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Il grande attacco ucraino alle basi russe, raccontato con foto e video

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La schermata del software di guida di uno dei droni che ha colpito la base di Belaya (SBU via Telegram)

È il più ambizioso e grosso dall’inizio della guerra: ha richiesto mesi di preparazione e moltissimi droni

Domenica l’Ucraina ha messo in atto il più ambizioso attacco con droni in territorio russo dall’inizio della guerra, che ha colpito almeno due basi aeree e distrutto caccia e bombardieri. L’attacco ha danneggiato in maniera seria le capacità aeree russe e ha avuto anche un notevole valore simbolico, perché ha colpito in profondità nel territorio russo, dopo un’operazione di intelligence durata mesi.

Le due basi colpite sono quelle di Olenya, nel nord-ovest della Russia, non lontano dal confine con la Finlandia, e di Belaya, a sud-est, poco sopra il confine con la Mongolia. La base di Belaya si trova a circa 4.300 chilometri dalla linea del fronte: è la prima volta che l’Ucraina riesce ad attaccare così in profondità. La Russia sostiene di essere riuscita a sventare attacchi in altri tre posti, ma è impossibile verificarlo indipendentemente.

I droni che hanno attaccato le due basi sono partiti da camion che erano stati fatti entrare clandestinamente in Russia e parcheggiati a pochi chilometri di distanza dalle rispettive basi. Sopra al cassone, i camion avevano montato una specie di doppio soffitto scoperchiabile, che conteneva i droni posizionati per il decollo. Nella foto qui sotto, condivisa in seguito dalle forze di sicurezza ucraine, si vede il doppio soffitto ancora in fase di preparazione, prima di essere montato sul cassone dei camion.

Servizi di sicurezza ucraini, SBU

Ciascun drone portava una forte carica di esplosivo. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto in seguito che i droni impiegati sono stati 117. Una volta pronti, i contenitori di legno sono stati scoperchiati e i droni sono partiti contro le basi, come si vede nel video qui sotto, che mostra un drone partire verso la base di Belaya. (Video Babr Mash su Telegram)

Un drone ucraino parte da un camion vicino alla base di Belaya

Dopo l’attacco, gli ucraini hanno condiviso le registrazioni dei software di guida dei droni: nel video qui sotto se ne vede uno mentre si avvicina a un bombardiere russo Tupolev Tu-95, sempre a Belaya: il video si interrompe nel momento dell’impatto. (Video SBU su Telegram)

L’attacco alla base di Belaya

Chris Biggers, analista che si occupa di intelligence, ha pubblicato su X delle immagini satellitari registrate a Belaya dopo l’attacco ucraino, che mostrano vari aerei distrutti.

Nei video dopo l’attacco, si vedono i camion da cui sono decollati i droni in fiamme: gli ucraini hanno detto che i camion erano stati pensati per esplodere una volta completato il decollo di tutti i droni. (Video Babr Mash su Telegram)

Il camion da cui sono partiti i droni in fiamme

La base aerea di Olenya si trova in una regione più remota, per cui i video dell’attacco sono meno. Come nel caso di Belaya, c’è il video del software di guida dei droni che mostra un impatto. (Video SBU su Telegram)

L’attacco alla base di Olenya

Non è chiaro quanti aerei militari russi siano stati colpiti, danneggiati o distrutti. L’Ucraina ha detto di aver distrutto più di 40 bombardieri, ma è impossibile verificarlo in maniera indipendente.

Redazione Il Post

L’Unione Europea ha multato Glovo e Delivery Hero per aver formato un cartello

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Un fattorino di Glovo a Madrid (AP Photo/Bernat Armangue)

L’Unione Europea ha condannato a pagare una multa di rispettivamente 223 milioni e 105 milioni di euro le aziende di consegna a domicilio Delivery Hero e Glovo, accusate di aver formato un cartello, cioè un accordo commerciale per scambiarsi favori illeciti e limitare la concorrenza.

È la prima volta che l’Unione assegna una multa per accordi di questo tipo, e la prima multa per un’azienda che ha sfruttato una quota azionistica in un’azienda concorrente per influenzarne le pratiche

Gli accordi avevano avuto effetto dal 2018, quando Delivery Hero aveva acquisito una quota di minoranza di Glovo, al 2022, quando aveva terminato l’acquisto. Le due aziende hanno collaborato con l’indagine europea e hanno quindi ottenuto una multa ridotta. La Commissione aveva scoperto che le due aziende si erano accordate per non sottrarsi a vicenda dipendenti, condividere informazioni sensibili e dividere l’Unione Europea in zone in cui non farsi concorrenza a vicenda.

Per la prima volta in Messico si vota per eleggere i giudici, alla cieca

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La presidente messicana, Claudia Sheinbaum, mostra com'è fatta la scheda elettorale, il 28 maggio a Città del Messico (Carlos Santiago/eyepix via ZUMA Press Wire)

Perché le schede sono complicate e si sa poco della miriade di candidati: tranne di qualcuno che ha lavorato per i narcos o avuto guai con la giustizia

Domenica in Messico si vota per la prima volta per eleggere una parte consistente dei magistrati del paese, inclusi i 9 giudici della Corte suprema. Sono elezioni eccezionali perché sono il risultato di una contestata riforma costituzionale, fatta approvare dal partito di governo Morena contro la volontà della categoria, che aveva scioperato e protestato. La maggioranza delle persone ha scarsa consapevolezza su queste elezioni anche perché sono state organizzate con regole intricate, la campagna elettorale è stata dispersiva, e perché i candidati sono tantissimi: 7.773 per 2.681 incarichi. Ci si aspetta pertanto un’affluenza bassa.

In Messico le cariche giudiziarie sono circa 7mila, per quelle che restano fuori da questa tornata si voterà nel 2027. La riforma era stata introdotta dall’allora presidente Andrés Manuel López Obrador e portata avanti dalla sua successora Claudia Sheinbaum, entrambi di Morena. López Obrador si era ripetutamente scontrato con i giudici, che avevano bloccato alcune sue riforme. Quella della giustizia era stata vista come un modo per rendere più controllabile la magistratura, politicizzandola ma anche esponendola a maggiori condizionamenti. I suoi fautori, invece, avevano sostenuto che servisse a ridurre la corruzione e aumentare la trasparenza.

In precedenza i giudici venivano nominati sulla base di qualifiche, titoli di studio e anni di esperienza, come in molti altri paesi. Gli incarichi da rinnovare quest’anno, tra cui quelli di 881 giudici federali, sono stati sorteggiati. Prima del sorteggio si erano candidate quasi 50mila persone, ma molte non rispettavano i requisiti previsti: una laurea in legge, almeno cinque anni d’esperienza, un saggio e una lettera di referenze di cinque persone.

Il processo di selezione dei candidati è stato piuttosto opaco, affidato a commissioni statali su cui hanno avuto grossa influenza il governo e il parlamento, dove Morena ha una maggioranza schiacciante. Alla fine sono passati anche alcuni candidati assai problematici: per esempio due ex avvocati di esponenti di cartelli del narcotraffico, uno dei quali invischiato in un caso di minacce di morte a giornalisti uccisi, e due arrestati in passato per traffico di metanfetamina (uno è stato in carcere negli Stati Uniti).

Una protesta contro la riforma della giustizia, lo scorso settembre a Città del Messico

Una protesta contro la riforma della giustizia, lo scorso settembre a Città del Messico (AP Photo/Felix Marquez)

I dirigenti di Morena hanno parlato di «errori umani», sostenendo che questi casi siano una minoranza rispetto all’enorme mole di candidature. In ogni caso, i candidati potranno essere esclusi solo dopo le elezioni: l’Instituto Nacional Electoral (INE), cioè l’agenzia pubblica che le organizza, infatti esaminerà solo i candidati più votati.

Alberto Zinser, un avvocato penalista messicano, ha spiegato al New York Times che il problema non sono tanto questi casi noti perché raccontati dai media, «ma ciò che non sappiamo sulle migliaia di candidati per cui voteremo». Secondo un sondaggio, citato pure dalla presidente Sheinbaum, solo il 23 per cento degli intervistati sa qualcosa sui candidati, che per la maggioranza delle persone sono degli sconosciuti.

Il governo ha creato una piattaforma web per consentire alle persone di familiarizzare con i candidati. Le regole e le modalità delle elezioni, però, non hanno aiutato a uscire dall’anonimato quelli meno noti di loro. Ai candidati è stato vietato di rendere pubblica la loro eventuale affiliazione politica, anche se quelli vicini a Morena hanno largamente ignorato questa indicazione e in diversi casi il partito ha dato indicazioni di voto.

Il sorteggio di quali incarichi giudiziari includere in questa tornata elettorale, lo scorso 30 gennaio al Senato messicano

Il sorteggio di quali incarichi giudiziari includere in questa tornata elettorale, lo scorso 30 gennaio al Senato messicano (AP Photo/Eduardo Verdugo)

Per la campagna elettorale si potevano usare solo finanze proprie, con un limite di spesa di 220mila pesos (10 mila euro), a prescindere dall’incarico a cui si aspirava, fosse la Corte suprema o un tribunale distrettuale. Per fare un paragone, per chi si candida alle elezioni politiche il limite è di 2,2 milioni di pesos (100mila euro).

Erano vietati anche i grossi comizi e l’acquisto di spazi pubblicitari sui media tradizionali. I candidati, dunque, si sono buttati su una campagna porta a porta e sui social network, a volte con esiti bizzarri. Per esempio uno ha fatto campagna sulla app per incontri Tinder. Un altro per mostrarsi alla mano si è paragonato al chicharrón, un piatto di cotica di maiale fritta, e da lì in poi sui media è diventato il «giudice chicharrón». Un’altra si è soprannominata «Dora la transformadora», in un doppio riferimento a un cartone animato e a uno dei mantra politici di López Obrador e Sheinbaum, la «quarta trasformazione» del Messico.

Un video tutorial in cui la presidente, Claudia Sheinbaum, mostra le schede e le modalità del voto

I tentativi di candidate e candidati di attirare l’attenzione si scontrano con un sistema di voto piuttosto laborioso. Anzitutto, a differenza delle elezioni politiche, sulle schede non ci sono i loghi dei partiti, ma occorre scrivere un numero associato al candidato. Le schede sono almeno sei, di altrettanti colori diversi: una per ciascun ramo della magistratura federale per cui si vota. Somigliano a tabelle molto fitte e al loro interno c’è un secondo schema di colori, che asseconda le branche del diritto: civile, penale, amministrativo.

Un'elettrice mostra le istruzioni di voto ricevute da una candidata, con il fac-simile delle schede

Un’elettrice mostra le istruzioni di voto ricevute da una candidata, con il fac-simile delle schede (AP Photo/Fernando Llano)

Infine in 19 stati su 32 si vota anche per i livelli locali della magistratura (1.800 posti in tutto), e quindi lì le schede aumentano. Per esempio, nella capitale Città del Messico gli elettori ricevono in tutto 9 schede e, in teoria, devono scegliere una cinquantina di nomi da un elenco di 300. L’INE ha calcolato che per votare ci vorranno tra gli 8 e i 14 minuti.

Saranno infine aperti meno seggi del solito – 84mila contro i 170mila delle scorse presidenziali – perché il governo ha stanziato metà della cifra richiesta dall’INE. I voti verranno contati a mano e non ci saranno exit poll o proiezioni: i risultati si sapranno a partire dal 15 giugno. «Non abbiamo mai visto nulla del genere prima. Il Messico sta facendo un esperimento, e non sappiamo quale sarà l’esito», ha detto all’Associated Press Carin Zissis, la direttrice del sito del think tank Council of the Americas.

Redazione Il Post

Perché oggi è la Festa della Repubblica

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Il passaggio delle Frecce Tricolori durante la celebrazione della Festa della Repubblica a Roma nel 2024 (ANSA/ANGELO CARCONI)

79 anni fa italiani e italiane scelsero democraticamente di abolire la monarchia e diventare una repubblica, in un clima teso e con qualche incidente

Il 2 giugno è la Festa della Repubblica: si festeggia il referendum con cui il 2 e 3 giugno del 1946 gli italiani e le italiane scelsero democraticamente se mantenere la monarchia che governava il paese fin dalla sua unificazione o abolirla e instaurare una repubblica. Vinse la repubblica, che ottenne 12.718.641 voti, contro i 10.718.502 della monarchia, in un voto che per la prima volta vide la partecipazione a livello nazionale delle donne (che in molti casi avevano già votato alle amministrative di alcuni mesi prima).

Il voto si tenne alla fine di uno dei periodi più difficili della storia contemporanea italiana: dopo la compressione delle libertà del ventennio fascista e fra le macerie lasciate dalla Seconda guerra mondiale, dai bombardamenti degli Alleati e dalle demolizioni e rappresaglie di nazisti e fascisti. La povertà era diffusa ovunque e il clima era teso, dopo le divisioni lasciate dal regime, dalla guerra e dalla lotta per la liberazione: molti si aspettavano una guerra civile, e questo influenzò il voto e quello che accadde dopo.

Il risultato del voto, l’unico referendum istituzionale (cioè in cui si sceglie l’assetto dello stato) tenutosi in Italia, mostrò in effetti una profonda divisione: quella fra il Sud, che votò a larga maggioranza per il mantenimento della monarchia, e il Nord, che invece propese per la repubblica. In quella che è l’attuale Campania, per esempio, la repubblica ottenne più voti solo in una manciata di comuni, mentre al Nord le uniche province a votare in maggioranza la monarchia furono Cuneo e Padova. Il risultato più netto per la repubblica fu a Trento.

I leader dei principali partiti erano quasi tutti a favore della Repubblica, ma temevano che al sud i monarchici avrebbero potuto organizzare insurrezioni o rivolte e che in caso di disordini i carabinieri si sarebbero schierati con il re. Anche i repubblicani erano divisi tra di loro: i centristi temevano che i comunisti stessero organizzando un colpo di stato o una rivolta, non troppo diversa da quella scoppiata in Grecia in quei mesi. Al Sud ci fu qualche scontro: uno dei più gravi fu a Napoli, dove un gruppo di monarchici attaccò una sede del Partito Comunista – vi si era rifugiato anche Giorgio Napolitano, anni dopo divenuto presidente della Repubblica – e quando la polizia intervenne nove manifestanti monarchici furono uccisi.

Contestualmente al referendum si tennero anche le elezioni per l’Assemblea Costituente, l’organo che scrisse la Costituzione italiana e si occupò di alcuni importanti compiti istituzionali prima dell’elezione del primo parlamento, nel 1948. Il partito che ottenne più voti fu la Democrazia Cristiana, seguita dal Partito Socialista e da quello Comunista, i tre partiti che dominarono la vita politica del paese per i successivi cinquant’anni.

I primi risultati preliminari dello spoglio davano in vantaggio la monarchia, che però venne nettamente superata dalla repubblica col proseguire del conteggio. Il 10 giugno la Corte di Cassazione proclamò per la prima volta il risultato, con qualche complicazione: usò una formula dubitativa, che rimandava al 18 giugno l’ufficializzazione dell’esito del voto, per poter analizzare alcune segnalazioni arrivate soprattutto dalla parte monarchica. Gli aventi diritto erano 28 milioni, votarono in 25 (l’affluenza fu dell’89 per cento), i voti per la repubblica furono il 54 per cento di quelli validi, quelli per la monarchia il 45, le schede bianche o non valide 1 milione e mezzo, gli astenuti circa 3 milioni.

Alcide De Gasperi, capo del governo provvisorio, non attese però la proclamazione ufficiale: fra il 12 e il 13 giugno prese formalmente atto del risultato e proclamò il passaggio di poteri dal re Umberto II (in carica da un mese dopo l’abdicazione del padre Vittorio Emanuele III) al governo provvisorio, dopo un breve scontro con le istituzioni monarchiche.

Le complesse vicende dello spoglio, gestito in maniera incerta e a volte decisamente pasticciata, ma anche la situazione in cui si tenne il voto e la sua importanza storica hanno dato vita a teorie secondo cui il risultato fu determinato dai brogli, che riaffiorano periodicamente in occasione della Festa della Repubblica. Secondo le analisi di storici ed esperti che negli anni hanno approfondito le dinamiche del voto e i risultati, la votazione si svolse in maniera tutto sommato regolare; inoltre, creare artificialmente un distacco di quasi 2 milioni di voti avrebbe richiesto la complicità di migliaia di persone e lasciato dietro di sé molte prove.

Il voto non si svolse su tutto il territorio dell’Italia del tempo, né tutti i cittadini italiani ebbero veramente la possibilità di esprimersi. Migliaia di persone si trovavano ancora nei campi di prigionia alleati o internati in Germania. Inoltre non venne organizzato il voto in provincia di Bolzano, che venne annessa alla Germania alla fine della guerra e poi venne messa sotto controllo degli Alleati, né nei territori orientali, dell’Istria e a Zara, che furono ceduti alla Jugoslavia, e a Trieste, che fino al 1954 rimase sotto una forma di amministrazione internazionale.

La Festa della Repubblica si celebra dal 1948, ma non è stata sempre il 2 giugno. Nel 1977 per questioni economiche (per non perdere un giorno lavorativo) si decise di renderla una festa “mobile” che ricorreva ogni anno la prima domenica di giugno. L’anno precedente non si festeggiò a causa del terremoto che colpì il Friuli Venezia Giulia il 6 maggio 1976. Fu reintrodotta come giorno festivo al 2 giugno nel 2000 dal secondo governo Amato, su iniziativa del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Il cerimoniale ufficiale della Festa della Repubblica prevede che il presidente della Repubblica deponga una corona d’alloro in omaggio al Milite Ignoto, all’Altare della Patria che si trova a Roma in piazza Venezia. Lungo i Fori Imperiali a Roma si svolge poi la sfilata delle forze armate. Oltre all’Esercito Italiano, alla Marina Militare, all’Aeronautica Militare e ai Carabinieri, alla parata partecipano anche la Guardia di Finanza, la Polizia, i Vigili del Fuoco, la Guardia Forestale, la Croce Rossa Italiana e alcuni corpi della Polizia municipale di Roma e della Protezione Civile.

Non è però sempre stato così.

Redazione il Post

Chi è Karol Nawrocki, il nuovo presidente polacco

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Karol Nawrocki, Jasionka, Polonia, 27 maggio 2025 (AP Photo/Alex Brandon, Pool)

Ha poca esperienza politica e la sua campagna elettorale è stata piena di polemiche e scandali

Karol Nawrocki, politico polacco del partito di estrema destra Diritto e Giustizia (PiS), ha vinto le elezioni presidenziali e sarà il nuovo presidente della Polonia. Inizierà il suo mandato il prossimo 6 agosto.

Nawrocki è nato a Danzica, ha 42 anni e prima di essere scelto da Diritto e Giustizia nel novembre del 2024 come candidato per le elezioni presidenziali polacche era praticamente uno sconosciuto. Nella sua carriera è stato soprattutto un intellettuale vicino a Diritto e Giustizia, e solo durante la campagna elettorale ha acquisito notorietà e anche un certo carisma.

Nawrocki ha un dottorato in storia e nei suoi studi si è occupato soprattutto del ruolo dell’Unione Sovietica nella storia della Polonia contemporanea e di Solidarność, il famoso sindacato di Lech Walesa, che divenne presidente nel 1990: «Ha scritto la tesi in un anno, basandosi su 158 testimonianze. Era un bravo studente, capace di impegnarsi molto», ha dichiarato a Le Monde il suo docente di allora, Grzegorz Berendt, che ora fa parte del comitato nazionale che ha sostenuto Nawrocki alla presidenza. Lo descrive come una persona con «un carattere forte, un combattente».

Tra il 2017 e il 2021 Nawrocki ha diretto il museo della Seconda guerra mondiale di Danzica, prima di assumere la presidenza dell’Istituto della Memoria Nazionale, il cui scopo è fare ricerca storica sui crimini commessi in Polonia durante la Seconda guerra mondiale e il periodo comunista, concluso nel 1989: il suo lavoro ha insomma da sempre una forte connotazione politica antisovietica e più in generale contro i partiti riconducibili alla sinistra. Dal 2018, l’Istituto è infatti diventato uno dei principali strumenti di riscrittura della memoria avviata dal PiS, in senso conservatore. I partiti che oggi sono al governo accusano Nawrocki di aver dato un grosso contributo in questo senso.

Karol Nawrocki con alcuni membri della sua famiglia al seggio elettorale, Varsavia, Polonia, 1 giugno 2025 (AP Photo/Czarek Sokolowski)

Prima di queste elezioni Nawrocki non aveva esperienza politica e all’inizio della campagna elettorale ne ha sofferto: evitava le domande dei giornalisti e parlava poco.

In questi mesi si è parlato di lui anche in relazione a diversi scandali che l’hanno coinvolto: è emersa per esempio la vicenda di una seconda casa che avrebbe acquistato a un prezzo molto più basso rispetto a quello di mercato da una persona anziana con disabilità, benché durante la campagna elettorale avesse dichiarato di avere solo una casa «come la maggior parte dei polacchi». Nawrocki poi è un pugile dilettante e alcuni documenti hanno rivelato la sua vicinanza a un gruppo organizzato di pugili e buttafuori vicini agli ambienti neonazisti. Il sito di news Onet l’ha poi accusato di aver gestito un giro di sfruttamento della prostituzione mentre lavorava in un hotel di Sopot, una località balneare sul Mar Baltico, non lontano da Danzica.

Il caso più surreale, però, ha riguardato la doppia identità che Nawrocki si era creato per scrivere e promuovere un suo libro. Durante la campagna elettorale infatti si è scoperto che nel 2018 Nawrocki aveva pubblicato un libro su un criminale polacco degli anni Novanta, Nikodem “Nikoś” Skotarczak, spacciandosi per un autore che non esiste, Tadeusz Batyr.

Nawrocki aveva scritto sui social di aver incontrato Batyr di persona; viceversa in alcune interviste Batyr sosteneva di essersi ispirato al lavoro di storico di Nawrocki per la sua opera, elogiandolo molto. In una di queste interviste Batyr/Nawrocki parlava con la voce camuffata e l’immagine sfocata, per non essere riconosciuto. Nelle ultime settimane il video era circolato online e in molti lo avevano preso in giro per questa goffa trovata pubblicitaria. Dopo avere ammesso che effettivamente dietro il nome di Tadeusz Batyr c’era proprio lui, Nawrocki aveva spiegato che la copertura serviva a proteggerlo dalle ritorsioni della criminalità organizzata, e che «gli pseudonimi letterari» non erano «nulla di nuovo». La copertura non era comunque così impenetrabile: Tadeusz è il suo secondo nome.

Karol Nawrocki con Kristi Noem, segretaria alla Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Rzeszów, Polonia, 27 maggio 2025 (AP Photo/Alex Brandon, Pool)

Nawrocki ha posizioni molto conservatrici che in alcuni casi superano quelle del partito che l’ha sostenuto. È decisamente contrario all’aborto, ma anche alla contraccezione di emergenza e alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Ha definito la Russia uno «stato barbaro», ma allo stesso tempo è contrario all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella NATO. Il suo slogan durante la campagna elettorale era “prima la Polonia, prima i polacchi” e ha spesso criticato gli aiuti e il sostegno dati ai rifugiati ucraini che vivono nel paese spiegando tra le altre cose che, «nelle code davanti agli studi dei medici e agli ospedali», i polacchi dovrebbero «avere la priorità». Ha anche criticato l’Ucraina per non aver «mostrato gratitudine per ciò che i polacchi hanno fatto» e ha accusato il presidente Volodymyr Zelensky di «insolenza» nei confronti della Polonia.

Nawrocki è anche critico nei confronti dell’Unione Europea, ha spesso attaccato il ruolo che in Europa hanno Francia e Germania, è contrario al Green Deal e ha buoni rapporti personali con il presidente statunitense Donald Trump, che ha incontrato più volte.

Redazione il Post

Firenze, la stazione di Rifredi nel degrado: persone con disabilità e anziani chiedono interventi urgenti

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Sottopassi pericolosi dopo le 21, veri e propri percorsi a ostacoli per le persone con disabilità: “Hanno fatto le scale senza uno scivolo”

FIRENZE –  Condizioni di totale degrado a Firenze, per la stazione di Rifredi, snodo ferroviario alle porte del capoluogo toscano. Come spiega TgCom24, infatti, mancano sorveglianza, biglietteria, ascensori o servizi funzionanti. “Noi la comodità non sappiamo neanche cosa sia, quindi ci accontentiamo”, dice un cittadino.

I sottopassi sono considerati pericolosi dopo le 21, mentre anziani e persone con disabilità affrontano ogni giorno un vero percorso a ostacoli. “Hanno fatto le scale senza uno scivolo, è un disagio grosso”, si lamentano i cittadini.

La Cgil chiede di rivedere il contratto di servizio con Trenitalia, valido fino al 2034. Massimo Falorni, Spi Cgil: “Questa stazione aspetta risposte.”

Redazione Superabile

 

La Comunità di Madrid investe oltre 2 milioni di euro per l’assistenza ai disabili

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La Comunità di Madrid investe 2,1 milioni di euro per sostenere il mantenimento di servizi specializzati di informazione e di orientamento e per lo sviluppo di vari programmi di promozione della vita autonoma delle persone disabili.

Le sovvenzioni, appena pubblicate nella Gazzetta ufficiale della Comunità di Madrid (BOCM), saranno assegnate mediante gara, e le persone interessate potranno presentare domanda fino al 16 giugno.

Redazione ESG Data
fonte: www.comunidad.madrid

 

Lingua dei Segni, un progetto sperimentale di sensibilizzazione promosso nella Scuola dell’Infanzia Acropoli di Arezzo

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Arezzo, 1 giugno 2025 – Un bellissimo progetto sperimentale di sensibilizzazione alla lingua italiana dei segni (LiS) è stato promosso nella Scuola dell’Infanzia Acropoli di Arezzo.

In occasione della Festa di fine anno, venerdì 30 maggio i bambini hanno potuto cantare e “segnare” una divertente canzone dal titolo Come un pittore inerente al tema della programmazione annuale sull’arte.

I bambini hanno imparato a cantare anche con le mani e lo hanno fatto esibendosi davanti a maestre, genitori e nonni.

In fondo un piccolo grande segno può fare sempre la differenza!

È quanto ritiene la Maestra Immacolata Bosco della scuola dell’Infanzia Acropoli che assieme alle colleghe Chiara Canoschi ed Angela De Fazio ha avviato un innovativo progetto di introduzione della Lis (la lingua italiana dei segni) come strumento di comunicazione, inclusione e crescita relazionale per bambini da 0 a 6 anni.

Una grande mano all’integrazione tra bambini che spesso arrivano da lingue e culture diverse.

“Un percorso sorprendentemente efficace – afferma la Maestra Immacolata Bosco – una scommessa semplice di offrire un canale espressivo in più (visivo e corporeo) a bambini”.

“I nostri bambini hanno cominciato ad utilizzare i segni con facilità – continua l’amatissima Maestra Immacolata – anche per esprimere bisogni quotidiani, emozioni e concetti legati alla routine come il cibo, l’igiene, la famiglia”.

“Insegnare la LIS (Lingua Italiana dei Segni) ai bambini può essere fatto attraverso vari approcci, tra cui giochi, attività ludiche, canzoni, app e corsi specifici – interviene la Dirigente Scolastica dell’I.C. Cesalpino Sandra Guidelli – l’importante è rendere l’apprendimento divertente e stimolante, coinvolgendo il bambino in attività interattive”.

“La LIS è lingua vera e propria riconosciuta dallo Stato italiano con una ben definita struttura fonologica, morfologica e sintattica – aggiunge Sandra Guidelli – la differenza della lingua italiana parlata, è solamente visiva. Spiegare cos’è la LIS a scuola e insegnarla è fondamentale per creare un ambiente accogliente e fornire uno strumento utile per una comunicazione che possa andare oltre la parola parlata”.

Per Arezzo si tratta di un progetto sperimentale unico.

I 35 bambini della Scuola dell’Infanzia Acropoli che hanno partecipato al progetto hanno mostrato molta curiosità verso i segni con una maggiore attenzione, una straordinaria coesione del gruppo, il miglioramento della comunicazione e un senso condiviso di appartenenza.

“I nostri bambini hanno confermato quanto il linguaggio dei segni possa essere uno straordinario strumento di comunicazione – conclude Immacolata Bosco – una buona pratica educativa che potrebbe diventare un modello replicabile in altri contesti”.

Redazione La Nazione Arezzo