Affetto da autismo, diventa professore a Cambridge. l’Università britannica: “Tutto è possibile”

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di Andrea Tinari

Jason Arday, 37 anni, ottiene la cattedra in sociologia. E’ anche il più giovane professore nero della storia del prestigioso ateneo inglese: la scommessa (vinta) contro i medici, secondo i quali avrebbe avuto bisogno di “sostegni per tutta la vita”

Se non fosse che – a suon di studi e pubblicazioni – ha “smentito” tutti i medici che lo avevano diagnosticato ad 11 anni, la storia di Jason Arday, sembrerebbe sulla scia di un politically correct rigorosamente applicato in Gran Bretagna. Ma Jason, 37 anni, affetto da autismo e – da bambino – di ritardo nello sviluppo, dimostra che “Tutto è possibile”: come recita il messaggio di felicitazioni, pubblicato dall’Università di Cambridge annunciando l’assegnazione dell’incarico. Dal 6 Marzo, il professor Arday, insegnerà nella cattedra di sociologia del prestigioso ateneo britannico: il sostegno incrollabile della madre e quel Tutor italiano sempre al suo fianco.

Il Tweet della prestigiosa Università britannica: “Tutto è possibile”, “Benvenuto a Cambridge!“.

“Un giorno insegnerò ad Oxford e Cambridge”
C’è il sapore del “vanto” dell’Università nel testo del messaggio, un segnale di apertura a quelle che una volta venivano chiamate “minoranze” (anche questa parola ormai vetusta ed in disuso), ma tra le righe del comprensibile orgoglio dell’Istituzione britannica, c’è una novità che farà – probabilmente – scuola (e seguaci): Ardey, infatti, è anche il più giovane professore nero nella storia dell’ateneo.

Una carriera cominciata – racconta il giovane professore al Guardian – dieci anni fa, quando Jason Arday “scrisse sul muro della camera da letto di sua madre una serie di obiettivi da raggiungere, il terzo recitava: “Un giorno insegnerò a Oxford e Cambridge”. Centrato.

Una foto dal profilo di Jason, con sua moglie il giorno del matrimonio  

La scommessa vinta contro i medici
In pochi, tra amici e familiari ci credevano – continua il Guardian – “Jason non solo non ha imparato a parlare fino all’età di 11 anni, ma ha iniziato a scrivere solo dopo la maggiore età”: un sogno che sembrava irraggiungibile ai più, a chi lo circondava, e considerato impossibile probabilmente anche dai medici, che alla madre avevano detto in modo chiaro, senza filtri: “avrà bisogno di medici e terapisti a seguirlo, per tutta la vita”.

Fino a 18 anni, comunicava con i segni
Jason Arday, è nato a Clapham (Londra Sud) insieme ad altri tre fratelli, fino a 18 anni, usava il linguaggio dei segni. Ha fatto per lungo tempo il commesso in un supermercato, mentre studiava giorno e notte, con la tenacia per raggiungere il suo obiettivo: la laurea all’Università.

Il presidente sudafricano Frederik Willem de Klerk e il leader anti-apartheid Nelson Mandela si rivolgono ai media durante una conferenza stampa congiunta, dopo gli storici colloqui tra il governo sudafricano e l'ANC a Città del Capo( WALTER DHLADHLA / AFP / Getty Images)
Il presidente sudafricano Frederik Willem de Klerk e il leader anti-apartheid Nelson Mandela si rivolgono ai media durante una conferenza stampa congiunta, dopo gli storici colloqui tra il governo sudafricano e l’ANC a Città del Capo

La “molla” nelle immagini epocali di Mandela
A fargli scattare una “molla” dentro – ha raccontato invece alla Bbc – furono due immagini, due eventi chiave: il rilascio di Nelson Mandela dal carcere, ed il simbolico trionfo del Sudafrica nella Coppa del mondo di rugby del 1995″: da quegli eventi Ardey ricorda di “Essere stato profondamente commosso dalla sofferenza degli altri e da un forte impulso ad agire“. E così ha fatto.

Università di CambridgeGetty
Università di Cambridge

Un Tutor italiano sempre al suo fianco
Sua madre – così nel reportage della Bbc – ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della sua autostima e delle sue capacità, usando una “vasta gamma di musica”, nella speranza che lo potesse aiutare a sviluppare in lui la “Concettualizzazione del linguaggio“, superare il gap comunicativo (e mentale) che lo aveva perseguitato sin dall’infanzia. Il sostegno costante del genitore, si è accompagnato ad un interesse crescente verso la cultura popolare, le sue radici, che Jason ha coltivato supportato dal suo mentore – il tutor universitario ed amico, l’italiano Sandro Sandri – fino a che soltanto
nell’adolescenza, è riuscito ad iniziare a leggere e scrivere. Poi la Laurea in educazione fisica e studi sull’educazione, all’Università del Surrey, prima di diventare insegnante.

Crescere in una zona relativamente svantaggiata e poi lavorare come insegnante di scuola, dice, gli ha dato una visione di prima mano delle disuguaglianze sistemiche che i giovani appartenenti a minoranze etniche hanno dovuto affrontare nell’istruzione.

Foto d'archivio, Londra, Gran Bretagna Ansa
Foto d’archivio, Londra, Gran Bretagna

La lunga “corsa” di Jason e gli obiettivi accademici
Nel 2018, il prof. Arday ha pubblicato il suo primo articolo e si è assicurato una cattedra senior presso la Roehampton University prima di passare alla Durham University, dove è stato professore associato di sociologia.
-Nel 2021 è diventato professore di sociologia dell’educazione presso la School of Education dell’Università di Glasgow, rendendolo, all’epoca, uno dei professori più giovani del Regno Unito.
Assumerà il suo nuovo ruolo a Cambridge il 6 marzo, e si dichiara particolarmente interessato a migliorare la rappresentanza delle minoranze etniche nell’istruzione superiore: “Il mio lavoro si concentra principalmente su come possiamo aprire le porte a più persone provenienti da contesti svantaggiati e democratizzare veramente l’istruzione superiore”, ha detto.

Oxford collegeGetty
Oxford college

Gb, in Università solo 155 insegnanti di colore
Attualmente ci sono solo cinque persone di colore che sono professori all’università di Cambridge, secondo i dati ufficiali della Higher Education Statistics Agency, nel 2021 solo 155 degli oltre 23.000 professori universitari nel Regno Unito erano di colore.

 

“La mia storia dimostra che niente è impossibile”

Arday – nell’intervista al Guardian – conclude con un invito, che sa di un monito a molti altri: “Le parole non servono a niente, contano i fatti, c’è ancora tanto fare, ma la mia storia dimostra che niente è impossibile”.

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