Volley oltre il muro (del silenzio)

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La storia di Ilaria Galbusera, 27 anni, sorda dalla nascita e capitano della nazionale di pallavolo che ha vinto l’argento ai Deaflynmpics 2017

di Claudio Arrigoni

Dice: «La sordità non è un limite, anzi è un punto di forza». Eppure per lei mica sempre è stato così. «Iniziavo le superiori. Nuova città, nuove persone. Per la prima volta mi sono sentita diversa. E non lo accettavo». Ilaria non ha mai percepito suoni e parole. È nata sorda e ora sa costruire ponti. I più difficili, quelli fra realtà spesso separate che non si cercano. «Sono cresciuta fra due mondi. Mamma è udente, papà sordo. Mio fratello Roberto sente normalmente». Una sordità congenita ed ereditaria. Anche i nonni materni lo sono. Hanno scoperto fosse sorda quando aveva sette mesi. A nove le prime protesi acustiche e l’inizio di un percorso di logopedia e musicoterapia. «Ho capito poi quanto sarebbe stato utile. Da piccola non comprendevo l’importanza di tutti quei sacrifici». Anche quelli di mamma Elisa, che lasciò il lavoro per seguirla. Papà Pierangelo lavora in banca. «Se sono quella che sono ora molto lo devo a lei e alla mia famiglia tutta. Mi hanno messo le ali e creduto nei miei sogni. Sono cresciuta bilingue, fra italiano parlato e lingua dei segni». Preferisce usare la voce.

Ma non le servì parlare su una passerella di Praga, ragazze sorde da tutto il mondo. Era il 2011 e venne incoronata Miss Deaf World 2011: «Cose che si fanno a vent’anni, ma volevo che quella vittoria fosse di esempio e incentivo a tutti i giovani che vivono nella mia condizione». Ilaria Galbusera, bergamasca di Sorisole, ha ventisette anni da qualche mese e fa parte di quei giovani che stanno costruendo un futuro bello, dove le differenze siano valorizzate: «Un mondo a colori. Per fortuna». La sordità è una disabilità invisibile. Un grande arcipelago di isole non sempre collegate, fra segnanti (chi utilizza la lis, lingua dei segni), oralisti (chi usa la voce e spesso non conosce la lis), chi ha un impianto cocleare e chi utilizza un apparecchio acustico. Anche grazie a persone come Ilaria le distanze diventano più brevi. Lavora part time in banca e sta preparando la tesi per laurearsi in «Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo» in Cattolica. Ma il contorno è diventato il piatto forte della sua vita, divisa fra sport e arte, quella visiva in particolare, attrice, videomaker e regista.

Era l’estate scorsa. A Samsun, in Turchia, ci sono i Deaflympics, i Giochi dedicati agli atleti sordi: in quella occasione 92 Paesi e quasi 3200 atleti partecipenti. Un video cominciò a girare fra social e siti, instagram story e post su facebook. Arriva sui tg: una squadra con la maglia azzurra che canta l’inno d’Italia. Non con la voce, ma nella lingua dei segni. Sono le ragazze della pallavolo. Vinceranno l’argento, risultato storico. Poche settimane dopo ripeterono l’esperienza dell’inno davanti al presidente Sergio Mattarella all’inaugurazione del Centro Sportivo Paralimpico Tre Fontane a Roma. Ilaria è la capitana della Nazionale, una delle veterane del volley in Italia. «Quel video ha fatto tanto rumore, è stato importantissimo. Mi rende felice pensare che finalmente ci si sia accorti anche della nostra realtà, che mai prima d’ora è stata così visibile. Perché anche noi esistiamo».

«Non ricordo – dice – un momento senza sport. Ho iniziato a tre anni con lo sci. Poi il nuoto. Ma ricordi ed emozioni sono legate alla pallavolo. Lo sport unisce, fa incontrare tra loro le persone nel rispetto, è integrazione. In una squadra poi è meraviglioso: non c’è altra persona che possa capirmi meglio di una persona sorda…». Sport e arte a mostrare le abilità. Mirko Locatelli è uno dei registi italiani emergenti. Tetraplegico, sa insegnare agli altri come muovere il corpo. Un maestro. Ilaria ha seguito i suoi corsi di recitazione, in una casa di ringhiera alla periferia nord di Milano. E ha saputo carpire anche i segreti della macchina da presa. Così ha voluto poi raccontare lo sport sordo. Ecco nascere «Il rumore della vittoria», documentario (finanziato da Augustea Spa e Pio Istituto dei Sordi di Milano, con il patrocino di Federazione Sport Sordi Italia e la collaborazione del Gs Ens Varese) realizzato con Antonino Guzzardi, altro videomaker. «Un viaggio attraverso l’Italia, durato più di due anni, seguendo il percorso umano e sportivo di sei giovani atleti sordi che indossano la maglia azzurra. Una scommessa». Vinta, visti i riconoscimenti prestigiosi già ricevuti.

Ilaria sa anche ampliare gli orizzonti. A Samsun viene a sapere che la squadra del Ghana non aveva potuto partecipare. Chiacchiere in Turchia fra un tè e un allenamento con Loredana Bava, direttrice tecnica e anima della Nazionale volley sorde, anche lei segnante e oralista, altra realisticamente sognatrice. «Ci dicemmo che le meravigliose emozioni che avevamo vissuto noi dovevano essere anche per loro. Le persone sorde sono viste lì come inabili. Rispetto ad altre disabilità, è la più invalidante ed emarginante». Loredana e Ilaria sono partite, settimane a girare fra le scuole per sordi ghanesi a insegnare lo sport che amano, aiutando a organizzare squadre e tornei, raccontando quel che facevano attraverso pagine social per cercare di realizzare il sogno Deaflympics. Le piccole azioni che riescono a cambiare il mondo. Partendo dai più piccoli.

L’ultima si chiama «Champions’ Camp», campi estivi sportivi per ragazzi e ragazze dai 7 ai 17 anni sordi e udenti insieme: «Non è solo una vacanza indimenticabile, ma un progetto educativo e le famiglie ne sono entusiaste». Anche perché con i loro figli c’è la capitana della Nazionale argento ai Giochi. Quei momenti difficili dell’adolescenza sono solo un ricordo, ma sono stati utili. «Un giorno mi sono detta: fanculo. Non valeva la pena di stare così. Sono cambiata dentro. E sono ripartita. Con il sorriso».

https://www.corriere.it/

 

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