L’emergenza coronavirus ha messo in luce chiaramente fratture e distanze nella nostra società che si sono risolte in un impatto profondamente diverso della crisi e delle misure di contenimento sui cittadini.

La ripresa graduale dei servizi e delle attività sociali, economiche e produttive, necessita di nuovi modelli organizzativi e relazionali che rilancino il tema delle pari opportunità nella più ampia accezione possibile: spazi e tempi accessibili, paritari e sostenibili e un focus imprescindibile sull’intersezione degli ostacoli e delle discriminazioni. Se da una parte, le misure di resistenza e contenimento del virus, hanno inizialmente dovuto tralasciare alcune fasce della popolazione, come quella dei giovani e giovanissimi, la programmazione della fase due deve tenere in debito conto le disuguaglianze sociali e le discriminazioni multiple e in particolare la relazione invisibile tra genere e disabilità.

È importante ricordare che le discriminazioni di genere non si sostituiscono a quelle determinate dalla disabilità, ma si sommano ad esse producendo un pesantissimo effetto moltiplicatore. Le donne con disabilità incontrano le stesse difficoltà degli uomini disabili nell’accedere al mondo del lavoro così come nella vita sociale quotidiana e nel percorso scolastico, ma a queste se ne aggiungono altre legate esclusivamente al genere. Non è difficile riscontrare differenti atteggiamenti delle famiglie tra figli e figlie con disabilità, meccanismi patologici che disincentivano l’indipendenza personale delle ragazze, scoraggiano la formazione di alto livello e/o l’inclusione nel mondo del lavoro, ostacolano la socialità. Inoltre, spesso le due variabili del genere e della disabilità non vengono percepite nella loro stretta connessione e questo comporta il rischio, soprattutto in contesti dove la disabilità è ancora un tabù, di registrare una scarsa consapevolezza e minori probabilità di elaborare, dal basso e dall’alto, strategie di contrasto al problema.

Le donne e le bambine con disabilità sono quindi soggette a discriminazioni multiple che limitano il pieno sviluppo e l’emancipazione nonché l’esercizio dei diritti fondamentali. Nello specifico, il complesso delle discriminazioni si traduce nel maggiore rischio, all’interno e all’esterno dell’ambiente domestico, di subire violenze e abusi, di essere dimenticate, maltrattate e sfruttate. Un insieme di variabili e pericoli che nel periodo emergenziale si sono acuiti e rappresentano importanti sfide per il futuro.

Sulla scia della dichiarazione pubblicata dalla Women Enabled International (WEI), l’organizzazione con sede a Washington D.C. che promuove i diritti umani delle donne e delle ragazze con disabilità, è necessaria una riflessione seria e di lungo termine sugli effetti dell’intersezione tra genere e disabilità durante l’emergenza Covid-19.

Oltre all’indebolimento dei diritti, la politica di isolamento e di confinamento ha portato ad un aumento dei livelli di violenza domestica, sessuale e di genere con un peso più grande per le donne disabili che vivono, molto spesso, il fenomeno nel silenzio più totale.

Se guardiamo al solo periodo pre-emergenza, secondo i dati Fish – Federazione italiana superamento dell’handicap – oltre il 65% delle donne con disabilità ha subito una forma di violenza e il dato aumenta in presenza di disabilità plurime. La forma di violenza più ricorrente è quella psicologica e a maltrattare le donne sono nella maggioranza dei casi partner o familiari. Il dato più preoccupante è però quello che vede reagire solo il 37% di coloro che dichiarano di aver subito una qualche forma di violenza e solo un terzo di queste donne consapevoli della violenza subita. Una fotografia precisa di una aggressività confinata nel silenzio e nell’isolamento che necessita più che mai di interventi precisi e urgenti.

E poi c’è il macro-tema dell’accesso alle cure e, più in particolare, della tutela dei diritti sessuali e riproduttivi. L’anello di congiunzione tra disabilità e genere in questo caso riguarda i servizi di ginecologia e ostetricia. Troppe donne disabili sono ancora oggetto di profonde discriminazioni dovute al tabù della sessualità (femminile e ancora di più delle persone disabili) e questo si traduce, non solo nell’impossibilità di esperienza diretta della corporeità e di un confronto e ascolto, ma spesso anche in un mancato accesso a controlli e cure basilari e/o straordinari (visite ginecologiche, controlli periodici, ma anche contraccezione).

La sospensione dei servizi socio-assistenziali e scolastici ha poi avuto conseguenze drammatiche nella forza lavoro femminile tra sovraccarico di lavoro di cura e difficile conciliazione dei tempi di lavoro. A questo, per le donne disabili, si aggiunge il peso di una dimensione domestica a volte soffocante, priva dell’ordinaria assistenza logistico-fisico-psicologica e l’incognita di tornare in un posto di lavoro ancora meno accessibile per via delle straordinarie misure di sicurezza.

È urgente una strategia di contrasto all’isolamento sociale e professionale, al bullismo e alla segregazione scolastica. Le criticità per le donne disabili emergono infatti fin dall’infanzia e si protraggono per tutta l’età adulta, a partire dalle difficoltà di accesso all’istruzione e formazione di qualità e la conseguente scarsa integrazione nel mondo del lavoro. Una combinazione che minaccia fortemente l’autonomia e l’autoconsapevolezza.

E’ urgente sostenere e supportare il sostegno alla didattica per le bambine e i bambini con bisogni educativi speciali, soprattutto nell’ottica di digitalizzazione, e prevedere dei corsi di formazione e orientamento specifici. Rendere le nostre scuole e le nostre università luoghi del sapere davvero inclusivi e accessibili e promuovere una massiccia campagna di empowerment delle studentesse, disabili e non, che sfidi la “segregazione” scolastica, in particolar modo nei settori ad alta specializzazione.

E’ urgente, proseguendo nell’età adulta e le relative difficoltà di integrazione lavorativa, ripensare il mercato del lavoro in chiave inclusiva, sia in termini di spazi che di tempi e modalità.

È urgente, in questo senso, attualizzare le politiche nazionali e regionali in tema di accesso e mantenimento al lavoro per le persone con disabilità, includendo il tema nel più ampio ripensamento dei modelli organizzativi e gestionali del lavoro post-emergenziale. In particolare, una riprogrammazione dei fondi nazionali, a partire dal Fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità, e i fondi strutturali. Un massiccio piano di digitalizzazione e corsi di formazione mirati a trasformare la cultura del lavoro. L’istituzionalizzazione della figura del disability managercosì come fatto recentemente dalla Regione Lazio, figura ponte tra il mercato del lavoro e la persona con disabilità che accorci le distanze e renda davvero accessibile ogni luogo di lavoro.In questi processi di trasformazione e riprogettazione dei servizi e attività, è imprescindibile il coinvolgimento delle imprese sociali e degli enti del Terzo settore impegnati nei percorsi di inserimento lavorativo, promozione, tutela delle persone con disabilità, sotto i diversi profili, incluso quello economico e finanziario.

È urgente, ora più che mai, un approccio sistemico all’accessibilità che coinvolga la progettazione e l’organizzazione dei servizi sanitari e non si limiti a considerare i singoli ambienti o servizi, ma che ragioni appunto su un sistema coordinato e funzionante. A questo si lega il tema dell’assistenza domiciliare che dovrà essere ripensata con l’obiettivo di garantire la massima protezione possibile sia per i beneficiari che per i caregivere, sul lungo termine, di costruire un welfare davvero in grado di migliorare il benessere e il progetto di vita individuale dei soggetti coinvolti.

E’ urgente rimarcare la necessità di una ripartenza davvero inclusiva. Abbiamo l’occasione di ripensare e rimodulare modi e tempi di vita, di lavoro e dei servizi. L’augurio è che, in questa fase di immaginazione, non manchi il coraggio di fare i conti con le distanze e disuguaglianze emerse in tempi emergenziali e coraggiosamente di intervenire affinché la fase due sia sinonimo di una nuova cittadinanza davvero attiva e paritaria e di una nuova società che non lasci indietro nessuno. Perché è davvero urgente. Ora, più che mai, al tempo del Covid. 

Eleonora Mattia Consigliera PD Regione Lazio e Presidente Commissione Lavoro, Pari opportunità, Istruzione, Formazione e Politiche giovanili

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