Il lavoro per i disabili? In Italia siamo all’anno zero. Appello alla ministra Locatelli

Oggi la ricerca di un'occupazione è un'odissea tra burocrazia lenta o immobile e imprenditoria impreparata

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Cara Ministra, mio figlio (disabile motorio al 100% con distrofia muscolare) ha ricevuto una comunicazione dell’Inps che informa che gli hanno ridotto l’integrazione alla pensione di invalidità, in quanto ha percepito 1.700 euro in un anno per un’attività da pubblicista che gli frutta bel 160 euro mensili! Inoltre, a causa dei ritardi dell’Inps, i conteggi relativi al ricalcolo della pensione del 2020 sono stati fatti solo nel 2022 e deve restituire quanto percepito in più (!), ossia 1.644,29 euro.

A rate, bontà loro. Ma come si può pensare che lo Stato sia inclusivo se poi, a fronte di un lavoretto da 160 euro al mese svolto da un giovane disabile motorio che altro non potrebbe fare nella vita, l’integrazione alla pensione di invalidità viene ridotta? Dopo la giornata delle malattie rare, approfitti per impegnarsi su questo tema che sta a cuore a tanti. L’inclusione passa dalle concretezze. Grazie se vorrà ascoltarmi.

Lettera rivolta alla ministra per la disabilità, Alessandra Locatelli

La questione trattata nella lettera dal punto di vista normativo è tecnicamente corretta, ma è assurda dal punto di vista logico. Già con i contributi previsti facciamo notevole fatica a coprire tutte le spese, se poi basta un piccolo lavoro perché subito vengano tolti dei soldi… Se si guadagnassero cifre molto alte, intorno a 4.000 – 5.000 euro al mese, potrei capire, ma con 1.700 annui percepiti, è qualcosa di veramente assurdo. Insomma, questi contributi non ci servono per un happy hour a Dubai, ma per migliorare la nostra quotidianità. Il lavoro con retribuzione modestissima non può giustificare una riduzione dei contributi, anche perché, se per esempio una persona disabile si deve recare sul luogo di lavoro, avrà pur bisogno di qualcuno che la assista e anche questa è una spesa. Il rapporto lavoro e disabilità è un tema cruciale e va analizzato sotto tanti punti di vista.

Nella mia esperienza il lavoro è stato molto importante, mi ha aiutato a sentirmi realizzato e a farmi capire che anche con una disabilità molto grave avevo delle capacità. Ciò è potuto accadere anche per l’interesse che nutro per questo lavoro. La proposta di lavoro a una persona disabile deve essere infatti stimolante e rispettosa della persona stessa. A volte le aziende assumono persone disabili perché obbligate dalla legge e magari propongono lavori ridicoli, oppure le mettono dentro un ufficio a fare nulla. Io credo che andrebbero fatti controlli più adeguati e interventi precisi, volti a promuovere una cultura corretta verso disabilità e lavoro. Non parliamo poi del reclutamento, per cui bisogna recarsi all’ufficio di collocamento mirato per essere indirizzati, che al momento non funziona tanto bene. Per esempio, l’unica volta che sono stato contattato da un’azienda, è stata per propormi un lavoro come tecnico dei condizionatori. L’azienda si è scusata per l’errore, ma l’ufficio di collocamento aveva dimenticato di segnalare che io ero iscritto alla lista di collocamento “mirato”.

Tanti si domanderanno come migliorare lo stato delle cose. Per prima cosa bisognerebbe far funzionare i servizi già esistenti, far applicare le leggi e cancellare le normative assurde, come quella segnalata nella lettera alla ministra. Questi sono solo alcuni punti sui quali si dovrebbe intervenire, ma è necessario il sostegno del ministero della Disabilità. Non basta solo fare promesse, è il momento di agire, altrimenti possiamo fare anche a meno di questo ministero. Solo lavorando per una società più inclusiva possiamo migliorare, perché, più la società è inclusiva, più ne beneficiano tutti. Senza lavoro per un disabile diventa ancora più difficile trovare le motivazioni per alzarsi al mattino e andare avanti. E’ il momento di passare finalmente dalle parole ai fatti. Diamo la possibilità alle persone disabili di lavorare secondo le loro capacità e inclinazioni, valorizzandole per quello che sanno fare e non soffermandosi su quello che non possono fare. La disabilità non deve essere l’unica discriminante quando si sceglie un candidato per un posto di lavoro, ma andrebbe valutato in base al suo curriculum. Ci sono ancora tanti passi da compiere, ma cerchiamo almeno di tracciare una strada più chiara da seguire per creare una società davvero inclusiva.

Mattia Abbate, l’autore di questa rubrica, è affetto da distrofia muscolare di Duchenne.

 

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