Il terribile segreto di Marianna: nobildonna siciliana che fu data in sposa allo “zio orco”

Nobildonna del '700 e sordomuta, è lei la protagonista del romanzo più famoso di Dacia Maraini. A ispirarla fu una sua antenata. La storia di Marianna Valguarnera

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di Maria Oliveri – Red Balarm

Marianna, nobildonna siciliana del ‘700 dalla grande personalità, ma con un evidente handicap fisico (era “mutola”, sordomuta, e riusciva a comunicare solo scrivendo), è la protagonista del romanzo più famoso di Dacia Maraini, “La lunga vita di Marianna d’Ucria”, pubblicato nel 1990 e diventato subito un grande successo letterario.

Nello stesso anno la scrittrice riceverà numerosi premi, tra cui il premio Supercampiello e il premio Miglior libro dell’anno a Napoli. Il libro narra la vita di Marianna, dall’infanzia al matrimonio a soli 13 anni con lo zio paterno; dalla nascita dei figli alla vedovanza; dall’amore con “le farfalle nello stomaco” al piacere fisico, conosciuti entrambi solo nell’età della maturità.

Le prime pagine del romanzo sono ambientate in una Palermo barocca, sontuosa e decadente, eccitata e caotica, dove il popolo è ansioso di assistere ad un Autodafè, all’impiccagione di un ragazzino. La piccola Marianna è condotta sul luogo dell’esecuzione dal signor padre, che spera che lo shock possa far guarire la sua bambina.

«Eppure quest’uomo che le è padre e che la ama teneramente le ha fatto provare il più grande orrore della sua vita. Ma lui non lo sa. Lui l’ha fatto per aiutarla: un grande medico della scuola salernitana gli aveva consigliato di guarire la sordità della figlia che pareva sortita da una grande paura con un’altra più grande paura».

Seguendo il filo narrativo del romanzo si scopre infatti un terribile segreto: la piccola Marianna è diventata sorda e muta a causa di una violenza, di uno stupro subito a cinque anni, proprio da quello zio, da quell’orco che era diventato suo marito per volontà della famiglia.

«Una sera si erano sentiti dei gridi da accapponare la pelle e Marianna con le gambe sporche di sangue era stata portata via, sì trascinata dal padre…si lo zio Pietro, quel capraro maledetto, l’aveva assalita e lasciata mezza morta…per amore diceva lui, per amore sacrosanto che lui l’adorava quella bambina…

e dopo, si dopo, quando Marianna era guarita, si era visto che non parlava più, come se zac le avessero tagliato la lingua…Il signor padre cercando di far meglio ha fatto peggio…regalarla poi a tredici anni a quello stesso zio che l’aveva violata quando ne aveva 5. Dopo tutto si tratta di un segreto di famiglia, un segreto che neanche la signora madre conosceva».

Quella signora madre che per pulirsi forse la coscienza si chiedeva : “Chi altri l’ avrebbe presa in moglie, la mutola?”. E poi esclamava rivolta alla figlia: “Nessuno ti prende attia Mariannina mia!”.

A ispirare la figura di Marianna Ucria è stata una nobildonna realmente esistita, Marianna Valguarnera, un’antenata della scrittrice.

Dacia Maraini, tornata per la prima volta in Sicilia nel 1985, dopo molti anni di assenza, rimase incantata da un quadro di Villa Valguarnera a Bagheria, dal ritratto di una sua ava materna, “dai suoi occhi che avevano qualcosa di triste e al tempo stesso di allegro”.

È la stessa scrittrice a raccontare in un incontro con gli studenti nel 1998: “Mi ha molto inquietata la sua figura, la sua immagine, già fisicamente. Però io non avevo nessuna intenzione di scrivere un romanzo, perché mi sembrava una cosa fuori dalla mia esperienza, dalla mia volontà. Invece, tornando a Roma, mi sono portata dietro questo personaggio ed è diventato talmente assillante che veniva di notte a bussarmi alla finestra, mi tirava per la manica…

A un certo punto ho dovuto arrendermi e dire: “Va bene, ho capito, scriverò di te”.

Dacia Maraini descrive il ritratto di Marianna nel libro Bagheria (1993), un racconto autobiografico di ricordi familiari della scrittrice, nel periodo dell’adolescenza vissuto in Sicilia: “Rientriamo nel salone. I miei occhi cadono sul grande quadro dell’antenata che ricordo vagamente nei miei vagabondaggi infantili per la villa.

È lei, Marianna, a grandezza naturale, chiusa in un vestito rigido, da cerimonia, con la croce di Malta dei grandi Nobili sul petto. I capelli gonfi, grigi, su cui spicca una rosa stinta, qualcosa di risoluto e disperato nei suoi grandi occhi chiari. Le spalle scoperte, le braccia fasciate dalle maniche trasparenti”.

Anche mia zia Felicita nel suo libro parla di questo quadro, ammirata: “Elengantissima in guardifante, ha la lunga vita appuntita a cono sull’abito di broccato argenteo a fini disegni in colori tenuissimi; dalla scollatura alla punta spicca una grande croce argentea ricamata sul triangolo di velluto nero che forma il davanti della vita.

La caratteristica croce di Malta che solo i nobili di sangue purissimo, con quattro quarti di nobiltà, possono portare. Grossi brillanti alle orecchie e altri sparsi sulla appena incipriata gonfia e liscia acconciatura dei capelli che lascia scoperta la vasta fronte con una rosa da una parte, in alto. Un grosso solitario all’anulare e nessun altro gioiello.

Tiene in mano un foglio, che lo scrivere era il suo unico modo di esprimersi. Era nominata: la muta”. Marianna (1730-1794) era prima figlia di Francesco Saverio principe di Valguarnera, ne aveva ereditato il principato e ne aveva preso l’investitura il 14 aprile 1740.

Leggiamo in “Della Sicilia Nobile” che Marianna Valguarnera e Branciforte, dopo la morte del fratello in giovane età, rimasta unica erede del patrimonio familiare, aveva “celebrato le solenni nozze con Pietro Valguarnera e Gravina Cavaliere Gerosolimitano suo zio paterno”. (F.M.Emanuele e Gaetani, 1754).

Pietro, il signor marito, aveva 55 anni e la nipote Marianna appena 19. Non sappiamo se la violenza di cui si parla nel romanzo sia solo frutto della fantasia della scrittrice o sia avvenuta realmente. Le ricerche di Antonio Morreale in “Famiglie feudali nell’età modera i principi di Valguarnera” non hanno svelato il mistero sulla presunta violenza da parte dello zio-marito. Qualche studioso ha ipotizzato che ne sia rimasta traccia in una tradizione orale, tramandata solo in ambito familiare.

Si legge però in “Biblioteca storica e letteraria di Sicilia” che Marianna era ritenuta a Palermo sordomuta dalla nascita: “La principessa Marianna Valguarnera e Branciforti, muta a nativitate, per l’amor della famiglia Valguarnera si maritò a Pietro Valguarnera e Gravina, suo zio carnale, fratello del principe suo padre,” (1874). Quando Stefania, sorella minore di Marianna, tentò di farla dichiarare incapace di intendere e volere, per subentrare al suo posto nell’eredità paterna, si aprì una controversia giudiziaria e vennero sentiti come testimoni parenti e domestici della famiglia.

Donna Anna Branciforti, madre di Marianna, sostenne allora che fino all’età di due anni la bambina sentiva e parlava, ma a causa alcune cure a cui era stata sottoposta per via di un malessere aveva perso l’udito. La piccola però aveva imparato a leggere e a scrivere, per poter comunicare col mondo. Marianna firmava atti, disponeva testamenti, siglava accordi.

“Sorda e muta era al vertice di una piramide sociale che la costringeva a muoversi come una donna al pieno di tutte le sue facoltà fisiche. Soccorrevano notai compiacenti, testimoni complici… Se invece fosse stato stabilito che era nata sorda e muta non avrebbe mai potuto avere una sua volontà.” (G. Savatteri.)

La minorità fisica di Marianna veniva dunque usata in maniera diversa a seconda degli interessi di famiglia. Stefania ovviamente perse la guerra con Marianna e soprattutto con lo zio Pietro, che per nulla al mondo avrebbe rinunciare al ricco patrimonio e ai titoli.

Dacia Maraini non ha voluto scrivere una biografia, ma si è ispirata alla figura della sua antenata per costruire intorno a lei l’intreccio del romanzo. L’esistenza letteraria di Marianna è dunque frutto dell’immaginazione della scrittrice, delle sue convinzioni, della sua sensibilità.

“I dati storici riguardano la nascita della protagonista, la sua condizione di sordomuta, il matrimonio con il marito, il resto è letteratura (Caradonna). L’autrice proietta in Marianna anche un po’ di se’ stessa e sempre in Bagheria confessa di esser stata vittima anche lei, da bambina, di molestie sessuali, da parte di un amico della famiglia.

Il ritratto di Marianna Valguarnera descritto da zia Felicita e da Dacia Maraini non si trova più a Villa Valguarnera, portato via dai ladri in uno dei tanti saccheggi degli anni ’80.

Si conservano però altri due ritratti che ancora oggi si possono ammirare: uno a Palazzo Alliata di Villafranca in posa solenne, con le insegne di Dama di Malta e uno a Palazzo Gangi Valguarnera, in piazza Croce dei Vespri, realizzato da Andrea Gigante proprio su commissione di Pietro e Marianna Valguarnera.

 

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