Pakistan, l’italiana a Karachi che insegna la lingua dei segni

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Maria Paola, romana, da più di trent’anni nel Paese. Il lavoro sociale che svolgeva, assieme al marito scozzese, negli anni ’80 in Italia, l’ha portata nella metropoli, dove pensava ci fosse più bisogno del loro aiuto. Con altri colleghi specializzati nell’istruzione infantile, si sono interessati dei sordomuti

di MARINA LALOVIC

KARACHI – Ci sono immagini che rimangono impresse quando si arriva nella città di Karachi, conosciuta anche come la città delle luci. Immagini, odori, suoni. La prima cosa che si nota arrivando nella città più grande del Pakistan, e il più grande porto del paese, è il traffico. Poche persone che camminano per le strade, mentre lo spazio pubblico è invaso dai motorini e i risciò locali. L’altra immagine è quella degli aquiloni che sorvolano continuamente la città più popolosa del Pakistan (circa 22 milioni di abitanti), la quarta più popolosa al mondo, considerata sino a pochi anni fa uno dei luoghi più pericolosi del pianeta.

International Media conference Karachi 2018. La sicurezza e la cattiva reputazione da parte dei media sono i due aspetti che vengono posti in evidenza in continuazione dalle persone che si incontrano. Il miglioramento dell’immagine del Paese e la resilienza della città di Karachi sono stati gli obiettivi della Conferenza Internazionale dei Media organizzata da Pakistan Media Development Foundation. Cosa pensi del Pakistan? Ti senti sicura? Sono le domande che ci vengono poste in continuazione dai giornalisti locali, curiosi e speranzosi di capire se anche pochi giornalisti stranieri (una trentina da tutto il mondo) notano i cambiamenti avvenuti a Karachi.

Un’italiana che insegna la lingua dei segni pachistana. A Karachi incontriamo Maria Paola, romana, che abita in questo Paese da più di trent’anni. Il lavoro sociale che svolgeva, assieme a Francis, il suo marito scozzese, negli anni ’80 in Italia, l’ha portata in Pakistan, dove pensava ci fosse più bisogno del loro aiuto. Con altri colleghi specializzati nell’istruzione infantile, si sono interessati della comunità dei sordomuti in Pakistan. “I giovani sordomuti non sapevano quasi nulla del linguaggio dei segni perché nessuno glielo insegnava. Esisteva un linguaggio dei segni ma molto rudimentale e questi giovani avevano grande difficoltà a comunicare anche con i loro genitori,” spiega Maria Paola. “Con un collega americano abbiamo iniziato a insegnargli la lingua dei segni americana, ma successivamente abbiamo lavorato sull’arricchimento della lingua pachistana dei segni. Ogni paese ha una lingua dei segni diversa e per quanto riguarda il Pakistan siamo arrivati a cinque mila parole.”

Il progetto lanciato due anni fa. Family Educational Services Foundation, di cui sono cofondatori, esiste dagli anni ’80 ma il progetto per i ragazzi sordomuti è stato lanciato due anni fa. Il lavoro intensivo sul dizionario è stato lanciato circa 5 anni fa. “All’inizio eravamo volontari aiutati dai nostri genitori. Successivamente la gente locale ha capito l’utilità dei progetti e ha iniziato ad aiutarci con le donazioni, mentre ora siamo sostenuti anche dal governo”. I bambini che usufruiscono dei servizi di questa associazione vengono dai ceti sociali più bassi e diversamente non avrebbero accesso a questo tipo di istruzione. Spesso non sanno né leggere né scrivere e il linguaggio che gli viene insegnato nel centro cambia la loro vita, partendo dalla possibilità di comunicare con i loro genitori. Oltre alla lingua dei segni, imparano a leggere e scrivere l’urdu e l’inglese.

Ormai gestiscono sei scuole. Oltre al dizionario, l’associazione attualmente lavora sulla costruzione delle storie perché “non puoi insegnare ai bambini solo dai dizionari. Dopo l’istruzione soprattutto nel campo del IT (Information Technology) abbiamo cominciato con un scuola elementare. Attualmente gestiamo sei scuole. La più vecchia sta qui a Karachi, un’altra si trova a Lahor e altre quattro stanno all’interno del Sindh, la zona con il più basso livello di istruzione. Abbiamo anche un’agenzia di lavoro che dopo l’istruzione si impegna all’inserimento nel campo di lavoro. Attualmente abbiamo più di 1300 studenti. I bambini vengono dall’età di tre anni e ora siamo registrati anche come università.”

E Karachi? “In questi 30 anni Karachi è cambiata molto”, spiega Maria Paola. “Prima era molto più tollerante e libera. Io andavo in giro con la gonna. Ora non lo farei mai. Metto sempre i vestiti locali. In certe città, ad esempio Peshawar, devi andare con la testa coperta se non vuoi apparire proprio strano”. Mahtab Akbar Rashdi, politica appartenente alla coalizione Pakistan Muslim League e giornalista, ricorda l’epoca in cui è cresciuta in Pakistan, come un periodo liberale. Si tratta degli anni sessanta e settanta. “Ma la mia generazione sta svanendo e i miei nipoti non hanno potuto conoscere questo lato del paese pacifico. Tutto quello che hanno potuto vedere è il terrorismo come conseguenza delle guerre per procura che stiamo combattendo dagli anni ‘70: “Sotto la dittatura del generale Muhammad Zia-ul-Haq mi è stato proibito per 18 anni ad apparire in tv perché ho rifiutato di indossare il velo. Solo dopo la sua morte, e con le successive elezioni nel 1988, mi hanno invitato a diventare reporter con la possibilità di non indossare il velo.

Le giornaliste senza più velo. Oggi le giornaliste televisive del Pakistan non si coprono la testa e addirittura appaiono con le spalle scoperte. Le cose cambiano, e non puoi proibire al mondo di andare avanti. Quella di Musharraf (2001-2008), anche se era considerato un dittatore perché proveniva dall’esercito, era anche un’era progressista. E’ stato sotto il suo governo che sono state stabilite le quote rosa al Parlamento, assicurando il 33% dei seggi alle donne. Prima le donne non erano presenti nella sfera dell’implementazione delle leggi. Era impensabile vedere le donne sedute nei governi locali. Anche i partiti hanno capito l’importanza del coinvolgimento delle donne nella vita politica perché sono loro quelle che attirano i voti di altre donne.”

I matrimoni combinati. Rashdi spiega che la maggior parte dei matrimoni è ancora combinato. “Tutto dipende dalla classe sociale. Più si è poveri e più si è costretti ai matrimoni combinati. Durante l’epoca di Benazir Bhutto è stata aperta la strada per le donne a entrare in politica. Le sue iniziative includono l’apertura della prima banca per le donne, presiedute dalle donne, dove si concede il microcredito. Ha inoltre aperto le stazioni di polizia fatte di sole donne, le prigioni separate e l’inserimento delle donne in posizioni decisive. Grazie a lei sono entrata a far parte del Comitato della regione di Sindh.” Aysha Amin, studentessa di 24 anni, ci spiega che a Karachi la vita sociale si consuma nei caffè e nei ristoranti. Uno dei caffè più popolari si chiama The Grid, un posto multifunzionale che contiene piscine, bar con karaoke, una libreria.

La questione femminile. Sulla questione femminile Aisha sostiene che le donne all’estero hanno la libertà di indossare tutto quello che vogliono, mentre a Karachi devi prendere in considerazione certi aspetti. “Ora sto indossando un abito occidentale, ma devo rispettare certe regole. Le gambe e le braccia devono essere coperte. Si indossa il velo in funzione della propria religiosità. Ci sono molti cristiani che non vanno in chiesa e molti musulmani che non pregano e lo stesso vale qui. Dunque indossare il velo non è obbligatorio.

I fischi dei ragazzi per la strada. Comunque, mentre una ragazza cammina per le strade è frequente che molti ragazzi la fissino, a prescindere se porta il velo o meno. Dunque credo che questo non dipenda dai vestiti ma dalla mentalità della nostra società. Comunque, non è ben visto che una ragazza giri tardi per le strade. Anche ora, una mia amica che ha 22 anni deve tornare a casa entro le 21.00. Rispetto alla spiaggia che avvolge la città di Karachi, Aisha ci spiega che non è vietato dalla legge indossare il costume da bagno “ma nessuno lo fa, perché non vorresti che le persone ti fissino.”

“Meglio non girare da sole”. A Karachi non è ancora consigliato girare da soli per le strade, soprattutto se si è donna straniera. Un aspetto che abbiamo sfatato andando al mercato locale da soli, questa volta senza la scorta della polizia, altrimenti continuamente presente durante i nostri spostamenti nella città. Oltre all’obiettivo di promuovere la nuova immagine del Pakistan, la Conferenza internazionale proponeva dibattiti su temi relativi alla crisi del giornalismo di oggi, come

anche dello stato dell’arte nel paese. Tre giorni della conferenza hanno permesso di dibattere su temi relativi all’etica nel giornalismo, codici di condotta, il futuro della carta stampata, lo scopo dei media digitali sino ad arrivare al ruolo delle donne nei media.

http://www.repubblica.it

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