Erbil, Sanya che aiuta i sordomuti in fuga dall’Isis

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Scappano da Daesh, che li usa come scudi umani. O kamikaze. E a Erbil, in Iraq, trovano Sanya. Che accoglie i profughi sordomuti, li ascolta e parla con loro

di Mauro Pompili – Lettera43

ErbilTutte le mattine, quando apre la porta di casa, Sanya Abdal trova sempre almeno una decina di persone che la attendono. Il suo appartamento è diventato il ritrovo dei tanti sordomuti che sono riusciti a sfuggire all’avanzata dell’Isis e ora vivono, o sopravvivono, come rifugiati in questa città nel Nord dell’Iraq.
«Si accomodano nel mio piccolo salotto, prendiamo il tè e parliamo degli ultimi eventi. Insomma, cerchiamo di sostenerci a vicenda».
IL MARITO È SORDOMUTO. Sanya Abdal, che da più di 30 anni è impegnata per sostenere i sordomuti, ha imparato il linguaggio dei segni da giovanissima per riuscire a comunicare prima con il marito, nato sordo, e poi con quattro dei suoi cinque figli.
«I primi incontri con l’uomo che doveva diventare mio marito furono molto difficili», ricorda Sanya, «avevo 15 anni e il matrimonio era stato deciso dalle nostre famiglie. All’inizio comunicavamo solo attraverso dei bigliettini, lentamente ho imparato il linguaggio dei segni e lentamente ci siamo innamorati. Ora vivo felice con lui e i nostri figli da quasi quaranta anni».
IN IRAQ 2 MILIONI DI DISABILI. Sono circa 2 milioni i disabili in Iraq, secondo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), pochi di loro ricevono l’accesso alle cure sanitarie e alle terapie di riabilitazione. I tanti anni di conflitto che hanno segnato e segnano la storia recente del Paese hanno quasi cancellato il sistema sanitario, con molti ospedali e centri di salute distrutti e centinaia di medici e infermieri morti o emigrati.
Più di 160 strutture sanitarie e 14 ospedali sono stati distrutti o danneggiati nelle quattro province più colpite dal conflitto con l’Isis: Anbar, Ninive, Salahuddin e Kirkuk. Inoltre, il 45% degli operatori sanitari hanno lasciato l’Iraq dal 2014, secondo un recente rapporto delle Nazioni unite.
Le persone disabili sono particolarmente vulnerabili in questo contesto. «Messe ai margini dal resto della società, sono spesso escluse dalla vita comunitaria», ha detto Sanya Abdal, «molte persone stanno perdendo l’udito a causa dei bombardamenti, e non sanno a chi rivolgersi se non a noi».

Disabili recultati per attacchi suicidi

Ancora più preoccupanti sono le notizie, confermate da diverse fonti, che vedono l’Isis e al Qaeda impegnate a reclutare i disabili per realizzare attacchi suicidi.
«Il mese scorso ho ricevuto una telefonata da una conoscente di Baghdad. Mi ha chiesto di aiutarla con suo figlio, un ragazzo di 18 anni sordo e con ritardi psicologici. Alcuni terroristi lo avevano avvicinato e gli avevano offerto 1.000 dollari per farsi esplodere. Per fortuna la madre ha scoperto tutto. Le ho detto di far venire subito il figlio a Erbil, e ora ci stiamo prendendo cura di lui».
BOOM DI MINORI KAMIKAZE. Nel febbraio 2016 una commissione delle Nazioni unite sui diritti dei bambini ha denunciato che in Iraq i minori di 18 anni sono sempre più impiegati dagli uomini del Califfo come kamikaze, informatori o scudi umani per proteggere le proprie strutture dai bombardamenti.
«Purtroppo questo uso drammatico dei disabili non è una novità per i terroristi. Nel 2013», racconta Sanya, «due agenti di polizia si sono presentati a casa nostra, allora vivevamo a Fallujah. Avevano arrestato una donna che si era intrufolata in una stazione di polizia con una cintura esplosiva, ma era sordomuta e nessuno riusciva a comunicare con lei. Mio marito andò con loro e alla fine la convinse a togliersi la cintura e a consegnarla alla polizia. Penso con orrore a quante persone in difficoltà i macellai dell’Isis stanno usando».
«SFRUTTANO LA LORO INCAPACITÀ DI COMPRENDERE». Un rappresentante della Commissione Onu, che non vuole essere citato, ha affermato che avevano ricevuto segnalazioni affidabili sull’impiego da parte dell’Isis di bambini disabili, soprattutto mentali, come kamikaze. «Molto probabilmente sfruttano cinicamente la loro incapacità di comprendere cosa stanno per fare».

Scappati da Fallujah

Prima di fuggire a Erbil, Sanya e la sua famiglia vivevano a Fallujah, dove avevano fondato un’associazione per aiutare i sordomuti, la prima nel Paese.
«Mio marito è un sarto molto quotato e le nostre condizioni economiche ci hanno permesso di impegnarci per aiutare chi aveva bisogno. Abbiamo iniziato in modo informale, poi hanno cominciato ad arrivare sordomuti da tutto l’Iraq chiedendoci aiuto».
UN’ASSOCIAZIONE FONDATA NEL 2007. Nel 2007 la coppia ha fondato la ‘Anwar al Fallujahh society’ dove si realizzavano corsi di alfabetizzazione, cucina, informatica, falegnameria e cucito per bambini e adulti sordomuti. «Oltre alle lezioni il nostro impegno fondamentale era quello di lavorare per cambiare la percezione che i normodotati hanno dei sordomuti e in generale dei disabili. La comunità non deve emarginare chi è diverso, siamo tutti esseri umani. Dall’altra parte le persone con problemi devono prendere coscienza che possono avere un ruolo attivo nella società, per questo facevamo formazione al lavoro».
NESSUN FINANZIAMENTO DALL’ONU. Quando l’Isis ha preso il controllo di Fallujah, nel gennaio del 2014, la famiglia di Sanya è stata costretta a fuggire. Poco dopo il loro arrivo a Erbil, una città che ospita quasi 300 mila rifugiati da Siria e Iraq, hanno cercato di far rinascere l’associazione e aprire un nuovo centro. Purtroppo le richieste di finanziamento fatte alle autorità irachene e alle Nazioni unite fino ad oggi non sono state accolte.
«Credo», conclude Sanya Abdal, «si debba investire per sostenere le persone con disabilità, soprattutto in momenti drammatici come questi. La maggior parte di loro vorrebbe aiutare la propria famiglia, ma essere stigmatizzati li fa sentire inutili. Per questo penso che il nostro impegno è importante, insegnandogli un lavoro diamo loro uno scopo.

http://www.lettera43.it/

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