Due verdure e un frutto da poco prodotti e venduti anche in Italia, per la prossima volta che andate al mercato
Nei mercati di alcune città italiane si trovano specie esotiche di frutta e verdura che non c’erano fino a qualche anno fa e che a molti sono ancora sconosciute. Vengono soprattutto dall’Asia meridionale e dall’Africa, oltre che dal Centro e dal Sudamerica. Sono prodotti che maturano con le temperature alte dei paesi di origine, ma negli ultimi anni alcuni agricoltori hanno provato ad avviare piccole coltivazioni sperimentali anche in Italia. È un mercato di nicchia ed è fatto ancora per la quasi totalità da prodotti importati, ma il consumo di questi cibi è in aumento, alimentato dalle richieste delle comunità di immigrati.
Un esempio è la karela, anche detta ampalaya: una verdura simile a un cetriolo bitorzoluto, con una buccia verde coperta da escrescenze gommose. Matura su una pianta rampicante originaria dell’India ma è utilizzata come ingrediente nelle ricette di tanti altri paesi asiatici. In Italia è conosciuto come “melone amaro” a causa del suo gusto pungente, che lo rende una verdura difficile da apprezzare per chi non è abituato al sapore.
I fruttivendoli al mercato del quartiere Isola di Milano, dove viene venduto in un paio di banchi, spiegano che la parte commestibile è quella della buccia e che solitamente viene tagliato per il lungo, svuotato dell’interno spugnoso e mangiato con un ripieno di carne, oppure fatto a fette e saltato in padella.
Karela (Il Post)
Più delicato è invece il sapore dell’okra o gombo, una verdura che assomiglia a un peperoncino verde: se tagliata a metà appare collosa e la sezione ha una tipica forma a stella, con tanti semi bianchi piccoli e sferici. Cresce su arbusti originari dell’Africa orientale, ora coltivati anche in Asia e in America ma presenti anche in Europa. Gli ortolani che vendono l’okra al mercato Esquilino, uno dei più multietnici di Roma, spiegano che è una verdura molto usata nei paesi più poveri, perché costa poco ma rende i piatti sostanziosi.
Okra (Il Post)
Un altro prodotto esotico che si trova nei mercati italiani è l’annona o cerimolia, frutto di una pianta originaria dell’altopiano andino, in Sudamerica. Ha le dimensioni di una mela ed è coperta da una buccia verde e sottile con un disegno a squame. La polpa all’interno, color latte e ricca di grossi semi neri, ha una consistenza morbida e viene mangiata col cucchiaio. L’annona è un frutto tropicale poco conosciuto ma a differenza di okra e karela è presente in Italia già da tempo, importato verso metà Ottocento grazie ai commerci con la Spagna. Le coltivazioni si concentrano in una striscia di terra molto ristretta, lunga tra i 60 e i 70 chilometri, nell’area costiera di Reggio Calabria: una delle poche zone nella penisola, insieme ad alcune parti della Sicilia, dove le particolari condizioni climatiche hanno permesso alla pianta di attecchire con successo.
Annona (Il Post)
Proprio in questo territorio, nel comune di Fiumara, c’è l’azienda agricola Edulè Sas di Giuseppe Bellè e Francesco Anghelone, che hanno acquistato un frutteto di annona attivo dagli anni Sessanta e ora la vendono da quasi otto anni. Bellè spiega che tante persone ancora non conoscono l’esistenza dell’annona a causa della sua produzione limitata, «ma con un po’ di pubblicità e partecipando ad alcuni eventi – dice l’agricoltore – siamo riusciti a creare un circolo di clientela che da anni la apprezza e continua a comprarla».
Nonostante l’annona sia venduta in tutta Italia, dice Bellè, «il commercio si limita a un mercato di nicchia, che non arriva alla grande distribuzione».
La caratteristica di questo frutto, infatti, è che dopo averlo staccato dall’albero ha un tempo di vita di massimo quattro o cinque giorni, che renderebbe difficile un commercio su larga scala. I pochissimi frutti di annona che si possono vedere in una catena di supermercati, dice ancora l’agricoltore, «arrivano dalla Spagna, da Israele e dal Sudamerica, ma riescono a mantenersi per molto tempo perché vengono trattati».
Sono ancora più piccole le coltivazioni in Italia di okra e karela. Secondo la Confederazione Italiana degli Agricoltori (Cia) per il momento esistono spesso solo in forma sperimentale, nella maggior parte dei casi portate avanti da persone che lo fanno per hobby. Matteo Chesta, proprietario di un’azienda agricola in provincia di Cuneo, in Piemonte, ha provato a coltivare okra e karela in maniera amatoriale, scontrandosi con diverse difficoltà che oggi lo hanno portato a mantenere soltanto una limitatissima produzione di okra da vendere direttamente a pochi clienti locali.
«I problemi principali» spiega Chesta «sono stati i costi di produzione di questi ortaggi e la difficoltà di far filiera», cioè di trovare punti vendita disposti ad acquistare questa verdura e a smerciarla ai clienti. Poi ci sono le difficoltà nella coltivazione: le piante di okra e karela sopravvivono nei climi tropicali, con molta umidità e temperature costanti tra i 10 e i 30 gradi. «Ma sono condizioni molto difficili da ricreare», dice Chesta. Abituate a un ambiente sempre uguale, queste coltivazioni hanno cicli di vita molto lunghi e nel nostro clima, che varia in base alle stagioni, non riescono a produrre frutti nei pochi mesi dell’estate.
Non a caso, fa notare Chesta, «gli anni delle sperimentazioni che sono venuti bene erano gli anni più siccitosi, caldissimi». Di recente ce ne sono stati diversi, causati anche dai cambiamenti climatici.
Nonostante gli ostacoli nella coltivazione e la difficoltà di trovare rivenditori che vogliano commercializzarli, secondo Chesta la domanda di okra e karela c’è. «C’è un riscontro e una richiesta enorme da parte dei consumatori in Italia perché tante persone immigrate li mangiano». Ma l’esperienza dimostra che i posti più adatti per coltivarli in Italia sono al Centro-sud.
Sta puntando per esempio sull’okra Marco Mollona, proprietario dell’azienda agricola Vita da Furese in provincia di Lecce, in Puglia. «Abbiamo iniziato la coltivazione dell’okra nel 2023 – racconta – dedicando inizialmente una piccola superficie di circa 200 metri quadrati. Nel 2024 l’abbiamo ampliata leggermente, arrivando a circa 300. La resa media stagionale è stata finora di 150-200 chili, ma puntiamo a migliorarla nei prossimi anni».
Quello di Mollona resta, per il momento, un progetto sperimentale e di portata ridotta, dal momento che la maggior parte dell’okra coltivata viene venduta e consumata in Salento, ma i primi risultati nelle vendite sono stati incoraggianti.