Etiopia plastic free? Merito del lavoro di donne sorde

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Ad Addis Abeba esiste un’impresa rivoluzionaria dal punto di vista sociale, culturale e ambientale: si chiama Teki paper bags e produce buste di carta. A realizzarle e venderle sono soprattutto lavoratrici non udenti che utilizzano la LiS. Articolo pubblicato sulla rivista SuperAbile Inail

ROMA – «Combattiamo le buste di plastica con la lingua dei segni. E funziona». Lo assicura l’azienda Teki paper bags, che in Etiopia sta realizzando con successo un modello rivoluzionario, che coniuga inclusione sociale e coscienza ambientale. Teki significa sostituire ed è questo l’obiettivo dell’azienda: sostituire la plastica con la carta. Protagonista dell’impresa è un gruppo di lavoratrici sorde, che producono e vendono ogni giorno sacchetti di carta in questa piccola impresa virtuosa di Addis Abeba. E i numeri sono di tutto rispetto: 25 dipendenti, di cui 18 con disabilità uditive, oltre un milione di sacchetti di carta prodotti a mano.

«Abbiamo aperto Teki tre anni fa, eravamo solo in tre, poi passo dopo passo siamo cresciute», racconta Mimi Legesse (nella foto in basso), una delle fondatrici, sorda e orgogliosamente madre di due bambini, Sititaw e Maril. «Da quando ero una ragazzina all’orfanotrofio, ho sempre sentito il bisogno di aiutare altri bambini sordi. Essere sordi in Etiopia è molto difficile, ma sta a noi accettare la nostra disabilità e andare avanti nella vita con fiducia». Per questo, tre anni fa, Legesse ha dato vita a Teki Paper Bags, dopo il fortunato incontro con Clement, un imprenditore svizzero che voleva sostenere la comunità dei non udenti attraverso la creazione di un’impresa sociale. «Produciamo buste di carta, per combattere la plastica. E intanto offriamo un’occupazione alle donne sorde. Vendiamo i nostri sacchetti attraverso la lingua dei segni, tramite i nostri interpreti», spiega.

Un’azienda all’avanguardia, quindi, dal punto di vista economico e ambientale, ma soprattutto per quel che riguarda l’inserimento sociale, come racconta una delle donne sorde assunte dall’azienda: «Nel mio precedente lavoro, ero l’unica sorda. Per quelle come me, non ci sono opportunità lavorative. Qui a Teki è diverso: incontro altre donne sorde, siamo come una famiglia e questo mi rende felice». Il modo in cui il lavoro è organizzato all’interno dell’azienda lascia peraltro alle mamme il tempo necessario da dedicare ai propri figli. Non solo: «In Teki copriamo completamente le spese di trasporto per creare un sistema salariale equo per tutti», dice Mimi Legesse. «Questi valori trasformano i nostri familiari nei migliori ambasciatori della nostra lotta contro i sacchetti di plastica».

Accanto alla mission, però, c’è il business, con le sue implacabili leggi: prima fra tutte, produrre per sopravvivere. «Creare occupazione per i non udenti è una cosa bella, ma dobbiamo anche assicurarci che ci sia abbastanza lavoro per tutti», continua la fondatrice. «Quindi abbiamo creato il nostro piano in due fasi, che abbiamo chiamato “Movimento Teki”: il primo passo si concentra sulla vendita dei nostri sacchetti di carta, in particolare alle grandi aziende disposte a sostenere la nostra causa. Il secondo passo consiste invece nella distribuzione gratuita di sacchetti di carta alle piccole imprese di proprietà di donne. Abbiamo iniziato la distribuzione nel 2017 ad Addis Abeba, con l’aiuto dell’Ambasciata svizzera in Etiopia. I sacchetti di carta gratuiti hanno aiutato queste imprenditrici a risparmiare denaro, come ricompensa per aver rinunciato ai sacchetti di plastica. Abbiamo già distribuito più di 200mila sacchetti di carta gratuiti e il successo va oltre le nostre aspettative», commenta.

I sacchetti prodotti da Teki paper bags, realizzati in carta riciclata al 100%, hanno diverse forme e misure e quindi differenti impieghi e costi: le aziende che intendono adottarli hanno a disposizione un catalogo dal quale scegliere e selezionare le buste più adatte alle proprie esigenze. Invitando le imprese a unirsi così a questo “movimento”, Teki mette in moto una vera e propria rivoluzione sociale, ambientale e culturale, in un Paese in cui la plastica sta diventando una vera emergenza. Ne è ben consapevole Mimi Legesse, che racconta come il Paese sia rapidamente cambiato nell’ultimo mezzo secolo: «Sessant’anni fa non c’erano sacchetti di plastica in Etiopia. Il Paese era pulito e i nostri anziani se la cavavano bene senza questi. Oggi, invece, ogni volta che acquistiamo qualcosa, riceviamo almeno un sacchetto di plastica. Più cose compri, più sacchetti di plastica ricevi e tutti pensano che questo sia normale. Ma le buste che ci vengono date sono destinate a sporcare la nostra città, contaminare i nostri fiumi, avvelenare i nostri animali e allagare le nostre strade quando piove. Dobbiamo smetterla, quindi, e liberare il nostro Paese dalla plastica. Dobbiamo farlo per i nostri figli. Unire i nostri punti di forza per superare le nostre debolezze è ciò che ci fa progredire: e allora perché non possiamo applicare questo principio anche per risolvere le più grandi sfide sociali e ambientali?». Teki paper bags ci prova e sembra proprio intenzionata a riuscirci.

 

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