Venezia, la squadra che vince con la lingua dei segni

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MIRANO «Il mio segno-nome è “dolcezza” perché è connotazione del mio carattere, sono dolce con tutti». Ivana ha 17 anni, vive a Salzano, un paesino vicino a Mirano ed è sorda dalla nascita. Si è innamorata giovanissima della pallavolo, ha fatto di tutto per questo sporto, ma trovare la «sua» squadra è stato difficile. Fino a quando non è entrata nell’under-18 della Miranese Volley.

«Sono sorda, ma uguale a tutti gli altri»

Un «colpo di fulmine» reciproco tra lei e le quattordici ragazze e un allenatore, che hanno seguito tutti un corso di lingua dei segni perché Ivana si potesse allenare e in campo potesse giocare alla pari con tutte. «Sono sorda dalla nascita, ma sono uguale a tutti gli altri, posso giocare a pallavolo nel silenzio senza creare difficoltà al resto della squadra – racconta Ivana via Whatsapp – Mi trovo benissimo con le mie attuali compagne, mi capiscono, sono una di loro». Il punto di partenza? Un segno-nome ciascuno per indicarsi l’un l’altra.

Tutte a lezione

Organizzare un corso di LIS (lingua dei segni) per un’intera squadra non è stato semplice. «E’ cominciato tutto a settembre dell’anno scorso, quando ho incontrato Ivana che voleva iscriversi, aveva già giocato in altre squadre ma si era sempre sentita un po’ estranea – racconta Alessandro Pietrobon, direttore tecnico-sportivo – aveva negli occhi un’espressione rassegnata, che mi ha fatto riflettere. Ho una figlia della sua stessa età, mi sono messo in moto». Pietrobon ha parlato con l’allenatore Riccardo Bellò, che ha cercato di comunicare con Ivana a gesti, ma era complicato. Allora ha chiamato l’ente nazionale sordi, associazioni in tutta Italia «consumando il telefono», fino a trovare Laura Volpato, professoressa di LIS a Ca’ Foscari. «Non è stato facile trovare uno sponsor, ma grazie al contributo dei genitori di tutte le ragazze siamo riusciti a far partire 12 lezioni, a cui abbiamo fatto partecipare anche il fratello di Ivana, tredicenne anch’egli affetto da sordità, con il suo allenatore – ricorda Pietrobon – L’ultima lezione è stata commuovente, Ivana ha raccontato come affronta la sua vita, di quando a scuola non le permettevano di suonare il flauto o ritenevano che non potesse imparare l’inglese».

Tenacia, lingua dei segni (e pizza dopo l’allenamento)

Nei primi mesi, dopo le partite, Ivana tornava a casa, evitando la pizza collettiva: ora non manca mai. «Ci siamo fatti raccontare la sua storia, tra lingua dei segni ed improvvisazioni: la consideriamo come un’atleta straniera, che parla una lingua diversa dalla nostra che stiamo piano piano imparando» dice Pietrobon. Anche l’allenatore Bellò è colpito dalla tenacia di Ivana: «E’ una ragazza molto in gamba, sta crescendo nel suo ruolo di banda ricevitrice, in campo non molla mai. Nei primi mesi non è stato semplice per me imparare i segni, ma ci siamo esercitati tanto, provando anche a fare allenamenti in totale silenzio. È stata supportata soprattutto dalle ragazze, che anche in campo le hanno dato indicazioni e aiutata quando non ero di fronte a lei». Per il futuro, Ivana ha un sogno: riuscire ad entrare nella nazionale italiana volley non-udenti: «Il mio obiettivo è far riconoscere a tutti che la sordità esiste, ma non è un limite e diffondere la lingua dei segni, così che le persone possano imparare a conoscerci».

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