Il mondo di Chef Rubio. Gabriele Rubini si racconta: passioni e impegno sociale

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In arrivo una puntata speciale de “Il Ricco e il Povero”, in onda in simultanea su Dmax e sul canale Nove, al fianco di Costantino della Gherardesca

ricco-e-poveroIn attesa del film “Unti e Bisunti”, in uscita a dicembre 2016, Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, si prepara ai tanti appuntamenti che lo vedranno impegnato tra web e tv nei prossimi mesi.
L’ex rugbista, conosciuto per l’omonimo programma in onda sul canale Dmax tra colpi di pentole e battute irriverenti, svela alcune sue curiosità e un grande attaccamento al sociale che lo ha accompagnato in tante iniziative benefiche.
Gabriele Rubini, nato e cresciuto a Frascati, per sua stessa ammissione confessa di aver adottato Roma come seconda patria e di passare molto tempo a San Lorenzo, ma ha anche vissuto in Nuova Zelanda. Insomma un cittadino del mondo, uno che ama viaggiare.

Ci può introdurre la puntata speciale del 29 giugno de “Il Ricco e il Povero”, in onda in simultanea su Dmax e sul canale Nove dove sarà al fianco di Costantino della Gherardesca?
«È un’avventura di due persone che sono agli antipodi, ma che hanno la stessa passione per il viaggio e per le culture dei popoli e dell’integrazione. Si trovano catapultati a Marrakech e dovranno affrontare la vita quotidiana dei marocchini, in maniera sfarzosa o al contrario in modo molto semplice. Spero sia di buon auspicio per i viaggiatori».

Facciamo un passo indietro, com’è nata la sua avventura con “Unti e Bisunti” su Dmax, programma che l’ha lanciato in tv?
«I motivi per cui sono finito su Dmax sono molteplici, ci sono stati diversi interventi che mi hanno visto implicato in video, in avvicinamenti con persone che avevano interesse a farmi raccontare, e alla fine la soluzione più congeniale è stata quella di raccontarmi per quello che ero, seguendo la mia passione per la cucina».

Recentemente si è trasformato da chef a supereroe grazie alla parodia degli Actual che ha spopolato sul web “Lo chiamavano Chef Rubio” (parodia del film “Lo chiamavano Jeeg Robot”, ndr).
«Abbiamo cercato di raccontare un contenuto abbastanza leggero come un film, secondo me uno dei più belli degli ultimi venti anni, ispirandoci a dei contenuti di spessore come la denuncia degli sprechi alimentari. Pendendo un po’ dalle labbra dei food blogger e dei fashion blogger, che fanno le foto ai piatti senza poi neanche mangiarli, trasmettendo così un messaggio sbagliato ai giovani. Ci siamo aggrappati a loro in chiave comica e credo che ci siamo riusciti».

Si è impegnato spesso nel sociale e questo le ha portato la nomina di Chef Ufficiale di Casa Italia alle Paralimpiadi di Rio, dal 6 al 17 settembre 2016. Di cosa si occuperà?
«Sicuramente non sono il cuoco più bravo al mondo, ma mi hanno scelto per la mia vicinanza e sensibilità a diverse tematiche. Una di queste è legata al mondo della disabilità, vista ancora come un limite e non come un valore aggiunto. Spesso sono stato ospite alla radio dei ragazzi di FinestrAperta, delle persone disabili fantastiche con uno spessore culturale e intellettuale incredibile. Il fatto di essere a Rio, dove si trova la favela più grande del mondo, e poter anche con un solo boccone far tornare il sorriso a qualcuno che ha perso una medaglia oppure stare a contatto con un atleta che l’ha vinta è fantastico. Tutto questo non si fa per fama o per televisione, ma per mettersi a disposizione degli altri e se la causa è nobile meglio ancora».

A proposito di food blogger, fashion blogger, che rapporti ha con il web e i social network?
«Adesso buono, l’inizio è stato traumatico. Fino a tre anni fa non avevo neanche uno smartphone. Ho appreso in fretta e visto le tante cose che girano in rete ho deciso di inserire dei contenuti validi ma con una giusta ironia. Ho preso le contromisure e ho fatto di Facebook, Twitter, Instagram la mia vita, ma in modo molto leggero. Mi aiuta molto anche il fatto di essere sempre in viaggio. Tutto questo però ha portato un po’ a deficere la mia passione per la lettura. Ero una persona che leggeva tutti i giorni e spero un giorno di trovare il giusto equilibrio, ma per adesso mi ritrovo nel vortice e mi diverto».

È partito da poco il progetto “Segni di gusto, in lingua dei segni italiana (Lis)”, un’iniziativa realizzata in collaborazione con l’Istituto statale sordi di Roma (Issr) e in mediapartnership con Repubblica.it.
«Nelle clip, autoprodotte, sono un alunno dell’Istituto statale sordi di Roma e mi affianco alla mia carissima amica Deborah Donadio che si veste da chef. È un prodotto per tutti, non solo per i non udenti, per cercare di sensibilizzare le persone nell’imparare la lingua dei segni, che è l’unica lingua non riconosciuta in Italia e in Lussemburgo».

Leonardo Esposito

http://www.cinquequotidiano.it/

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