“Abusi su una ragazza sordo-muta”, 6 anni ad operatore del Fatebenefratelli

La condanna per Umberto Ghiaccio, 46 anni, di Benevento. Lui si è sempre detto innocente

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BENEVENTO – Sei anni, uno in meno rispetto a quelli chiesti dal pm Flavia Felaco. E’ la condanna stabilita dal Tribunale per Umberto Ghiaccio, 46 anni, di Benevento, operatore del Fatebenefratelli (da tempo è stato trasferito presso un’altra sede), accusato di aver abusato sessualmente di una ragazza sordomuta, affetta anche da un ritardo evolutivo.

di Enzo Spiezia – Redazione Ottopagine

Per lui anche il risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore della parte civile, rappresentata dall’avvocato Grazia Luongo, che si era espressa per la dichiarazione di responsabilità dell’imputato, del quale l’avvocato Grazia Sparandeo aveva invece sollecitato l’assoluzione.

Si tratta di una storia finita al centro di una inchiesta condotta dalla Squadra mobile e scandita anche da un incidente probatorio nel luglio 2016, quando la ragazza, allora 24enne, aveva ripercorso, con l’assistenza di una interprete della lingua dei segni e di uno psicologo, ciò che avrebbe subito il 27 giugno del 2016 mentre era al Fatebenefratelli per assistere la madre.

L’ACCUSA

Secondo gli inquirenti, l’uomo avrebbe prelevato la paziente dalla stanza di degenza e l’avrebbe accompagnata, servendosi di un ascensore, presso l’ala del nosocomio che ospita gli ambulatori. La donna doveva infatti sottoporsi ad un esame, con lei c’era la figlia.

Ghiaccio avrebbe invitato la malcapitata, con un gesto della mano, a seguirlo fin dentro una camera riservata ad una delle branche specialistiche: una stanza dotata di un bagno nel quale l’operatore l’avrebbe spinta, costringendola contro un muro. A quel punto, avrebbe approfittato di lei dopo averla svestita.

Sarebbe stata una familiare, quando la poverina era rientrata a casa, ad accorgersi che era turbata. Le aveva chiesto il motivo, e la giovane, che fino a quel momento non lo aveva fatto, aveva accennato a qualcosa. Ecco perchè la congiunta, preoccupata, si era rivolta ad un’amica che era riuscita a capire ciò che sarebbe successo. Il passo successivo era stata la denuncia che aveva dato il là all’attività investigativa.

LA DIFESA

Il 46enne ha sempre respinto ogni addebito, lo ha fatto anche a gennaio, quando si è sottoposto all’esame in aula. Preceduto da una psicologa, sua consulente, che aveva espresso forti dubbi sulla metodologia seguita dallo specialista del Pm e sull’attendibilità della parte offesa, soprattutto rispetto alla descrizione delle condotte di cui sarebbe rimasta vittima, il 46enne aveva offerto una ricostruzione del tutto opposta a quella tratteggiata dalla Procura.

Aveva confermato di essersi soltanto limitato ad accompagnare in ascensore la madre , che era ricoverata, e la giovane nell’area ambulatori. Le aveva lasciate lì ed era andato via, più tardi era ritornato per ricondurre le due donne, su disposizione della caposala, nella stanza di degenza. Aveva ammesso di averle dato il numero del suo cellulare, scrivendolo su un bigliettino, ma solo con l’obiettivo di poter aiutare lei e e la sua famiglia in caso di necessità. E quando gli era stato chiesto se esistessero motivi di astio alla base delle accuse che lei gli ha rivolto, il 46enne aveva risposto di non sapere perchè si fosse inventata tutto.

 

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