Invalidità, sulle pensioni INPS prende in giro gli inabili totali

La beffa: invalido al 100% può arrivare a 8.500 euro l’anno solo se rinuncia al lavoro. Ciancaleoni: “è assistenzialismo puro, nessuno spazio all’autonomia e il rischio è quello del lavoro nero”

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Mentre si sta facendo un gran parlare del recente Messaggio INPS sull’indennità d’invalidità – che interromperebbe l’erogazione dell’assegno mensile a tutti i cittadini con invalidità superiore al 74% e, al contempo, un impiego – c’è un’altra ingiustizia che si sta consumando in quel confuso universo che coinvolge i disabili e il mondo del lavoro.

di Alessandra Babetto

L’aumento della pensione d’invalidità per inabili totali (100%) si sta infatti rivelando l’ennesimo specchietto per le allodole. La verità è che si può arrivare a percepire il massimo previsto (parliamo di 8.500 euro l’anno) solo ed esclusivamente se si rinuncia totalmente a qualsiasi attività lavorativa.

“È così che si passa da una Repubblica fondata sul lavoro all’assistenzialismo obbligato – commenta Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare – privando le persone con disabilità di ogni progetto e speranza di autonomia, oppure spingendole vergognosamente al lavoro nero”.

COSA STA ACCADENDO ESATTAMENTE

Facciamo un passo indietro, per la precisione poco più di un anno fa – agosto 2020 –, quando l’INPS ha annunciato un incremento delle prestazioni di invalidità civile (invalidi civili totali, ciechi civili, sordi e titolari di pensione di inabilità previdenziale). Con la prossima rata di novembre 2020 – si legge sul sito dell’Istituto – l’INPS provvederà a mettere in pagamento la maggiorazione sociale in favore dei soggetti titolari di pensione per invalido civile totale 100%, pensione per i sordi, pensione per i ciechi civili assoluti e dei titolari di pensione di inabilità ai sensi della legge 222/1984.

Il beneficio (il cosiddetto “incremento al milione”), era stato originariamente riconosciuto dalla legge 448/2001 ai soggetti con più di 60 anni di età, mentre nel 2020, con il decreto-legge n. 104 del 14 agosto 2020 (c.d. Decreto Agosto) – che a sua volta recepisce la sentenza della Corte Costituzionale n. 152/2020 –, è stato esteso ai soggetti riconosciuti invalidi civili totali, sordi o ciechi civili assoluti a partire dai 18 anni di età.

L’Art. 15 del Decreto Agosto, infatti, ha stabilito che: “Con effetto dal 20 luglio 2020 all’articolo 38, comma 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successive modificazioni, le parole “di età pari o superiore a sessanta anni” siano sostituite dalle seguenti: “di età superiore a diciotto anni”.

Parliamo di un incremento non banale: si tratta infatti di passare da 287,09 euro al mese a un importo fino a 651,51 euro per 13 mensilità. Per ottenere la maggiorazione, invalidi civili totali, ciechi civili assoluti e sordi in possesso dei requisiti di legge non devono nemmeno presentare domanda. I soggetti titolari di pensione di inabilità ai sensi della 222/1984, invece, sono tenuti a presentare richiesta attraverso i consolidati canali dell’Istituto, o i patronati.

Un’ottima notizia, vero? In realtà lo è molto meno di quello che sembra, soprattutto per “l’intervento” delle condizioni reddituali che vincolano l’accesso all’aumento. Per avere diritto alla maggiorazione, infatti, la legge prevede una soglia di reddito annuo personale pari a 8.469,63 euro (che sale a 14.447,42 euro, cumulato con il coniuge, nel caso in cui il soggetto sia coniugato), sul quale vengono a “pesare” i redditi di qualsiasi natura, ossia i redditi assoggettabili a IRPEF (sia a tassazione corrente che a tassazione separata), i redditi tassati alla fonte e i redditi esenti da IRPEF, sia del titolare che del coniuge.

Al contrario, non concorrono al calcolo reddituale il reddito della casa di abitazione, le pensioni di guerra, l’indennità di accompagnamento, l’importo aggiuntivo di 154,94 euro (legge 388/2000), i trattamenti di famiglia, l’indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati.

COSA SIGNIFICA TUTTO QUESTO? PROVIAMO A FARE DUE CONTI…

A incidere sul limite reddituale fissato per l’aumento della pensione d’invalidità ci sono sia la pensione d’invalidità stessa che qualsiasi reddito da lavoro, dipendente o indipendente. Quindi, un invalido al 100% che recepisse la pensione aumentata al massimo, percepirebbe 651,51×13 mesi =8.469,63. Vi ricorda nulla? Esatto, è proprio l’importo fissato come limite massimo reddituale per l’aumento stesso. Ci stanno dunque dicendo che questo ammortizzatore è riservato soltanto a chi non lavora né ha alcuna altra entrata? E l’importanza di un impiego come elemento d’inclusione sociale è di nuovo finita nel dimenticatoio? In alternativa, anche volendo accettare un’ipotesi di ragionamento che voglia vedere l’invalido totale come agevolato dall’“esonero” della prestazione lavorativa, siamo certi che con meno di 8.500 l’anno si possa vivere dignitosamente?

COSA VUOL DIRE IN PRATICA RINUNCIARE ALL’ASSEGNO

Una situazione vergognosa, che sta gettando nello sconforto moltissime persone, specie chi, come Claudia Frizzarin, 35 anni, laureata e lavoratrice, pur essendo invalida al 100% non avrebbe alcuna intenzione di dipendere dall’assistenza statale.

“Io voglio lavorare – chiarisce Claudia – voglio guadagnare quanto mi serve per una vita dignitosa. Non è però facile per me trovare un lavoro a tempo pieno che mi garantisca un’entrata adeguata e mi permetta di rinunciare all’assegno di invalidità. Noi con disabilità non possiamo fare qualsiasi lavoro: io non posso, per esempio, guidare un camion o un autobus, né posso fare la barista perché sulla carrozzina scomparirei dietro al bancone e non posso fare molti altri lavori. Quindi abbiamo comunque bisogno di un aiuto: non nascondiamolo, io non mi vergogno di dirlo”.

“La società parla molto di inclusione teorica, ma poco in termini pratici. Siamo sinceri: per noi è difficile avere una vita autonoma e trovare un lavoro che ci permetta di mantenerci completamente. Io sono addetta al customer care in un ufficio, ma collaboro anche con una web radio e con l’OMaR, e ho fondato una mia associazione – ci racconta Claudia – Questo è il mio modo per essere inclusa, ma le spese sono tante e l’assegno di invalidità da solo non basta. Né basta lo stipendio part time. Oltretutto nel bilancio pesano spesso anche alcuni ausili. Perché non tutti sono coperti dal SSN, o non del tutto. E io ho anche bisogno di assistenza personale, che va pagata. Quell’assegno non mi cambiava la vita, ma mi dava una grossa mano.”

 

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