pensieri in solitudine, addirittura in chat spesso con sconosciuti, e i genitori e gli affetti più prossimi ne sono esclusi. Ne consegue una fragilità sostanziale che rimane sopita nel fondo del proprio animo, nascosta dietro la banalità dell’esistenza, mentre il tempo trascorre e ci si avvia all’età adulta, si approntano i normali cardini esistenziali, il lavoro, lo studio, la compagna, la propria famiglia. Quando però questi cardini, almeno alcuni, i più importanti, come per esempio il lavoro, la ragazza, senza un motivo preciso, casualmente come normalmente accade, possono venire meno, e si è licenziati, si perde il lavoro, e la donna della tua vita ti lascia, ecco rispuntare la fragilità insita nell’anima in tutta la sua drammaticità, ecco che le proprie giornate sono funestate da episodi e persone credute dimenticate, ecco che ci si vede seguiti e perseguitati inspiegabilmente da una figura misteriosa ed enigmatica con il cappuccio e da un ragazzetto con il giubbotto rosso, ecco che inevitabilmente ci rincuora rincontrare gli amici d’infanzia Sebastiano e Lars, divenuti adulti e magari non proprio persone esemplari, ma sono gli unici in grado di capirti e confortarti.

Quando nel corso della propria esistenza, quasi senza parere, la quotidianità ci sfugge di mano come sabbia tra le dita, l’unica soluzione è rielaborare e metabolizzare a forza quell’epoca, quel periodo e quei traumi che segnarono il proprio divenire, imboccando la rischiosa strada della follia, l’unica al termine della quale è dato trovare la luce, o forse una notte ancora più oscura, ma comunque risolutiva. Per sfuggire alla depressione ci si rituffa nel passato. I traumi dell’adolescenza, perché non curati all’epoca, come efficacemente si poteva fare semplicemente con empatia e amore, fanno di un adulto semplice ed equilibrato come Roberto una persona a rischio di impazzire, confusa, impaurita, depressa, allucinata, avviato alla follia. Quei traumi, innocui e costruttivi in positivo se affrontati per tempo nel modo giusto, rischiano cioè di incidersi indelebilmente a fuoco nella mente e nel cuore di Roberto Ventura, più che una strada si scava un vero e proprio canyon della follia, sul cui fondo scorre tumultuosamente tutto il suo bagaglio emozionale travolto dalla furia devastatrice degli eventi che l’hanno visto protagonista. Roberto tenterà allora con coraggio di scalare le ripide pareti della propria follia, per rifarsi un’esistenza “normale”.

Non sono pareti che puoi scalare da solo, non lo sono mai, tanto sono ripide. Solo l’amore per la sua Paola, solo l’amore in sé e per sé è l’unico davvero efficace taumaturgo in grado di guarire il giovane Roberto, ma per scoprirlo, egli dovrà necessariamente percorrere fino in fondo la strada della follia. Dietro Roberto Ventura, si avvertono il pianto amaro e l’empatia umana di Nicola Ronchi per il suo personaggio, e Ronchi si rivela così, prima di essere un bravo scrittore, una brava persona, una persona sensibile e comprensivo dell’umana difficoltà del vivere. E di questo egli scrive

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