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Una compagnia aerea saudita riprende i voli verso l’Iran dopo 10 anni

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@ANSA

Collegamento diretto di Flynas da Teheran per trasportare pellegrini durante i rituali dell’Haji

Il primo volo diretto dopo un decennio dall’Arabia Saudita a Teheran è stato effettuato oggi dalla compagnia aerea saudita Flynas.

L’aereo è atterrato a Teheran ieri sera per trasportare i pellegrini dell’Hajj dall’aeroporto Imam Khomeini della capitale all’Arabia Saudita.

I voli fanno parte dell’accordo tra Teheran e Riyadh per il trasferimento dei pellegrini iraniani da Teheran e Mashhad in Arabia Saudita, durante i rituali dell’Hajj del 2025, secondo quanto riportato dalla TV di Stato.

Redazione Ansa

 

Karela, okra e annona

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(Alice De Luca/il Post)

Due verdure e un frutto da poco prodotti e venduti anche in Italia, per la prossima volta che andate al mercato

Nei mercati di alcune città italiane si trovano specie esotiche di frutta e verdura che non c’erano fino a qualche anno fa e che a molti sono ancora sconosciute. Vengono soprattutto dall’Asia meridionale e dall’Africa, oltre che dal Centro e dal Sudamerica. Sono prodotti che maturano con le temperature alte dei paesi di origine, ma negli ultimi anni alcuni agricoltori hanno provato ad avviare piccole coltivazioni sperimentali anche in Italia. È un mercato di nicchia ed è fatto ancora per la quasi totalità da prodotti importati, ma il consumo di questi cibi è in aumento, alimentato dalle richieste delle comunità di immigrati.

Un esempio è la karela, anche detta ampalaya: una verdura simile a un cetriolo bitorzoluto, con una buccia verde coperta da escrescenze gommose. Matura su una pianta rampicante originaria dell’India ma è utilizzata come ingrediente nelle ricette di tanti altri paesi asiatici. In Italia è conosciuto come “melone amaro” a causa del suo gusto pungente, che lo rende una verdura difficile da apprezzare per chi non è abituato al sapore.

I fruttivendoli al mercato del quartiere Isola di Milano, dove viene venduto in un paio di banchi, spiegano che la parte commestibile è quella della buccia e che solitamente viene tagliato per il lungo, svuotato dell’interno spugnoso e mangiato con un ripieno di carne, oppure fatto a fette e saltato in padella.

Karela (Il Post)

Più delicato è invece il sapore dell’okra o gombo, una verdura che assomiglia a un peperoncino verde: se tagliata a metà appare collosa e la sezione ha una tipica forma a stella, con tanti semi bianchi piccoli e sferici. Cresce su arbusti originari dell’Africa orientale, ora coltivati anche in Asia e in America ma presenti anche in Europa. Gli ortolani che vendono l’okra al mercato Esquilino, uno dei più multietnici di Roma, spiegano che è una verdura molto usata nei paesi più poveri, perché costa poco ma rende i piatti sostanziosi.

Okra (Il Post)

Un altro prodotto esotico che si trova nei mercati italiani è l’annona o cerimolia, frutto di una pianta originaria dell’altopiano andino, in Sudamerica. Ha le dimensioni di una mela ed è coperta da una buccia verde e sottile con un disegno a squame. La polpa all’interno, color latte e ricca di grossi semi neri, ha una consistenza morbida e viene mangiata col cucchiaio. L’annona è un frutto tropicale poco conosciuto ma a differenza di okra e karela è presente in Italia già da tempo, importato verso metà Ottocento grazie ai commerci con la Spagna. Le coltivazioni si concentrano in una striscia di terra molto ristretta, lunga tra i 60 e i 70 chilometri, nell’area costiera di Reggio Calabria: una delle poche zone nella penisola, insieme ad alcune parti della Sicilia, dove le particolari condizioni climatiche hanno permesso alla pianta di attecchire con successo.

Annona (Il Post)

Proprio in questo territorio, nel comune di Fiumara, c’è l’azienda agricola Edulè Sas di Giuseppe Bellè e Francesco Anghelone, che hanno acquistato un frutteto di annona attivo dagli anni Sessanta e ora la vendono da quasi otto anni. Bellè spiega che tante persone ancora non conoscono l’esistenza dell’annona a causa della sua produzione limitata, «ma con un po’ di pubblicità e partecipando ad alcuni eventi – dice l’agricoltore – siamo riusciti a creare un circolo di clientela che da anni la apprezza e continua a comprarla».

Nonostante l’annona sia venduta in tutta Italia, dice Bellè, «il commercio si limita a un mercato di nicchia, che non arriva alla grande distribuzione».

La caratteristica di questo frutto, infatti, è che dopo averlo staccato dall’albero ha un tempo di vita di massimo quattro o cinque giorni, che renderebbe difficile un commercio su larga scala. I pochissimi frutti di annona che si possono vedere in una catena di supermercati, dice ancora l’agricoltore, «arrivano dalla Spagna, da Israele e dal Sudamerica, ma riescono a mantenersi per molto tempo perché vengono trattati».

Sono ancora più piccole le coltivazioni in Italia di okra e karela. Secondo la Confederazione Italiana degli Agricoltori (Cia) per il momento esistono spesso solo in forma sperimentale, nella maggior parte dei casi portate avanti da persone che lo fanno per hobby. Matteo Chesta, proprietario di un’azienda agricola in provincia di Cuneo, in Piemonte, ha provato a coltivare okra e karela in maniera amatoriale, scontrandosi con diverse difficoltà che oggi lo hanno portato a mantenere soltanto una limitatissima produzione di okra da vendere direttamente a pochi clienti locali.

«I problemi principali» spiega Chesta «sono stati i costi di produzione di questi ortaggi e la difficoltà di far filiera», cioè di trovare punti vendita disposti ad acquistare questa verdura e a smerciarla ai clienti. Poi ci sono le difficoltà nella coltivazione: le piante di okra e karela sopravvivono nei climi tropicali, con molta umidità e temperature costanti tra i 10 e i 30 gradi. «Ma sono condizioni molto difficili da ricreare», dice Chesta. Abituate a un ambiente sempre uguale, queste coltivazioni hanno cicli di vita molto lunghi e nel nostro clima, che varia in base alle stagioni, non riescono a produrre frutti nei pochi mesi dell’estate.

Non a caso, fa notare Chesta, «gli anni delle sperimentazioni che sono venuti bene erano gli anni più siccitosi, caldissimi». Di recente ce ne sono stati diversi, causati anche dai cambiamenti climatici.

Nonostante gli ostacoli nella coltivazione e la difficoltà di trovare rivenditori che vogliano commercializzarli, secondo Chesta la domanda di okra e karela c’è. «C’è un riscontro e una richiesta enorme da parte dei consumatori in Italia perché tante persone immigrate li mangiano». Ma l’esperienza dimostra che i posti più adatti per coltivarli in Italia sono al Centro-sud.

Sta puntando per esempio sull’okra Marco Mollona, proprietario dell’azienda agricola Vita da Furese in provincia di Lecce, in Puglia. «Abbiamo iniziato la coltivazione dell’okra nel 2023 – racconta – dedicando inizialmente una piccola superficie di circa 200 metri quadrati. Nel 2024 l’abbiamo ampliata leggermente, arrivando a circa 300. La resa media stagionale è stata finora di 150-200 chili, ma puntiamo a migliorarla nei prossimi anni».

Quello di Mollona resta, per il momento, un progetto sperimentale e di portata ridotta, dal momento che la maggior parte dell’okra coltivata viene venduta e consumata in Salento, ma i primi risultati nelle vendite sono stati incoraggianti.

Redazione Il Post

L’indagine che ipotizza una storia molto diversa sui Bronzi di Riace

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(Ansa)

E cioè che non siano davvero “di Riace”

La procura di Siracusa sta indagando per ricostruire quando e dove furono trovati realmente i Bronzi di Riace per la prima volta: la storia finora conosciuta è che li trovò un giovane sommozzatore romano il 16 agosto del 1972 nel mare Ionio, al largo delle coste di Riace Marina, in provincia di Reggio Calabria. L’ipotesi che ha portato all’apertura di un’inchiesta giudiziaria invece è che vennero trasferiti lì dopo essere stati scoperti nei fondali di Brucoli, in provincia di Siracusa, da una squadra di sommozzatori che ne avrebbe organizzato lo spostamento per gestirne la successiva vendita sul mercato clandestino.

La possibilità che in epoca moderna i due Bronzi siano stati in realtà trovati nelle acque della Sicilia, e solo in un secondo momento trasferiti a Riace, è legittimata in parte da alcune ricerche archeologiche e scientifiche che esistono fin dagli anni Ottanta. Di recente la questione è stata riaffrontata da una rivista specialistica di archeologia e poi dal Tg1, in un approfondimento con presunti testimoni dell’epoca di cui però è difficile verificare l’attendibilità.

La validità di questa ipotesi viene sostenuta con alcuni dati e ricerche archeologiche e scientifiche, ma anche con supposizioni che in base agli elementi al momento disponibili non possono essere verificate. Le nuove ricerche potrebbero in ogni caso aiutare a chiarire alcune delle molte questioni irrisolte intorno ai Bronzi di Riace, che riguardano soprattutto l’incertezza sulla loro collocazione originaria.

I Bronzi di Riace sono due statue di bronzo sopravvissute per secoli sotto la sabbia e quasi perfettamente conservate, cosa molto rara per le statue antiche in materiali diversi dalla pietra. Rappresentano due guerrieri completamente nudi, simili tra loro, con barba e capelli ricci e sono conservati nel Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. Suscitarono da subito un’enorme curiosità a livello internazionale sia nel pubblico sia negli esperti di arte antica: per le molte questioni archeologiche poco chiare che ancora li riguardano e per il modo in cui furono trovati.

(LaPresse)

I Bronzi furono realizzati con una tecnica chiamata “fusione a cera persa”. Semplificando molto: veniva creato un modello di cera da cui poi si ricavava uno stampo di argilla in cui venivano praticati dei fori. Quando l’argilla si era asciugata, scaldando lo stampo la cera colava via, e il bronzo fuso veniva versato nei fori: solidificandosi nello stampo si creava la statua; spesso veniva utilizzata un’anima in argilla tra la cera e lo stampo, in modo che il metallo fosse un guscio sottile, che rendeva la statua leggera. Le varie parti, per statue di queste dimensioni, venivano realizzate separatamente e fuse tra loro in un secondo momento.

Verso il riconoscimento del siciliano come lingua: la proposta di legge all’Ars

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Uno scritto in dialetto (foto Cademia Siciliana)

Il Ddl di iniziativa parlamentare si propone di ottenere dalla Repubblica, come previsto dall’articolo 6 della Costituzione, l’ammissione dell’idioma identitario della Sicilia tra le minoranze linguistiche

Un Ddl voto sul riconoscimento della lingua siciliana. E’ stato presentato ieri, promosso dai deputati Lombardo, Di Mauro, Carta e Balsamo del gruppo parlamentare Popolari e Autonomisti. Il disegno di legge arriva così all’Ars, su proposta del movimento Trinacria e dell’associazione Cademia Siciliana, a seguito della manifestazione del 30 marzo e della conferenza internazionale del 31 marzo: due eventi che hanno riportato all’attenzione pubblica e politica l’importanza della tutela e del riconoscimento della lingua madre della Sicilia.

Anthony Graziano, portavoce di Trinacria ha dichiarato: “Oggi si compie un passo importante per la nostra lingua, per chiedere che il siciliano venga riconosciuto nella sua dignità e valore. La nostra lingua è un patrimonio che non possiamo permettere di vedere scomparire. Chiediamo a gran voce che venga inserita nel quadro giuridico come lingua ufficiale accanto all’italiano, per garantirne la sopravvivenza e la trasmissione alle future generazioni. La lingua siciliana è l’essenza della nostra cultura, della nostra storia, della nostra identità. Siamo determinati a fare in modo che venga tutelata e valorizzata come merita”.

Il Ddl di iniziativa parlamentare si propone di ottenere dalla Repubblica, in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione, il riconoscimento della lingua siciliana quale idioma identitario della Sicilia e l’inserimento del siciliano tra le minoranze linguistiche riconosciute dalla legge del dicembre 1999, numero 482 e successive modifiche e integrazioni, cosicché possano trovare attuazione le disposizioni di tutela riconosciute ai sensi dell’articolo 2.

Paul Joseph Rausch, co-fondatore di Cademia Siciliana, commenta: “Questo non è un traguardo, ma solo l’inizio di un percorso intergenerazionale per garantire che le future generazioni di Siciliani abbiano la stessa opportunità che abbiamo avuto noi di diventare bilingui, fornendo loro gli strumenti e l’esposizione necessari per far nascere una nuova generazione di parlanti nativi di siciliano. Nonostante la nostra ampia autonomia ci consenta di attuare molte di queste proposte a livello regionale, auspichiamo una rapida approvazione a Roma, così da poterci unire ai nostri partner in Sardegna e nel Friuli-Venezia Giulia e intraprendere finalmente quel cammino che loro hanno aperto nel 1999”.

Un percorso che ha visto il coinvolgimento di Salvatore Lentini, già promotore dell’esistente legge 9/2011, che afferma: “Si dà seguito alla legge regionale 9/2011 (patrimonio linguistico) di cui sono primo firmatario. Ieri è stata depositata dai deputati dell’Mpa la proposta di legge voto per il riconoscimento della lingua siciliana. Ultimo atto per dare la giusta riconoscenza alla lingua siciliana autoctona. Ci auguriamo che il parlamento nazionale dopo il voto del parlamento regionale accolga la proposta”.

L’iter istituzionale e politico sta pure avendo seguito all’interno dei consigli comunali siciliani, dove è attualmente in via di deliberazione un manifesto di intenti e impegni per il riconoscimento del siciliano. I comuni che al momento hanno sottoscritto il manifesto sono: Alimena, Blufi, Bompensiere, Cassaro, Cinisi, Collesano, Licata, Montedoro, Montelepre, Montemaggiore Belsito, Mussomeli, Petralia Soprana, San Biagio Platani, San Cataldo, San Cipirello, Santa Cristina Gela e Serradifalco.

Redazione Palermo Today

 

Amici Animali: Claudia e Milo alla scuola cinofila con lingua dei segni

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Le persone sorde possono migliorare la relazione con i propri cani grazie all’iniziativa del Gruppo Cinofilo Romano Sparapan di Verona che ha istituito dei corsi speciali.
Claudia, a scuola con il suo cane Labrador,  Milo, segue le lezioni con l’aiuto dell’interprete LIS Manuela Giuliani.

di Mariangela Bonfanti
Redazione TG Verona Telenuovo

L’adozione del cuore di questa settimana è Vera, una vivace e affettuosa cagnolina meticcia di sette anni che si trova al rifugio Enpa di Verona da più di un anno.

 

 

La violenza ai giardini . Sprangate alla moglie sordomuta. Maxi condanna all’ex marito

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Otto anni e 25 giorni di reclusione per tentato omicidio: l’uomo ferì in testa la donna sordomuta di fronte al figlio piccolo. Aveva il divieto di avvicinamento

Una maxi condanna per il tentato omicidio dell’ex moglie: otto anni e 25 giorni in rito abbreviato, considerando lo sconto di un terzo della pena. La sentenza è stata emessa ieri pomeriggio dal gup Marco Malerba nei confronti di un kosovaro di 36 anni, Granit Isufay, difeso dall’avvocato Gabriele Terranova, che nel giugno dell’anno scorso ha preso a sprangate in testa la moglie sordomuta, 38 anni. La donna si è costituita parte civile, assistita dall’avvocato Barbara Londi. Alla parte offesa il giudice ha riconosciuto una provvisionale immediatamente esecutiva di 5.000 euro mentre il risarcimento del danno sarà calcolato in sede civile.

Il grave episodio risale al giugno scorso quando – era tardo pomeriggio – Isufay rintracciò l’ex moglie ai giardini di via Aiaccia a Poggetto (Poggio a Caiano) dove la donna viveva insieme alla famiglia da quando si era separata dal marito, che abitava a Quarrata. L’aggressione, fra l’altro, avvenne sotto gli occhi di innumerevoli passanti e, cosa ancor più grave, di fronte al bambino della coppia che all’epoca aveva appena un anno. La donna fu soccorsa da un’ambulanza mentre era a terra in una pozza di sangue con una grossa ferita all’altezza dell’orecchio. Il bambino era accanto a lei in lacrime. Intervennero anche i carabinieri della stazione di Poggio a Caiano.

I testimoni e la stessa vittima raccontarono che a colpirla in testa con una spranga di ferro era stato l’ex marito che, nel frattempo, era tornato nella sua casa a Quarrata. Rintracciato dai carabinieri venne subito arrestato. All’epoca, fra l’altro, Isufay era già destinatario di una misura cautelare di divieto di avvicinamento alla moglie emessa dal tribunale di Pistoia in seguito alla denuncia di maltrattamenti in famiglia, riferita a episodi avvenuti nel periodo in cui i due vivevano insieme a Quarrata.

Secondo quanto riferirono i testimoni, la donna si trovava ai giardini insieme al figlio piccolo. Il kosovaro arrivò all’improvviso, come una furia, brandendo la spranga di ferro. Quando la moglie lo vide, spaventata, tentò di scappare portandosi dietro il figlio ma fu raggiunta da Isufay che la colpì in testa con la spranga. La donna riportò una profonda ferita a un orecchio e fu sottoposta a un intervento chirurgico.

Dalle carte del processo è emerso che i rapporti fra i due erano tesi e difficili da tempo a causa della natura violenta dell’uomo. Nel periodo dell’aggressione l’uomo aveva il divieto di avvicinamento che però aveva disatteso più volte. In questo anno si è concluso anche il procedimento penale per maltrattamenti al tribunale di Pistoia e l’uomo è stato condannato a quattro anni e quattro mesi.

Dalle carte del processo è emerso che i rapporti fra i due erano tesi e difficili da tempo a causa della natura violenta dell’uomo. Nel periodo dell’aggressione l’uomo aveva il divieto di avvicinamento che però aveva disatteso più volte. In questo anno si è concluso anche il procedimento penale per maltrattamenti al tribunale di Pistoia e l’uomo è stato condannato a quattro anni e quattro mesi.

Ieri è arrivata la stangata in rito abbreviato: otto anni. Il giudice non ha riconosciuto la continuazione dei reati per quali è già stato condannato dal tribunale di Pistoia. Isufay è tutt’ora detenuto nel carcere della Dogaia.

Laura Natoli
Redazione La Nazione Prato

 

Meta aggiorna i suoi occhiali per migliorare l’accessibilità

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Descrizione del mondo con l’IA per non vedenti e ipovedenti

In occasione del Global Accessibility Awareness Day, la giornata internazionale a supporto delle disabilità, Meta ha annunciato nuove funzionalità per gli occhiali intelligenti Ray-Ban, sviluppati insieme a EssilorLuxottica.

Sfruttando la fotocamera e l’intelligenza artificiale, adesso gli occhiali possono raccontare in maniera più approfondita ciò che hanno intorno, così da divenire un supporto più prezioso per non vedenti e ipovedenti.

Meta ha condiviso un video dello strumento in azione, in cui un utente chiede a Meta AI, l’assistente del colosso americano lanciato le scorse settimane anche in Italia, di descrivere un’area verde in un parco. L’IA indica correttamente un sentiero, gli alberi e uno specchio d’acqua in lontananza. ‘Con questa nuova funzionalità, Meta AI sarà in grado di fornire risposte più descrittive quando le persone chiedono informazioni sull’ambiente circostante’ si legge in una nota ufficiale.

‘Questa novità sarà distribuita prima negli Stati Uniti e in Canada e poi in altri Paesi’. In un altro esempio, gli occhiali aiutano a a individuare cosa c’è sul tavolo di una cucina, spiegando nel dettaglio dove si trovano gli articoli, con riferimenti come destra o sinistra. Un altro annuncio dedicato all’accessibilità è “call a volunteer”, che mette automaticamente in contatto persone non vedenti o ipovedenti con una ‘rete di volontari in tempo reale’ per aiutarle a svolgere attività quotidiane. I volontari provengono dalla fondazione Be My Eyes e la piattaforma verrà lanciata entro la fine del mese in 18 paesi. Nei dispositivi di realtà estesa, come la linea di visori Vr Quest, arrivano invece i sottotitoli che convertono le conversazioni vocali in testo per i non udenti. 

Redazione Ansa

 

Nei 32mila hotel 2,2 milioni posti letto, salgono 4 e 5 stelle

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Assemblea Federalberghi a Merano, oltre 1 milione di camere

MERANOSono 32.194 gli alberghi italiani con un’offerta di poco più di 1 milione 68mila camere e di quasi 2 milioni 233 mila posti letto

A fronte di un processo di riqualificazione sempre più incisivo, hanno acquisito via via un peso sempre maggiore le categorie a 4 e 5 stelle: se nel 2000, infatti, rappresentavano l’8,5% dell’offerta alberghiera, nel 2023 hanno raggiunto il 22%. Di contro, i 3 stelle e le residenze turistico alberghiere hanno conquistato la vetta come categoria più rappresentativa (dal 42,2% al 55,2%). Emerge da un’indagine realizzata da Federalberghi e Tecnè presentata a Merano in apertura dei lavori della 75/a assemblea della federazione degli albergatori.

Dopo gli anni difficili della pandemia gli arrivi in hotel si attestano a un livello leggermente inferiore a quello del 2019, ma il numero di presenze è in crescita. Questo a riprova del fatto che si profila un turismo più stabile, indirizzato a soggiorni di maggior durata. A fare la differenza è il turismo internazionale: gli stranieri tornano in Italia con maggiore continuità, il che va a compensare la ripresa timida del turismo domestico. Nel dettaglio, nel 2024 le presenze in albergo sono state 283.566.417 e gli arrivi 89.087.262 per una permanenza media di 3,2 giorni. In particolare, i pernottamenti sono stati maggiori del +3% rispetto al 2023 e del +0,9% rispetto al 2019, anno del precedente record. Questo risultato è la sintesi di due andamenti contrapposti tra loro: i nostri connazionali hanno visto un calo di presenze del -1,2% sul 2023 e del -4,2% sul 2019. Al contrario, gli stranieri sono aumentati rispettivamente del +7,1% e del +6,1%. Nel primo trimestre 2025 le presenze alberghiere hanno sfiorato i 44,5 milioni con un calo del -1,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Lo scorso anno, la spesa dei turisti stranieri in Italia è stata pari a 54,2 miliardi di euro, con un aumento del 4,9% rispetto al 2023. In parallelo, è stato rilevato un aumento del numero di viaggiatori stranieri alla frontiera (+3,4%) passati da 85,7 a 88,6 milioni e una diminuzione dei pernottamenti (-1,0%). Ancora migliore il dato del primo bimestre 2025 la spesa di chi proviene da oltreconfine è stata di 5,5 miliardi: in aumento del 6,2% rispetto ai 5,2 miliardi dello stesso periodo del 2024.

“Siamo di fronte ad uno scenario che invita a fare grandi cose – ha commentato. Dopo gli anni della pandemia che hanno colpito duramente il settore, si è tornati ai livelli pre-covid. Il settore si conferma come una infrastruttura economica fondamentale per il Paese” dice il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca. “I nostri concittadini – aggiunge Bocca – stanno dimostrando di prediligere le strutture alberghiere, in particolare quelle votate alla sostenibilità. L’auspicio è che possano rappresentare una massa critica sempre maggiore. Posso dire con orgoglio che l’ospitalità italiana sposa la modernità: ci siamo adeguati velocemente alle tendenze in atto, senza dare nulla per scontato e lavorando sulla qualità dell’offerta, riqualificando le nostre strutture secondo i canoni dell’era green”. Ma ricorda Bocca “malgrado i buoni risultati, non si può lavorare in solitaria. Nel nostro comparto – conclude – conta moltissimo fare rete ma anche avere i supporti necessari affinché l’offerta possa essere attrattiva fino in fondo. Sotto questo profilo – conclude Bocca – siamo ancora carenti in termini di infrastrutture: il turismo vive e si esprime sul territorio. Non si possono fare miracoli se non si è agevolati nella raggiungibilità di una destinazione. Auspico che su questo tema si facciano veloci e risolutivi passi in avanti”.

Redazione Ansa