E cioè che non siano davvero “di Riace”
La procura di Siracusa sta indagando per ricostruire quando e dove furono trovati realmente i Bronzi di Riace per la prima volta: la storia finora conosciuta è che li trovò un giovane sommozzatore romano il 16 agosto del 1972 nel mare Ionio, al largo delle coste di Riace Marina, in provincia di Reggio Calabria. L’ipotesi che ha portato all’apertura di un’inchiesta giudiziaria invece è che vennero trasferiti lì dopo essere stati scoperti nei fondali di Brucoli, in provincia di Siracusa, da una squadra di sommozzatori che ne avrebbe organizzato lo spostamento per gestirne la successiva vendita sul mercato clandestino.
La possibilità che in epoca moderna i due Bronzi siano stati in realtà trovati nelle acque della Sicilia, e solo in un secondo momento trasferiti a Riace, è legittimata in parte da alcune ricerche archeologiche e scientifiche che esistono fin dagli anni Ottanta. Di recente la questione è stata riaffrontata da una rivista specialistica di archeologia e poi dal Tg1, in un approfondimento con presunti testimoni dell’epoca di cui però è difficile verificare l’attendibilità.
La validità di questa ipotesi viene sostenuta con alcuni dati e ricerche archeologiche e scientifiche, ma anche con supposizioni che in base agli elementi al momento disponibili non possono essere verificate. Le nuove ricerche potrebbero in ogni caso aiutare a chiarire alcune delle molte questioni irrisolte intorno ai Bronzi di Riace, che riguardano soprattutto l’incertezza sulla loro collocazione originaria.
I Bronzi di Riace sono due statue di bronzo sopravvissute per secoli sotto la sabbia e quasi perfettamente conservate, cosa molto rara per le statue antiche in materiali diversi dalla pietra. Rappresentano due guerrieri completamente nudi, simili tra loro, con barba e capelli ricci e sono conservati nel Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. Suscitarono da subito un’enorme curiosità a livello internazionale sia nel pubblico sia negli esperti di arte antica: per le molte questioni archeologiche poco chiare che ancora li riguardano e per il modo in cui furono trovati.
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I Bronzi furono realizzati con una tecnica chiamata “fusione a cera persa”. Semplificando molto: veniva creato un modello di cera da cui poi si ricavava uno stampo di argilla in cui venivano praticati dei fori. Quando l’argilla si era asciugata, scaldando lo stampo la cera colava via, e il bronzo fuso veniva versato nei fori: solidificandosi nello stampo si creava la statua; spesso veniva utilizzata un’anima in argilla tra la cera e lo stampo, in modo che il metallo fosse un guscio sottile, che rendeva la statua leggera. Le varie parti, per statue di queste dimensioni, venivano realizzate separatamente e fuse tra loro in un secondo momento.
Secondo l’interpretazione prevalente furono fatti nella Grecia del V secolo a.C. Molte ricerche sostengono infatti che le terre di fusione trovate all’interno dei Bronzi provengano da Argo, l’antica città greca nel Peloponneso e che le statue, dopo la conquista della Grecia da parte dei romani (II secolo a.C.), furono come moltissime altre opere trafugate per essere portate dalla Grecia a Roma e finire così in luoghi pubblici o nelle collezioni di imperatori e romani facoltosi. A partire da qui si è ipotizzato che i Bronzi abbiano raggiunto il fondale dello Ionio probabilmente tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. a causa del naufragio della barca su cui stavano viaggiando.
Ci sono però altri studi che sostengono la cosiddetta “ipotesi siracusana”, e cioè che le due statue siano state prodotte in Grecia, ma assemblate in Sicilia e lì collocate fin dall’origine: nello specifico, nella zona di Siracusa. La tesi era già stata sostenuta negli anni Ottanta dagli archeologi statunitensi Robert Ross Holloway e Anne Marguerite McCann ed è alla base di una ricerca condotta oggi da Anselmo Madeddu, un medico esperto di storia e di bronzistica greca, in collaborazione con l’Università di Catania e di Ferrara.
Queste ricerche mostrano che le terre usate per saldare le varie parti anatomiche delle statue non coincidono con quelle interne alla fusione, suggerendo dunque che luogo di produzione e luogo di collocazione dei Bronzi possano essere stati differenti. Le terre di saldatura corrispondono a quelle di diversi campioni prelevati in prossimità della foce del fiume Anapo a sud di Siracusa.
I due archeologi statunitensi che negli anni Ottanta sostennero questa tesi avevano anche dei dubbi sul loro ritrovamento. Scrissero che «giacevano isolate nel mare davanti a Riace», dunque in una posizione insolita e su un fondale in cui non c’erano relitti di navi, né altri reperti. Ipotizzarono dunque, citando «le molte voci» che allora già circolavano in Sicilia, che fossero state trovate altrove e solo successivamente depositate a Riace.
Ipotizzarono anche il motivo di tale spostamento. Robert Ross Holloway, in una pubblicazione su un giornale di archeologia, sostenne che a scoprire per primi le statue furono dei sommozzatori «operanti in acque siciliane» che avevano intenzione di venderle all’estero al mercato nero. Sostenne che da queste loro «manovre» dipese il trasferimento dei Bronzi via mare in un posto «facilmente rintracciabile nell’arco dello scoglio di Riace». Per Holloway, insomma, la scoperta dei Bronzi a Riace del 1972 non fu «la scoperta di un carico antico», bensì quella «del nascondiglio di un’operazione clandestina».
A riproporre l’ipotesi siracusana è stato un recente articolo della rivista Archeologia Viva, poi ripreso da uno speciale del Tg1 andato in onda su Rai 1 lo scorso 4 maggio, in cui sono raccolti alcuni elementi e alcune testimonianze che sembrano confermare gran parte della ricostruzione degli archeologi statunitensi.
Nello speciale del Tg1 si riassume cosa accadde quando i Bronzi furono ritrovati per caso il 16 agosto del 1972 da un giovane sommozzatore romano, Stefano Mariottini, a circa trecento metri dalla costa e a una profondità di circa otto. Capendo subito di aver fatto una scoperta importante, Mariottini contattò la soprintendenza di Reggio Calabria, l’organo del ministero della Cultura che si occupa della tutela dei beni culturali. Il giorno dopo andò a formalizzare la denuncia e venne dunque organizzato il recupero delle statue con l’aiuto del nucleo sommozzatori dei carabinieri di Messina, che iniziò cinque giorni dopo.
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Nel verbale della denuncia Mariottini parlava però di un «gruppo di statue», non solamente di due. Diceva che erano due quelle che emergevano dal fondale e che una di queste aveva uno scudo sul braccio sinistro. Durante il recupero ufficiale i sommozzatori non trovarono alcuno scudo. In alcuni articoli di giornale usciti all’epoca, anche prima del recupero, era stato inoltre denunciato il tentativo di alcuni turisti di portare vie le statue con un motoscafo. E un altro testimone disse di aver visto alcuni sub portare via lungo la battigia uno scudo e una lancia spezzata.
Nel servizio del Tg1 vengono poi intervistati Marco e Mimmo Bertoni, figli del titolare di un famoso ristorante sulla baia di Brucoli, in Sicilia. Marco e Mimmo Bertoni collocano il ritrovamento dei Bronzi proprio nel mare di Brucoli nel 1971, prima che le statue venissero viste a Riace. Secondo Marco Bertoni furono individuate da alcuni sommozzatori italiani che stavano lavorando con l’esploratore francese Jacques Cousteau, che proprio in quel periodo stava girando un documentario nelle acque della Sicilia.
Secondo la testimonianza dei Bertoni, i sommozzatori all’insaputa di Cousteau avrebbero tirato fuori dal mare sette statue. Tra queste si ipotizza ci fossero i due Bronzi di Riace: «Una sera», ricorda Mimmo Bertoni che al tempo aveva dieci anni, «vidi giungere una grande barca, appesantita da un carico importante. Ricoperte da reti si notavano delle strane sagome scure. Capii che erano statue coricate. Tra le maglie riuscii a scorgere una testa con l’elmo, uno scudo e soprattutto diverse lance». Secondo Bertoni le statue sarebbero poi state caricate su «un grande peschereccio» e nascoste in un posto sicuro poco lontano dalla riva di Riace per essere successivamente vendute, tramite un «politico siculo calabrese» all’estero passando per la Svizzera.
Ci sono altre testimonianze a sostegno di questa versione della storia, ma è un po’ difficile farsi un’idea della loro affidabilità. Un’altra persona, ripresa di spalle nel servizio del Tg1, ha riferito di aver saputo del ritrovamento a Brucoli di cinque statue e due leoni mentre si trovava all’estero. Secondo questa persona le statue erano state in parte già vendute e altre erano destinate alla vendita clandestina negli Stati Uniti.
Nel finale del servizio del Tg1 viene mostrata una nota del mercante d’arte statunitense Robert Hecht, processato in Italia per traffico illecito di reperti antichi, che in un suo taccuino sequestrato e presente negli atti nel processo cita un «gruppo in bronzo del V secolo a.C.» firmato da Pythagoras di Rhegion (Pitagora di Reggio), lo scultore greco ritenuto finora come il probabile autore dei Bronzi di Riace. Dopodiché nel servizio viene mostrata la «fotocopia di una foto in bianco e nero» inviata alla redazione del Tg1 da una fonte non specificata, in cui si vedono due subacquei che sorreggono una statua simile ai Bronzi di Riace, presumibilmente scattata sul lungomare di Brucoli.
La foto non è stata verificata e va dunque presa con molta cautela, mentre la nota di Hecht potrebbe avvalorare l’ipotesi di un interessamento sul mercato nero estero per un gruppo di statue che potrebbero essere ricollegabili ai Bronzi di Riace. Al momento non ci sono comunque sufficienti elementi per poterlo affermare.
La foto scatatta sul lungomare di Brucoli mostrata nel servizio del Tg1