L’apparecchio acustico non funziona? C’è l’impianto cocleare

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Quando le protesi acustiche normali non danno alcun beneficio, si impianta un dispositivo nella coclea, in grado di tradurre il suono in impulso nervoso da inviare al cervello. In futuro questi impianti potranno anche rigenerare l’orecchio interno danneggiato

Soluzioni terapeutiche all’avanguardia che possano stimolare e ripristinare la sensazione uditiva, anche nei pazienti più piccoli. Di questo si è discusso all’interno del simposio New Approaches for Improving Inner Ear Function, organizzato a Padova dall’azienda MED-EL, in occasione del 56° Congresso Inner Ear Biology Workshop, dedicato alla ricerca per il trattamento delle ipoacusie. In particolare, a essere messi sotto la lente di ingrandimento sono stati gli impianti cocleari, strumenti mininvasivi di altissima precisione, che possono essere utilizzati anche sui bambini al di sotto dei due anni.

Cosa sono gli impianti cocleari

«L’impianto cocleare è una protesi costituita da elettrodi che, inseriti chirurgicamente all’interno della coclea (la componente che traduce i suoni in impulsi nervosi comprensibili al cervello), sono in grado di stimolare il nervo acustico dopo aver ricevuto le informazioni sonore captate ed elaborate da un processore posizionato all’esterno dell’orecchio» spiega Alessandro Martini, Professore Ordinario di Otorinolaringoiatria dell’Università degli Studi di Padova.

Quando si usano

Il trattamento di elezione delle sordità rimane l’apparecchio acustico che, a differenza dell’impianto cocleare che sostituisce la funzionalità della coclea, sopperisce al deficit uditivo attraverso l’amplificazione dei suoni che giungono all’orecchio. «Quando il paziente con ipoacusia non trae alcun beneficio dalla protesizzazione acustica “normale”, allora lo specialista può prendere in considerazione l’impianto cocleare» interviene Martini. «Quando si sono affacciati per la prima volta nel panorama terapeutico della sordità, cioè tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, questi dispositivi impiantabili erano destinati esclusivamente all’adulto diventato completamente sordo. Poi, col passare del tempo, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha allargato il campo anche ai bambini nati sordi, tant’è che oggi gli impianti cocleari si inseriscono anche nei pazienti che hanno meno di uno-due anni» continua il professore.

Impianti più sicuri grazie al rilascio di antinfiammatori

Nel corso del tempo sono stati condotti alcuni studi con il supporto di MED-EL per capire in che modo ridurre eventuali reazioni avverse scatenate dall’introduzione dell’elettrodo che, seppur sottile e flessibile, entra comunque in contatto con una struttura delicatissima come la coclea. «I più recenti studi hanno mostrato come rendere tale tecnologia sempre più efficace nel tempo, soprattutto nei pazienti con una prospettiva di vita molto lunga, attraverso il rilascio di sostanze di rigenerazione e neuroprotezione proprio tramite gli elettrodi» conferma Martini. In queste sperimentazioni gli elettrodi sono stati ricoperti di un agente antinfiammatorio della famiglia del cortisone, con un rilascio programmato nella giornata. Dai dati ottenuti è emerso che gli impianti che rilasciavano il farmaco provocavano una minor reazione da parte dei tessuti dell’organo cocleare e quindi una minor fibrosi e ossificazione rispetto agli elettrodi standard. «Questi risultati fanno pensare che l’utilizzo di elettrodi dotati di dispenser rilasciante un farmaco antinfiammatorio possano ridurre al minimo il trauma post-chirurgico dell’orecchio interno, mantenere nel tempo i benefici dell’impianto e pertanto garantire a lungo il normale funzionamento della coclea» prosegue il professore.

In futuro gli impianti rigenereranno l’orecchio interno

Oggi si continua su questa linea, certo, ma la ricerca sta valutando anche altre soluzioni terapeutiche. «In particolare si studiano elettrodi in grado di rilasciare sostanze neutrofiche o cellule staminali, che possano stimolare l’attività di ciò che di vivo c’è ancora nella coclea e bloccare la degenerazione spontanea dei neuroni cocleari» conclude Martini.

Chiara Caretoni

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