In modo duro, impietoso e al tempo stesso delicato, il cortometraggio di Adriano Morelli mette in scena i dubbi di una madre di fronte al figlio disabile, ormai non più bambino, e alla sua sessualità. Violante Placido: “Un film per porsi delle domande”
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SORRENTO – E’ pensato proprio per far discutere, affrontando in modo diretto il tema della sessualità delle persone con disabilità. E’ un cortometraggio, presentato nei giorni scorsi agli incontri internazionali del cinema di Sorrento: “Hand In The Cap”, di Adriano Morelli, scritto da Nicola Guaglianone (noto per “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Indivisibili”), parla di “diritto alla sessualità”, e arriva proprio nelle settimane in cui in Parlamento è stata presentata una (nuova) proposta di legge che prevede la figura dell’assistente all’emotività, all’affettività e alla sessualità.
“In Europa – dice il regista, Adriano Morelli – queste leggi già esistono, in Italia non c’è nessuna tutela per questi ragazzi e c’è tanto pregiudizio: sono vent’anni che questo problema viene ignorato. Quello che posso fare è raccontarlo, nella speranza che qualcuno ci ascolti”. Il film è girato con Andrea, un ragazzo con disabilità: “Inizialmente avevamo un qualche timore nel chiedergli alcune cose, non sapevamo come avrebbe reagito”, dice il regista. Timori poi svaniti.
“Hand In The Cap” è allo stesso tempo duro, impietoso e delicato. E riesce, con pochi ed essenziali tratti, a ritrarre un quadro del problema. L’inizio del corto gioca su un tono infantile, da favola: è il giorno del compleanno di Andrea, e in casa ci sono una torta, un carillon, un trenino. Cose da bambini, insomma. Accanto ad Andrea c’è una mamma dolce e amorevole (Violante Placido). Ma Andrea non è più un bambino. La notte Andrea urla, la madre lo raggiunge nella sua camera e capisce che ha un’erezione. Prova così a chiedere alla ragazza che si occupa di lui, mentre gli fa la doccia, di “aiutarlo” a capire come provare piacere. Ma lei non se la sente. Che fare allora? Rivolgersi a una prostituta? Il dolore e il dubbio è disegnato sul volto assorto di Violante Placido mentre scende la notte; i toni si fanno più cupi e la giocosità della prima scena è lontana. Il finale è sconvolgente, avviene fuori campo, con una porta che si chiude. E madre e figlio soli nella stanza. Il messaggio che il regista vuole far arrivare, arriva in modo potente.
“La storia mi ha destabilizzato, non ero neanche sicura di fare questo corto”, ha raccontato Violante Placido. “Poi questa storia mi ha incuriosito, ha fatto luce su un discorso a cui non avevo mai pensato: quello che possono vivere le famiglie che crescono un figlio, che ha delle difficoltà ad essere indipendente, nell’affrontare il discorso sessualità”. “Questo corto è forte, coraggioso, ma anche delicato”, riflette l’attrice. “Probabilmente guardarlo aiuta di più a capire, a porsi delle domande. Entra nell’intimità di quello che può vivere una famiglia di fronte a una tematica di questo tipo. Su alcuni avrà un effetto respingente. Ma spero che apra una riflessione, un dibattito”. (Maurizio Ermisino)
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