La pallavolista faentina campionessa d’Europa con la Nazionale sorde

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«Cantare l’inno di Mameli con la lingua dei segni è un messaggio di speranza, non uno spettacolo dove voltarsi e andarsene una volta finito». Alice Tomat, una delle atlete della nazionale sorde di volley, è alla sua seconda stagione a Faenza, dove veste la maglia della Fenix nel campionato nazionale di B2.

La friulana di Gorizia, 26 anni, assieme alle compagne azzurre, l’anno scorso ha vinto l’oro europeo a Cagliari e tutta la sua vita, anche quella personale, gira attorno allo sport.

«Siamo quello che siamo – riprende – con le nostre speranze, i nostri sacrifici, la nostra voglia di riscatto, per comunicare un messaggio ben forte: siamo una squadra, siamo una nazionale anche noi. Perché il nostro punto di forza è l’essere un gruppo straordinario di amiche con una “piccola” caratteristica in comune: la sordità».

Dove è nata l’opportunità di venire a giocare alla Fenix?
«Mi sono trasferita nell’agosto del 2018 per convivere con Marco, portiere della nazionale dei sordi di calcio, conosciuto alle “Deaflympics” (l’Olimpiade dei Sordi, ndr) in Turchia. Qualche mese prima feci diversi provini e Faenza fu quella che mi convinse di più, sia per l’ambiente molto accogliente e allegro, sia perché è una città bellissima. Il pubblico faentino, inoltre, è sempre molto presente e premuroso».

Com’è il vostro gruppo e come sta andando la stagione?
«La squadra è in gran parte quella che l’anno scorso ha conquistato una meravigliosa promozione. Prima di tutto abbiamo creato un gruppo straordinario di compagne, prima che di giocatrici, e i risultati si vedono. Il nostro segreto è proprio questo: è la prestazione collettiva a fare la differenza, a mettere tutte noi nelle condizioni di poter contribuire alla causa».

Quali sono gli obiettivi da raggiungere?
«Siamo partite con l’intento di centrare la salvezza, ma per fortuna stiamo ancora meglio, al punto che siamo in piena zona playoff. Perciò possiamo dichiararci più che soddisfatte».

Quando hai cominciato a giocare a pallavolo?
«Quando avevo quattro anni i miei genitori decisero di farmi provare uno sport di squadra per arginare il mio handicap, da sprono a confrontarmi e integrarmi con dei compagni. Questo intento è stato poi largamente superato, fino a far diventare il volley il mio primo e unico sport. A 15 anni ho cominciato a disputare un campionato senior, in C, categoria in cui ho continuato a giocare prima di trasferirmi a Ferrara per frequentare l’Università. A quel punto ho dato la priorità allo studio, scendendo anche in D, per infine laurearmi e scegliere di trasferirmi a Faenza».

E la tua attività nelle squadre sorde?
«Milito sia nel club del Gruppo Sportivo Sordi-GSS Ancona, con cui partecipo ai campionati nazionali e alle Champions League, sia in nazionale, dal 2009, con cui ho partecipato a diverse competizioni internazionali».

Quali le soddisfazioni più grosse in azzurro?
«Partono nel 2017, l’anno dell’esplosione della pallavolo sorda italiana, con l’argento alle Deaflympics e l’attenzione finalmente posta su di noi, per arrivare all’oro europeo di Cagliari in giugno. Con un solo set perso all’esordio».

Quali i prossimi impegni in nazionale?
«Ora continua il difficile: riconfermarsi a livello mondiale. Dal 3 all’11 luglio ci saranno i mondiali a Siena, prove generali in vista delle Olimpiadi del prossimo anno in Brasile».

Secondo te la nazionale sordi dovrebbe godere di maggiore visibilità?
«L’inno d’Italia ci ha aiutato a farci conoscere, ma non è ancora abbastanza: ci piacerebbe raggiungere l’intera platea dello sport. È giusto che il nostro movimento sportivo sia conosciuto quanto gli sport paralimpici (le Paralimpiadi e le Deaflympics sono due competizioni indipendenti l’una dall’altra, ndr) al fine di permettere a dei ragazzi di vivere esperienze straordinarie con altre persone con le loro stesse difficoltà. Conoscere altri tuoi “simili” ti apre la mente e ti offre una nuova visione delle cose, senza contare le emozioni di confrontarsi con altre culture e altri mondi. Non dimentichiamo che spenti i riflettori ricominciano gli estenuanti giri su e giù per l’Italia alla ricerca di realtà che ci ospitino, nuove atlete e sponsor. Il nostro è un handicap invisibile, ma rispetto a dieci anni fa lo è di meno, e dovrà continuare fino a che smetterà di esserlo, fino a che non ci sentiremo più una “Nazionale di serie Z”».

Tu e le tue compagne come comunicate durante le partite?
«È vietato portare protesi in campo, pena l’espulsione immediata, pertanto le indicazioni vengono già assimiliate prima della partita, mentre eventuali nuove indicazioni vengono distribuite durante i time-out. Fra noi ragazze, grazie soprattutto a quell’amalgama che si è ormai instaurato negli ultimi anni, ci basta un’occhiata per capirci al volo».

Con il tuo compagno Marco, invece, si parlerà spesso di sport in casa…
«Lo sport ci ha fatto conoscere e fa parte della nostra vita. Siamo orgogliosi l’uno dell’altra perché sappiamo quante belle possano essere certe esperienze, sia con gli udenti sia con i sordi. Specie quando sfogli l’album dei ricordi anni e anni dopo».

Quali sono i tuoi obiettivi personali e i tuoi sogni da realizzare?
«Concludere in bellezza la mia carriera, con o senza risultati, ma con la giusta serenità. Ormai mi mancano solo poche stagioni e sarei felicissima di togliermi altre soddisfazioni con la nazionale, il club sordi e la Fenix».

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