Diritti dei disabili, all’ONU la “diversità” significa forza e orgoglio

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Giunta alla decima edizione, numerosi gli appuntamenti per celebrare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, sottoscritta nel 2006. Tra i protagonisti dell’ultimo incontro Dario D’Ambrosi, fondatore del Teatro Patologico a Roma, promotore di un corso universitario dedicato a persone disabili

di Allegra De Lorenzo

In occasione del decimo anniversario dalla sottoscrizione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, l’Italia si presenta come pioniere per favorire l’incoraggiamento e facilitare la comunicazione per i disabili. Al Palazzo di Vetro, ogni anno si tiene una conferenza nella quale tutte le parti coinvolte nella convenzione parlano dei progressi raggiunti. Il tema principale della decima sessione è stato ”Il secondo decennio del CRPD: inclusione e piena partecipazione delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative nell’attuazione della Convenzione”. Un’occasione per fare il punto sui risultati ottenuti e per soffermarsi sui progressi compiuti, in vista delle nuove iniziative da promuovere.

Una delle tematiche affrontate è stata l’accesso all’informazione e alla comunicazione, fondamentale quando si tratta di esercitare la libertà di opinione e di espressione e molti altri diritti e libertà fondamentali per le persone con disabilità. Alla conferenza, nella giornata di giovedì 15 giugno, hanno partecipato i rappresentanti delle iniziative di Italia, Israele, Australia e Germania e in questo contesto si è evidenziata  l’importanza della comunicazione e del linguaggio per l’inclusione e la partecipazione di persone con disabilità cognitive o disabilità uditive.

I rappresentanti dell’Australia e della Germania hanno iniziato la discussione, ad esempio, sulla necessità di maggiori finanziamenti governativi per un programma di servizi di stampa per i disabili, i quali potrebbero convertire i vari servizi in formati, che permetterebbero a persone con disabilità una maggiore accesso alle informazioni. Il programma Australiano “Easy to Read” promuove l’attuazione di una “lingua semplice” per gli individui che si affrontano con disabilità intellettuali. Mentre il rappresentante Israeliano, nel corso dell’evento, ha deciso di effettuare la sua presentazione nella lingua dei segni per avere un maggiore impatto sulla audience e per comunicare l’importanza di includere la lingua dei segni non solo nelle istituzioni governative, ma anche nei media mainstream.

La presentazione di Dario D’Ambrosi  sulle iniziative Italiane, è stata indubbiamente quella di maggior impatto. Introdotto dal moderatore come “l’uomo dai mille talenti”, D’Ambrosi, attore famoso per il suo ruolo nel film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, per 35 anni ha lavorato con bambini disabili.  In un discorso appassionato ha illustrato il progetto che sta portando avanti con il Teatro Patologico. Negli ultimi otto anni D’Ambrosi ha lavorato per i progetti organizzati dal teatro, un’innovativa scuola di dramma a Roma che offre lezioni a persone con disabilità mentali. Oggi lavora con oltre 1700 bambini disabili, per aiutarli a esprimere le proprie emozioni attraverso le prestazioni teatrali teatra

Nel corso della conferenza ha presentato non solo l’attività del Teatro Patologico, ma ha anche introdotto il corso universitario “Teatro Integrato dell’Emozione”. Un corso di laurea che si distacca dal lavoro degli psichiatri, che tendono a voler “sedare” i bambini piuttosto che stimolarli con varie attività. D’Ambrosi, nel suo intervento ha infatti detto che si tratta “di un lavoro che permette di diventare più forti e avere più autostima per affrontare il mondo”. Non si vuole, dunque, rendere i giovani disabili “normali”, perché per l’attore il concetto stesso è pura demagogia. Il loro lavoro si focalizza piuttosto sulle emozioni, per dare ai giovani la possibilità di ottenere la forza interiore per affrontare la quotidianità.

Quotidianità che, del resto, non è semplice. Secondo D’Ambrosi infatti “ci sono ancora troppi Paesi che mettono questi bambini con le camicie di forza: noi italiani possiamo essere indietro, ma in tema di disabilità siamo 50 anni avanti perché, ad esempio, con questo progetto diamo loro la possibilità di una laurea”. E le speranze per il futuro non sono poche: “Se tutto il mondo dovesse adottare questa tecnica si potrebbe avviare una vera rivoluzione nel mondo della disabilità”.

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