“Io sono Chiara, autistica grave, e mi candido per fare il sindaco di Roma”

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Chiara Ferraro corre alle primarie del centrosinistra per le amministrative di giugno. Per accendere una luce sulla vita degli autistici e delle loro famiglie, che a Roma hanno costruito una piccola coop agricola. “Il nostro modello dimostra che una vita sostenibile è possibile”, spiega il padre

di Ginevra Nozzoli
chiaraFerraroAlle telecamere accenna spaesata timidi sorrisi, si muove lieve tra i giornalisti che la accerchiano. Se parla, lo fa con gli occhi. Il papà ne è certo: “Percepisce l’attenzione su di sé, si sente una principessa”. Al Palatium di via Frattina, per la conferenza stampa di presentazione dei candidati alle primarie del centrosinistra nella corsa a sindaco di Roma, c’è anche lei. Chiara Ferraro, 25 anni, romana, autistica grave, è in lizza per le votazioni del 6 marzo.

Unica donna ai gazebo, tentò di sedere in Consiglio comunale nel 2013 con la lista civica Marino, ma le preferenze raccolte non bastarono. Stavolta le è stata data la possibilità di partecipare alle primarie nonostante le mancassero un migliaio di firme per raggiungere la quota prefissata. Solidali i candidati avversari e i vertici dem, che hanno optato per lo strappo alla regola. Il padre, Maurizio, 64 anni, funzionario pubblico, non molla.

Sogna per lei un posto nel governo della città: “La Costituzione ce lo permette”. Ovvio, non può farlo da sola. La famiglia è la sua voce, il suo braccio destro, in una lotta per la normalità già cominciata da anni con la costruzione per Chiara di un modello di vita lontano da ghetti culturali dove l’autismo muore in silenzio, fatto di insegnamento, lavoro, interazione con sani e malati. Un modus vivendi sostenibile, ma privo, o quasi, di supporti istituzionali. Esportarlo è il cuore del suo messaggio elettorale.

Socia fondatrice della Cooperativa Garibaldi, Chiara al mattino frequenta l’ultimo anno all’istituto agrario omonimo sulla via Ardeatina, nel parco dell’Appia antica. Il pomeriggio è impegnata nella coop-azienda, una piccola realtà produttiva dove si lavora la terra, nata dalla collaborazione di associazioni di genitori con figli autistici e dalle risorse messe a disposizione dalla scuola: quattro ettari di terra e un casale di 200 metri quadrati immerso nel verde. Qui, nel 2005, comincia la scommessa.

Una ventina di soci, di cui 14 ragazzi con disabilità psichica grave, operatori sociali, rappresentanti del Consiglio di Istituto, il preside del Garibaldi, Franco Scapia, primo sostenitore dell’iniziativa, gestiscono quello che oggi è un mini agriturismo a tutti gli effetti, con trattoria aperta sempre a pranzo e due camere per il pernottamento. “Ci sono venute a trovare famiglie con un figlio autistico, curiose di vedere quello che stiamo facendo, ma anche persone normali – racconta Maurizio – e hanno dormito qui”.

I ragazzi possono coltivare l’orto, aiutare in cucina, servire ai tavoli, prendere le prenotazioni, preparare i menù. Ognuno cerca la strada più adatta alla sua indole. E, fondamentale, impara a interagire con chiunque. “Abbiamo ceduto parte degli orti a 40 famiglie della zona – racconta Maurizio – coltivano la terra e allo stesso tempo ‘adottano’ uno dei nostri ragazzi, con loro fanno l’orto”.

Chiara però non ama zappare e innaffiare. “Si è specializzata nel minestrone, è bravissima, abbiamo provato a farle fare la cameriera, o a stare nell’orto, ma non le piace”. A volte vende al mercato l’insalata raccolta dai colleghi. Prova a fatica a comunicare con le massaie romane che si fanno largo tra i banchi di primizie, a volte ignare che a uno sbrigativo “me dai un chilo de questo”, lei rimane immobile. Poi imparano, la prendono per mano e le indicano cosa desiderano acquistare.

Abituarla a frequentare tutti i giorni i laboratori della coop non è stata una passeggiata: “All’inizio si rifiutava, poi con il tempo e l’appoggio di coetanei e operatori professionisti che seguono i ragazzi ce l’ha fatta, ha trovato la sua dimensione”. E, finita la scuola, avrà un impiego. Una conquista non da poco per un malato di autismo. “Non facciamo beneficenza – precisa il padre – questa è un’azienda, si produce, si vende, ci sono volontari, ci sono studenti come Chiara, ma ci sono anche ragazzi pagati dalla cooperativa, e altri dalla Regione con Garanzia Giovani”. Un progetto attentamente monitorato nei suoi risvolti clinici anche dal dipartimento Processi di Sviluppo e Socializzazione della Facoltà di Psicologia de La Sapienza

Un piccolo mattoncino sudato, conquistato a fatica, dopo anni di calvario. “Le prime crisi epilettiche sono arrivate a sei mesi, un giorno mentre prendeva la poppata dalla mamma, si è staccata all’improvviso, ed è collassata sul letto, siamo corsi al San Giovanni, e qui ha avuto la prima crisi”. I tre anni successivi li ha trascorsi in un letto d’ospedale al Bambin Gesù, finché la famiglia ha imparato a gestire in autonomia gli attacchi della piccola. Oggi le crisi continuano, una ogni tre giorni, dai 16 anni solo di notte, mentre dorme. “Gli anni forse peggiori sono stati quando andava alle scuole medie. Uno l’ho passato seduto fuori su una panchina ad aspettarla, non volevo che a ogni crisi la portassero in ospedale, la calmavo io”.

Poi l’incontro casuale con altri genitori, attori dello stesso dramma. Insieme hanno conosciuto il preside del Garibaldi, hanno iscritto qui i loro figli, e tirato su per loro un posto degno. “Abbiamo realizzato un modello positivo, una scommessa sull’autonomia di questi ragazzi. Tutti gli autistici, giovani o adulti, hanno bisogno di un percorso continuo abilitativo, devono poter acquisire competenze per tutta la vita”. E non è un’utopia. La legge esiste, ma di rado viene applicata.

“Il concetto di progetto individuale inteso come percorso di integrazione del disabile nella vita sociale e nel contesto di apprendimento e professionale, è contenuto nell’articolo 14 della legge 328, del 2000 – spiega ancora Maurizio – ma a Roma e nel Lazio non viene quasi mai utilizzato, c’è chi non è neanche a conoscenza. Si è sempre proceduto con i piani di zona, con la distribuzione di pacchetti di servizi che non solo non tengono conto dell’individualità del disabile, ma che si avvalgono di operatori poco qualificati”.

Attenzione alla persona e costruzione di progetti assistenziali programmati sulle singole esigenze. E’ il paradigma che Maurizio vorrebbe vedere applicato, per l’universo senza voce di malati rappresentati dalla Chiara candidata. Una corsa simbolica che si fa provocazione, messa da più parti sotto accusa. Esibizionismo, personalismo, strumentalizzazione, perché tanto “Chiara non capisce”. O ancora, “perché non ti sei candidato tu”. Ai detrattori, papà Maurizio ha già risposto: “E’ la sua presenza fisica che cambia le cose, il suo esserci in luoghi dove nessuno ha mai visto persone come lei. Non avrebbe senso se lo facessi da solo. Dovrei nasconderla? Lei è così, è questo, è Chiara”.

 

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