Agata, stilista “silenziosa” che sogna l’alta moda

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Appena conosciuta Agata sembra timida. Poi, sedute al tavolino di un bar del centro, all’invito «dai, inizia a parlarmi di te» mi guarda con un mezzo sorriso beffardo e fa un gesto veloce con la mano sembra dire: «Ma lascia perdere!».

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Eppure non è più tempo di lasciar perdere e lei lo sa bene. Perché la sua è una storia comune a tanti giovani che tentano di farsi strada nel mondo del lavoro seguendo le loro passioni e che spesso, in quel mondo, restano intrappolati.

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La storia di Agata Mottola, 24 anni, stilista per passione sarebbe davvero come tante se non fosse per un dettaglio in più: è sorda dall’età di sei mesi.

Sin da piccola i genitori l’hanno fatta assistere dal logopedista affinché acquisisse sempre maggiore dimestichezza nel linguaggio verbale. Nel 2007 poi l’intervento per l’impianto cocleare restituisce ad Agata una percezione dei suoni, dell’ambiente e delle voci più limpida:

«Ho persino sentito per la prima volta gli uccelli cinguettare da lontano».

Una vita serena, segnata da alti e bassi come per tutti, ma anche da una grande grinta che l’ha spronata a far sempre meglio. E soprattutto una grande passione che l’ha guidata fino ad oggi alla conquista del suo sogno: la moda.

Dopo la laurea in Fashion Design all’Istituto Marangoni, Agata inizia a bussare alle porte delle grandi aziende e dei grandi brand. Conquista brevi periodi di prova, tanti complimenti e speranze per il futuro. In tanti non si accorgono neanche di avere davanti una ragazza sorda, «ma io preferisco dirlo». E’ proprio davanti alla sua “confessione” spontanea che improvvisamente le aziende fanno un balzo indietro. In alcuni casi viene messa ulteriormente alla prova, accanto alla cornetta di un telefono ad esempio.

«I contatti telefonici per me sono rimasti l’unico ostacolo, faccio molta fatica ad ascoltare da una cornetta». L’ultima esperienza è quella che l’ha messa più a dura prova. Qualche giorno di prova in azienda, in un brand a cui teneva particolarmente «perché molto vicino al mio stile».

Colpisce per la sua velocità, la sua precisione, la sua creatività. Le viene offerto un contratto a tempo indeterminato. Poi la confessione, la confusione e il contratto le viene tirato indietro da sotto il naso. Agata si ritrova di nuovo per strada, in tasca la laurea conquistata con fatica, ma nei tempi giusti, e la passione di sempre.

«Ci ho messo del tempo per accettare il fatto di essere sorda, ho affrontato parecchie difficoltà. Ma adesso, con le esperienze accumulate, inizio a sentirmi davvero diversa».

Del resto è difficile sentirsi “normali” in un mondo dove le diversità vengono plasmate ad hoc.

«Non credo di essere migliore degli altri, credo come gli altri di aver diritto alla mia occasione».

«Perché pensi che per un datore di lavoro la tua sordità possa essere un problema?»

«Sinceramente? Non lo so»

Neanche lei riesce a darsi una spiegazione. Una condizione comune a chi in fondo sa di valere, ma che finisce con l’intimidirsi di fronte ai rifiuti opposti senza una spiegazione. E a risentirne è sempre l’autostima. Vale per tutti, ma forse vale di più se in ballo c’è una diversità che hai imparato a fronteggiare e che improvvisamente, quando pensi che sia sotto il tuo dominio, ti viene sbattuta nuovamente in faccia. Vale per ogni ambito lavorativo e forse vale soprattutto nel mondo del moda.

Nelle scorse settimane abbiamo raccontato la storia di Ernesto Simionato, sarto con disabilità di Torino che dopo aver brevettato una linea di abiti pensata per le persone in sedia a rotelle ha cercato un dialogo con le grandi aziende di moda per immettere nel mercato le sue creazioni con scarso successo. Già lui denunciava un’attenzione quasi esclusiva del settore ai corpi perfetti, senza tenere conto delle necessità di tutti. Che non sono solo disabili: oramai storico è il dibattito che interessa la questione delle taglie forti o che, ancora, potrebbe riguardare le linee premaman. L’accessibilità, lo abbiamo scritto tante volte dalle colonne di questo blog, non è un fatto che interessa solo i cittadini con disabilità ma riguarda indistintamente tutti i cittadini. Agata Mottola racconta invece l’altra faccia della medaglia che dice qualcosa di una forma di chiusura nata da un pregiudizio. Forse da una cultura della disabilità incentrata ancora sull’assistenzialismo e poco propensa ad aprirsi alla produttività. E’ così difficile pensare che una persona con disabilità possa essere in grado di svolgere bene e in piena autonomia il proprio lavoro?

Agata lo ha dimostrato organizzando con il contributo di pochissime persone la sua prima sfilata allo Sheraton di Milano. Ha realizzato una propria collezione ispirata alla vita e ai colori di Napoli, città natale della famiglia. E ha compiuto così un primo passo per mettersi in proprio in un mondo che non concede nulla all’imperfezione.

Del resto è proprio a dirlo, abbandonando finalmente la tristezza e concedendosi un grande sorriso che le illumina il viso: «Questa è la mia grande passione, è quello che voglio fare nella vita. Perché dovrei rinunciarci?».

Già, perché dovrebbe?

http://invisibili.corriere.it/

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