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venerdì 29 Marzo 2024
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«Carlo Acutis, il mio studente beato. Era come un pezzo di cielo»

La storia di Carlo Acutis raccontata, dopo la beatificazione, dal suo insegnante: «A 13 anni scriveva che la vita è bella e impegnativa e non la si costruisce su ciò che è effimero»

«Aveva una finezza, una signorilità innate… Per dire: c’era il portinaio, Mario, una figura storica del Leone XIII. Carlo, come altri ragazzi, lo salutava ogni mattina all’ingresso. Però capitava che talvolta entrasse dalla piscina, a lato. Mario mi ha raccontato che in quei giorni “il Carlo” andava a salutarlo all’intervallo, quasi scusandosi di non averlo fatto prima». Il padre gesuita Roberto Gazzaniga era assistente spirituale dei liceali in quegli anni, una figura analoga a quella della guida negli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio. E lo ricorda bene, Carlo Acutis, il ragazzo milanese di 15 anni morto nel 2006 di leucemia fulminante che ieri, nella Basilica Superiore di Assisi, è stato proclamato solennemente «beato».

Che ragazzo era Carlo?

Si è ripetuto: un ragazzo normale. È così?

«Un ragazzo capace di sorridere e scherzare, una presenza positiva. Una di quelle persone che, quando ci sono, tu stai meglio. Che ti aiutano a vivere, a livello umano e di fede. Lo vedevo e mi veniva da dire: questo è un pezzetto di cielo per gli altri ragazzi».Padre Roberto Gazzaniga

«Sì, ma di una normalità, una quotidianità dotata di spessore. Carlo era dotato. Molto. Sia dal punto di vista intellettuale — vidi i suoi libri di informatica: erano testi universitari — sia da quello spirituale. E sa una cosa? A quell’età c’è molta competizione. Si tende a non sopportare chi si distingue. Eppure con Carlo non era così. Aveva carisma. Era anche un bel ragazzo, le compagne lo notavano… Eppure non c’erano invidie. Non ho mai visto nessuno che litigasse con lui. Gli volevano bene. Una capacità rara di coltivare i rapporti umani. Uno dei compagni che a scuola faceva più fatica mi chiese di servire messa al funerale, Carlo lo aveva aiutato».

Già si parla del primo santo dei «millennials» e patrono di internet. Che modello è per i coetanei?

«Il modello di un testimone che evangelizza per come è, con il suo esempio. Non un credente “militante” che fa proselitismo. Parlando con il suo parroco, ho saputo che andava in chiesa ogni giorno, per l’eucaristia e la preghiera personale. Faceva volontariato, aiutava i più poveri e disagiati. Tutto questo si notava perché c’era e si vedeva, ma non era mai ostentato».

La discrezione…

«Sì, uno che vive la sua fede senza nasconderla né gettarla sul banco, che non la fa pesare e non accende nessuna luce su se stesso. Ma i santi sono questi: gente che vive la realtà quotidiana con impegno e una certa disinvoltura. Con il sorriso, con naturalezza. Per lui era come respirare. E non si tirava mai indietro».

Ad esempio?

«Ricordo che gli chiesi di preparare un Powerpoint, lui che era così impegnato nella carità e capace al computer, per illustrare le attività di volontariato del Leone XIII, il doposcuola, la mensa per i poveri, l’insegnamento dell’ italiano agli stranieri… Aveva appena iniziato la quinta ginnasio, era un compito che avrebbe spaventato tanti, da proiettare in tutte le classi. Lui ci si gettò a capofitto. Non ha potuto concluderlo. Il venerdì in classe non c’era. Una brutta febbre, il suo vecchio pediatra capì e disse di portarlo subito al San Gerardo di Monza. Ma non ci fu nulla da fare».

Morì in tre giorni…

«Lo portarono a casa. Era vestito con una tuta semplice. Ricordo che dissi alla mamma: troverà quello che ha scritto. Più tardi mi mostrò un libretto. Carlo, a tredici anni, scriveva che la vita è una cosa bella e impegnativa e non la si costruisce su ciò che è effimero. Aveva elencato una serie di virtù e disegnato una montagna dove si elevavano gradualmente. Un ragazzo di tredici anni, si rende conto?».

 

SourceCorriere
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Mario Parisella, classe 1959, è molto orgoglioso di essere sordomuto e non semplicemente sordo, che ha realizzato in proprio fino ad oggi ed in forma del tutto volontaria
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