PIME in Thailandia: dove la disabilità è una punizione

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di Stefania Di Pietro

Fondato da Mons. Angelo Ramazzotti nel 1850 come Seminario Lombardo per le Missioni Estere, il Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) di Milano è il primo istituto missionario nato in Italia, ossia una comunità di sacerdoti diocesani e laici che dedicano la vita all’annuncio del Vangelo in mezzo a culture diverse, privilegiando situazioni di “periferia”, sia in senso geografico che esistenziale

“Educazione e integrazione, mantenendo l’unicità di ciascun individuo”: questo è il motto del PIME, un messaggio lanciato ultimamente per festeggiare i cinquant’anni della presenza dell’associazione in ThailandiaDa queste considerazioni e dalla consapevolezza dell’importanza di aprire la vista verso il “diverso”, nasce una campagna che segnerà i progetti dell’anno 2022 di questo grande gruppo di missionari che operano ai confini del mondo.

Curare soprattutto la presenza del PIME nel territorio thailandese è stato uno dei principali obiettivi a partire dal 1972; due le principali aree di impegno: con il mondo thailandese buddhista nella capitale Bangkok e con le minoranze tribali del Nord, le cosiddette tribù dei monti, che manifestano una maggior apertura all’annuncio del Vangelo.

Natura selvaggia, templi color oro e affascinanti tramonti fanno della Thailandia una meta da sogno per romantiche lune di miele, ma i volontari del PIME ne conoscono anche la sua faccia meno idilliaca: nella perla del Sud-est asiatico nascere disabili può trasformarsi infatti in un muro invalicabile. A causa di antiche e sconvolgenti superstizioni, giovani e vecchi, affetti da problemi di natura psico-fisica, vengono rifiutati dalla propria famiglia, che vive la disabilità come una punizione divina. In Thailandia, la fragilità diventa così una colpa e i genitori preferiscono non registrare i figli disabili all’anagrafe, nascondendoli agli occhi dei vicini.

A rompere gli schemi sociali sono stati proprio i volontari del Centro Saint Joseph presso la missione di Phrae a 500 km da Bangkok e gestito a distanza dal PIME di Milano. «Il Centro è nato nel 1995 grazie a Claudio Vezzaro, un volontario laico con disabilità acquisita, che vi si stabilì con la moglie per offrire occasioni di riabilitazione fisica alle persone con disabilità. In un Paese in cui la discriminazione era all’ordine del giorno, non esisteva nessun tipo di assistenza domiciliare e la maggior parte dei disabili viveva nascosta in casa, essendo considerati come un peso per la loro famiglia» racconta padre Ivo Cavagna, attuale direttore del Saint Joseph.

Foto: Centro Saint Joseph (PIME) Thailandia

Dal 2017, il centro è appoggiato dalle istituzioni locali e ha accolto una cinquantina di ragazzi di religione buddhista, iscritti alla Scuola cattolica degli Angeli Custodi. Così da semplice “casa-famiglia” il Saint Joseph è diventato un istituto socio-educativo e riabilitativo, dove svolgere programmi multidisciplinari. «I bambini costretti all’immobilità sono visitati a domicilio da fisioterapisti, coadiuvati da altri educatori. A scuola vengono aiutati da sei insegnanti di sostegno e frequentano anche un laboratorio di cartotecnica guidato da una maestra che insegna a produrre oggetti artigianali» continua p. Cavagna.

Ma per i genitori è ancora molto difficile accettare l’aiuto domiciliare, a causa di una naturale diffidenza culturale, così i volontari lottano quotidianamente contro radicate superstizioni, spiegando agli abitanti che non esiste nessun collegamento giustificabile tra disabilità e karma, ma che è fondamentale accettare la natura dei propri figli, favorendo la loro integrazione nella società.

Il PIME ha così organizzato un programma suddiviso in tre sezioni in relazione soprattutto all’età degli ospiti. I piccoli tra i cinque e i quattordici anni vengono seguiti costantemente dal personale thailandese nelle attività scolastiche, ricreative e sportive. Ai giovani tra i 15 e i 25 anni, vengono offerti corsi di alfabetizzazione, manualità e informatica all’interno di un laboratorio tecnico, dove si impara anche a produrre oggetti di carta di riso da rivendere in modo da ricavarne un reddito e tanta dignità. Ben quindici persone vengono inoltre seguite presso le proprie abitazioni, attraverso servizi di assistenza a domicilio. «Non si tratta soltanto di riabilitazione fisica, ma anche di accoglienza e possibilità di frequentare la scuola dell’obbligo e in seguito dei corsi di avviamento professionale al lavoro» continua p. Ivo.

I missionari si occupano anche dei ragazzi più grandi, insegnando loro l’utilizzo di carrozzina, servizi igienici e cucina per diventare totalmente autonomi. Quella del PIME è una presenza silenziosa, ma soprattutto una forte testimonianza di vita, poiché scegliere di lavorare, con e per i disabili, nasce dal desiderio di condividere un tratto di strada insieme, tenendo per mano chi altrimenti sarebbe destinato alla disperazione.

 

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