«Access+Ability»: la rivoluzione del design che sposa l’handicap

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Un orecchino di perle colorate (ma in realtà è un apparecchio auditivo), la «cover» di una protesi per una gamba decorata a motivi tattoo, una camicia che si abbottona con dei magneti, l’orologio in braille.

E molto altro.

Quando il design incontra l’handicap, estetica e funzionalità diventano una doppia sfida (per inciso, questo è un mercato che tocca un miliardo di persone nel mondo). Una ventina di oggetti (alcuni già in produzione), espressamente ideati e realizzati insieme con individui che hanno una disabilità fisica, psicologica o cognitiva, compongono la mostra «Access+Ability» realizzata dal Cooper Hewitt Smithsonian Design Museum di New York e che viaggia in parallelo con il World Economic Forum di Davos che quest’anno si occupa proprio di questo tema dell’accessibilità e dell’inclusione (dal 22 al 25/01).

Il museo accessibile

Dal 1990 il museo americano è un avamposto per questo tipo di ricerche e proposte che riguardano la disabilità. La direttrice di allora era affetta da sclerosi multipla quindi rese il museo sempre più accessibile a chi era in carrozzina. Nel 1998 organizzò anche la mostra «Unlimited by design». Cara McCarty, capo-curatrice del Cooper Hewitt, quando ancora lavorava al museo MoMa realizzò nel 1988 «Design for independent living», la prima mostra in assoluto nel mondo su questo tema. «Ero giovane e mi coinvolse molto, ricordandomi anche di esperienze precedenti. Quando ero al college tra noi c’era un ragazzo paraplegico. Poi due volte alla settimana mi occupavo come volontaria di un’anziana signora, mentre quattro anni fa il mio partner ha avuto un brutto incidente ed è in carrozzella», racconta Cara. «Dal 1988 a oggi le cose sono molto cambiate, molte società sono diventate più sensibili, e ci sono giovani creativi interessati a un design sociale e che vogliono applicarsi a questo campo. Vogliono fare una differenza nel mondo. Molti prodotti possono essere pensati e realizzati per gruppi di persone più allargati. Così da essere l’equivalente degli scivoli dei marciapiedi, di cui oggi beneficiamo tutti».

Questo particolare design tiene conto di concetti chiave quali: autonomia, dignità, fiducia in se stessi. È importante poter scegliere il proprio stile. Molto spesso i facilitatori per i disabili derivano dal settore medico, e questo stigmatizza una persona. Mettersi una protesi decorata è come indossare ogni giorno un vestito nuovo. E questo dà anche fiducia in se stessi. Non sono costosi, oltretutto. Le nuove tecnologie, come quella in 3D, hanno aperto nuove frontiere. È stata sviluppata una speciale carrozzella per i Paesi in via di sviluppo, che può andare su terreni accidentati.

La t-shirt che vibra

L’italiana Francesca Rosella e Ryan Genz di Cute Circuit hanno ideato una maglietta che vibra. Entrambi lavorano sul design interattivo, sono interessati alla moda, e sono stati incaricati dalla sinfonica di Amburgo di realizzare il prototipo di una t-shirt intessuta di sensori che captino segnali dal palcoscenico ritrasmettendoli alla persona non udente, così da percepire sulla propria pelle le vibrazioni della musica che s’irradiano sulle mani, sulle braccia e sul torace. Questa tecnologia può essere sviluppata in molte varianti, può aiutare a sentire la temperatura in individui che hanno problemi di sensibilità termica. «C’è poi la comunicazione hand-free, grazie al tablet Tobii. Consente di scrivere un’email con gli occhi», prosegue Cara: «Sarà utilissimo a chi è tetraplegico, ma anche a noi».

https://www.corriere.it/

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