Siamo già entrati nella fase 2 eppure una parte della popolazione è ancora impossibilitata a uscire di casa: si tratta delle persone sorde che non possono comunicare con il mondo esterno a causa delle mascherine. Bisognerebbe utilizzare quelle trasparenti che, però, sono in attesa dell’approvazione. E intanto anche negli ospedali mancano i protocolli di emergenza che consentano a medici e infermieri di comprendere e farsi comprendere.

La fase 2 è cominciata già da qualche giorno e mascherine da un lato e distanziamento dall’altro restano le due principali forme di precauzione. Alcune attività hanno riaperto e, anche se con fatica, si cerca di ristabilire una nuova normalità. Peccato che una parte della popolazione resti esclusa da questa ripartenza: coloro che sono affetti da sordità. Le mascherine, infatti, non permettono la lettura del labiale che, accanto alla LIS, la lingua dei segni italiana, resta la principale forma di comprensione per le persone sorde. Di questa e di altre problematiche ne ha discusso con Fanpage.it Giuseppe Petrucci, presidente dell’Ente Nazionale Sordi.

Le difficoltà nella fase 1

Le prime difficoltà sono subentrate già con la fase 1. «All’inizio non c’è stata la possibilità di avere una comunicazione chiara da parte delle istituzioni e siamo intervenuti come Ente Nazionale Sordi fornendo un interprete, proprio per fare in modo che le persone sorde potessero ricevere informazioni puntali. Abbiamo segnalato il problema e dato che la Protezione Civile non aveva la possibilità di poter offrire questo servizio, lo abbiamo fatto noi. La presidenza del Consiglio, invece, è corsa ai ripari subito, noi ci siamo limitati a porre la questione».

Le mascherine trasparenti

Dopo più di due mesi dallo scoppio dell’emergenza Coronavirus, resta ancora irrisolto, invece, il problema relativo ai dispositivi di protezione individuale, in particolar modo le mascherine. In commercio ancora non ce ne sono di trasparenti. Alcune aziende sono in attesa di ottenere la certificazione. Quelle che si vedono in giro o sul web, in molti casi fai da te, non sono omologate. Bisognerebbe valutare il tipo di pellicola da utilizzare, che sia anallergica e antiappannante. «Siamo stati contattati e noi stessi abbiamo cercato di farlo con qualche imprenditore. Coloro che già producono mascherine omologate stanno valutando la possibilità di realizzarle. Le aziende che si sono riconvertite, invece, ci hanno detto di essere in attesa dell’omologazione. C’è stato un surplus di richieste e ci vuole del tempo per rilasciare questa conformità». Sebbene per la lettura del labiale sia necessario il movimento completo delle labbra, l’utilizzo di queste mascherine trasparenti consentirebbe alle persone sorde di poter espletare i bisogni primari, come poter fare la spesa e comunicare con il cassiere o con il fruttivendolo.

La necessità di distribuire mascherine trasparenti a tutti

Il problema si porrà, però, anche dopo, poiché bisognerà distribuirle a tutti, non solo ai soggetti interessati. Solo così si potranno abbattere davvero le barriere della comunicazione. «Una volta pronte, noi ci faremo parte attiva per rendere noto che sono reperibili. Laddove le amministrazione regionali si adoperassero per l’invio di mascherine, chiaramente noi chiederemmo che siano mandate quelle trasparenti. Alcuni pensano di distribuirle solo alle persone sorde, ma non è sufficiente. Tutti le devono ricevere e per questo abbiamo sensibilizzato la presidenza del Consiglio, la Protezione Civile e le istituzioni. Nel momento in cui sapremo che una azienda o più di una avranno prodotti conformi, le andremo a indicare».

Casi Covid: come chiedere aiuto

La totale mancanza di protocolli di emergenza, mirati a dare assistenza alle persone sorde, ha fatto emergere non poche difficoltà anche in ambito ospedaliero, a partire dai contatti. Come può, infatti, una persona sorda che vive da sola o che ha un consorte nella sua stessa situazione, poter contattare l’ospedale per chiedere aiuto? Al momento, se non coadiuvato, non lo può fare. Il ministero aveva messo a disposizione un indirizzo mail dedicato, senza tener conto, però, che molte delle persone sorde hanno difficoltà nella formulazione del pensiero scritto e utilizzano una sintassi spesso differente. «Abbiamo segnalato che questo non è il metodo più opportuno. Avremmo preferito che il ministero attivasse un canale dedicato dove ci fosse la possibilità di avere un videointerpretariato o comunque che si creasse un protocollo di avviso più semplice. Coloro che hanno avuto necessità di segnalare alcune problematiche, hanno trovato un amico, o un amico di un amico con un figlio udente, alcuni conoscevano qualche interprete e hanno ovviato in questo modo».

La comunicazione difficile in ospedale

Per non parlare poi di chi ha una situazione più urgente e necessita di un ricovero in ospedale: isolato e impossibilitato a comunicare con i propri familiari o con medici e infermieri. «Abbiamo ricevuto varie segnalazioni come il caso di un anziano, curato con il casco C-Pap (Continuous Positive Airway Pressure), che ha avuto una crisi di panico. O di una coppia in età avanzata, in cui la moglie sorda è stata ricoverata per sospetto Covid. Il marito, anche lui sordo, costretto al letto da gravi patologie, è rimasto da solo per circa 48 ore. Questo avviene perché chiaramente non vi sono dei protocolli di gestione dei pazienti sordi ed è un qualcosa che non abbiamo fatto presente oggi, ma per cui ci stiamo battendo da anni». L’esistenza di protocolli mirati consentirebbe una più facile anamnesi di molti pazienti. Il medico potrebbe comprendere meglio quali disturbi o sintomi ha avuto, ma se non vi è un intermediario linguistico quel passaggio fondamentale viene meno.«La colpa non è sicuramente né di medici né di paramedici che fanno di tutto per prestare assistenza a questi pazienti, però costoro devono essere messi in condizione di poter comunicare se vi è una persona sorda. Bisogna sapere chi si può chiamare, basterebbe creare un elenco di interpreti a cui possono rivolgersi, tutto sommato sono cose banali, ma nel momento in cui non sono disciplinate, in una fase di emergenza o di confusione, diventano delle difficoltà insormontabili».

«Un dramma che i sordi vivono tutti i giorni»

A distanza di undici settimane dal primo caso diagnosticato a Codogno e dopo essere già entrati nella fase 2, non sembra ci sia ancora una soluzione e molte persone sorde o non udenti preferiscono non uscire di casa, impossibilitate a comunicare con il mondo esterno e in attesa di poter tornare a condurre una vita normale. «Quando si progetta qualcosa che ha a che fare con l’utilità pubblica, bisogna che sia fruibile dal più largo numero di persone possibile e questo ragionamento lo devono fare soprattutto le istituzioni. Altrimenti ci troveremo sempre a inseguire l’emergenza. Bisogna avere dei protocolli già pronti che non servono solo nei periodi di pandemia. Questo è un dramma che i sordi vivono tutti i giorni».

 

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